Senza alcool e droga. Un'(altra) ricetta islandese

L’Hakarl è la ricetta islandese più nota. Non è facile da preparare: non si salta in padella e non si scalda al microonde. Prevede processi elaborati come essiccatura in appositi contenitori di legno e conseguente stagionatura. In altre parole, hakarl è carne di squalo putrefatta che da quelle parti è piatto nazionale, da difendere perché è tradizione. Da diffondere, attraverso la grande distribuzione.

Dicono – altrove – che non sia gustosa e nemmeno digeribile, ma l’Islanda è abituata a ben altro.

E’ sempre una terra dal clima difficile e per secoli è stata praticamente irraggiungibile: Eppure anche la più sfavorevole delle condizioni ha i suoi inevitabili vantaggi. E’ indubbio che chi sia spinto fin qui e abbia deciso di restarci, sia stato animato da gran fede e gran coraggio.

Dallo stesso spirito d’iniziativa che si tramanda nei secoli e spinge ad iniziative curiose, a sperimentazioni ardite, a processi lunghi – proprio come la preparazione dell’hakarl – ma sempre in nome della comunità.

Qui, dove fa sempre freddo – ma comunque mitigato dalla corrente del golfo – alla comunità ci si tiene.

Qui, forse perché fa sempre freddo e in nome dell’hakarl si crede allo spirito di conservazione, si punta ancora sui giovani.

I giovani sono patrimonio da difendere come i geyser e i suoni del silenzio e del mare in tempesta:per questo, nel 1992 il paese ha intrapreso una lotta energica contro il consumo di alcol e droga tra teenager.

Per farlo, l’Islanda non si è vergognata di chiedere aiuto ad un professore americano. Harvey Milkman sbarcò qui, probabilmente con una ventiquattrore contenente una tesi incentrata sulla piaga di alcool e droga nel mondo giovanile.

Le sue idee sono state ascoltate: le teorie avanzate nel suo dottorato sono diventate nuovo vangelo. Il dottor Milkman, oggi ordinario di psicologia all’Università di Reykjavik, ha lavorato fianco a fianco con il governo somministrando ai giovani tra i quindici e i sedici anni questionari diretti, con poche e semplici domande.

Apparentemente innocue, ma dal sapore forte perché esplicite e mirate, come conviene allo spirito pragmatico di un popolo che discende direttamente dai vichinghi.

“Quante sigarette fumi? Quando ti sei ubriacato l’ultima volta?”

Ma in fondo alla lista spicca la domanda che mi ha incuriosito, perché non l’ho davvero mai posta ad un teenager – uno dei tanti con i quali mi confronto ogni giorno.

“Quanto tempo passi con i tuoi genitori?”

Sono stati anni intensi, quelli tra il 1995 e il 1997, volti a reperire dati che aiutassero il governo islandese a capire e adottare contromisure.

In altre parole, utili a replicare in modo salutare e in modo tutto nuovo gli effetti chimici indotti sul cervello grazie all’assunzione di droghe.

Tuttavia, i giovani non sono cavie da laboratorio e Milkman lo sa benissimo: lui e il governo potenziano e alleggeriscono il tutto presentato Youth in Iceland.

La ricetta islandese partorita alla fine degli anni novanta, decennio in cui la parola sballo si nutre di malinconia, camicioni di flanella e sonorità grunge, prevede due ingredienti dal sapore deciso:

Proibizione ed educazione. Proibizione, perché è stato imposto il coprifuoco ai giovani, con obbligo di rientrare in casa alle dieci in inverno e mezzanotte in estate, estendendo il divieto di acquistare sigarette ed alcolici a tutti i minorenni. Ma soprattutto, educazione attraverso sport e attività ricreative che tenessero impegnati i ragazzi per gran parte della settimana.

Nel 2012, finalmente, il piatto è stato portato a tavola, pronto per essere servito.

Questa ricetta solo apparentemente semplice ha determinato un brusco calo in termini percentuali del consumo di alcool e droga tra i più giovani:

I giovani tra i 15 e i 16 anni bevono meno. Nel 1997 erano il 48% ora solo il 5%. I fumatori ora sono soltanto il 3%.

Youth in Iceland non lascia in bocca un sapore cattivo come la carne di squalo putrefatta. Eppure, i governi degli altri paesi dicono che è ricetta che non si può esportare.

Inapplicabile, costosa, ma probabilmente indigesta e troppo lenta, per chi non vive tra i ghiacci ed è avvezzo a usi e consumi più rapidi delle cose. A spese delle persone e delle generazioni.

Per tutti coloro che sono a caccia di altre ricette islandesi, questo non è Masterchef. Parafrasando Einar Mar Gudmundsson l’Islanda è quel libro bianco titolo di una sua opera, dove le ricette che servono a governare il paese vengono dibattute, assimilate, eseguite, rispettate. Ma anche aggiornate, riscritte o addirittura ribaltate.

L’Islanda è davvero un libro bianco perché ogni pagina può essere riscritta: è una terra abituata a trovare equilibrio tra ghiacci e fuoco sputato in alto da vulcani imponenti. E’ una terra capace di adattarsi, con un passato remoto fatto di pescatori e un passato prossimo che ha attirato maghi della finanza.

L’Islanda è la comunità che alza la voce senza timore, contro nazioni che le negano l’indipendenza, contro paesi invadenti che minacciano i suoi pescherecci. Contro banchieri che reclamano di essere salvati dopo il fallimento.

Pensino gli altri che questo è è un pesce piccolo, che ( quasi ) si cucina da solo.

Io penso invece che questo è il paese bianco pronto a tremare ad ogni sussulto di un potente vulcano. Qui sotto l’aurora boreale il fuoco ribolle dalle viscere. Qui, sotto l’aurora boreale non soltanto si fantastica, ma si programma il futuro.

Appassionati di cucina o meno, questo non dovete dimenticarlo: in pentola – o nel calderone – bolle molto di più.
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