Tag : shoah
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Wonder Woman ci è descritta come una principessa amazzone, la guerriera figlia di Zeus e Ippolita. Secondo fonti autorevoli avrebbe 5000 anni, ma la sua tenacia non si è persa nei secoli, così come il suo desiderio di combattere Ares – che poi dovrebbe essere suo fratello – responsabile delle guerre e di tutti i mali del mondo.
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Quando appare sullo schermo, Anka Bergman è una signora che ha più novant’anni ed è chiamata a dare la sua ultima testimonianza. Il suo racconto si alterna a quello della figlia Eva, venuta al mondo quando il mondo, nel 1945, non la voleva affatto. Perché nel 1945, al nono mese di gravidanza, Anka è sull’ennesimo vagone che la sta portando al campo di concentramento di Mauthausen. Sul fotofinish di una guerra che sembra interminabile, mette alla luce la sua bambina. Pur sentendosi sola al mondo, pur essendo ignara del suo destino.
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Eva Kor ha più di ottant’anni e ama presentarsi dicendo che è una sopravvissuta. Lo fa anche dopo aver fissato per un attimo il pavimento del palcoscenico dell’auditorium della scuola americana dove è ospite, prima di invitare gli astanti a sedersi per condividere il palco con lei. Accadeva nei teatri ai tempi di Shakespeare, quando pubblico e attori non erano divisi da barriere e dal sipario nel momento in cui commedie e tragedie prendevano vita.
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Quando i “Vendicatori” entrano in quella casa distrutta deve essere buio pesto. All’inizio non desta particolari emozioni. E’ pur sempre una delle tante case violate e abbandonate nel cuore della vecchia Europa ferita a morte dalla seconda guerra mondiale. Da qualche mese, i vendicatori però stanno cercando i criminali nazisti da stanare, loro persecutori in passato, nemici per l’eternità. Intendono sottoporli al solito rito cui ormai i nuovi carnefici si sono abituati: un rapido sequestro, un breve processo, un inevitabile verdetto.
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Il campo da gioco non è il massimo: dopotutto è l’Appelplatz, il luogo che segna l’inizio di una giornata come tante altre, ad Auschwitz. Tutti gli altri giorni della settimana sono convulsi, giorni confusi e interminabili, ma la domenica fa eccezione. Non si lavora e si riposano anche i cani righiosi: la domenica è un giorno speciale e anche qui, alla periferia dell’inferno, si gioca una partita di calcio.
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Una volta ho provato a raccontare l’inenarrabile. Ammetto candidamente che non ho avuto pudore, nel concepire e immaginare quel personaggio apparentemente venuto fuori dal nulla. Un vecchio signore appoggiato al suo bastone che racconta la sua storia al giovane protagonista, in visita con suo padre al cimitero ebraico di Praga. Era uno dei momenti topici del mio romanzo, Il sentiero delle monete false, pubblicato ormai qualche anno fa.
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