Non piangete per me

Angela Merkel per molti giorni non ha parlato. Soltanto poche ore fa la cancelliera ha mosso le labbra per annunciare con il solito gelido garbo che è pronta ad inviare seicento soldati in Mali dopo gli attentati della settimana scorsa. Un risveglio da un improbabile letargo, immagino. Una mossa politica necessaria, magari su consiglio dei suoi più fidati collaboratori. In un’ipotetica fiaba, lei, la donna più potente del mondo, guarderebbe lo specchio e avrebbe tutte le risposte…

Emmanuelle Prevost, invece, non è la donna più potente del mondo. E’ una bella ragazza, è giovane, ma fino a pochi giorni fa un’assoluta sconosciuta.

Oggi questo non è più vero.

La vita di Emmanuelle ha preso una piega inaspettata soltanto due settimane fa, proprio quel venerdì che Parigi non dimenticherà mai. Nella foto che vedo Emmanuelle è con un ragazzo: bello, biondo, giovane anche lui. E’ l’immagine scelta per il profilo su facebook, ma in altri tempi sarebbe stata destinata sicuramente a riempire una pagina bianca di un album di famiglia.

Accanto a lei c’è François, suo fratello. Quel venerdì François è  andato a sentire un concerto, in un locale che si chiama Bataclan. Poi non è più tornato a casa. Non ha più visto la luce del sole, da quel giorno François non vive più. Il suo volto oggi è l’immagine di copertina di un gruppo aperto sul social più potente del mondo e dal titolo facile da memorizzare.

 We miss you FX. A distanza di due settimane François è uno di quei volti che uniscono e interrogano le coscienze, nei casi più fortunati anche il cuore. Già, perché non basta più la morte perché le vittime non rimangano più soltanto dei numeri. François è diventato un nome e un simbolo proprio grazie a lei, a sua sorella Emmanuelle.

Emmanuelle ha impugnato la tastiera e ha scritto una lettera chiara, decisa, senza retorica. Si rivolge a un altro Francois, che di cognome fa Hollande e che per vocazione o professione è il Presidente del suo paese. Il suo francese è limpido come il sorriso della foto profilo; tuttavia lei è cittadina francese che sfugge allo stereotipo di cittadina sciovinista e patriottica.

A François Hollande, al suo presidente, questa giovane donna dice chiaramente che non parteciperà all’omaggio che il suo paese riserverà ai suoi morti il 27 novembre.

Non vuole usare eufemismi, non ci tiene affatto; vuole che i suoi destinatari afferrino il concetto senza se e senza ma. Emmanuelle non usa quel linguaggio finto delle diplomazie, talvolta superficiale, talvolta distratto: il suo monito è un atto d’accusa che non lascia spazio a una risposta. Emmanuelle non ci tiene, per due motivi. Il primo: gli accusati sono loro, i politici, coloro che governano il suo paese.

Il secondo, il più importante, quello che oltre ai cervelli interroga i cuori: suo fratello François era al Bataclan e stava ascoltando gli Eagles of death metal.

Così, a distanza di anni, anzi sono passati secoli, tocca a una giovane donna rilanciare un j’accuse tanto potente quanto inequivocabile.

L’accusa di Emmanuelle è decisa come quella di Emile Zola, ma anch’essa è squisitamente francese.

Perché il suo j’accuse non è mosso semplicemente dalla sua perdita o dai suoi sentimenti personali.

Perché è piuttosto una denuncia politica e sociale, lucida e consapevole dei bubboni che affliggono il paese che apparentemente rappresentava il modello di integrazione da seguire.

E’ francese perché è universale, rivolto contro i potenti in modo che tutti possano riconoscersi in esso e non trascura nessuno: Uomini sospettati di progettare attentati, l’intelligence transalpina distratta, il governo e l’establishment che mancano di lungimiranza. Emmanuelle ci dice che in Francia, e non solo qui in Italia, vi sono moschee pericolose perché incitano all’odio e alla jihad, ma nonostante questo sono ancora aperte.

Scopriamo cosi che anche in Francia la giustizia non funziona sempre benissimo: un uomo arrestato per un omicidio nel 2006 è stato rilasciato, giusto in tempo per ospitare Abbaoud, la mente degli attentati di Parigi di due settimane fa.

Quelli multipli, che non colpiscono simboli, ma sporcano di sangue le strade dove si riversa la folla che vuole divertirsi.

Certo, tra i centro trenta morti di Parigi c’era anche Francois Xavier, ma sua sorella non se ne fa scudo. Evita accuratamente di farlo, evita di ricordarlo senza troppi calcoli perché il suo è uno sfogo razionale: un mix perfetto di istinto e ragione, nel quale le donne sono effettivamente più brave.

Emmanuelle è bella, giovane, è cittadina francese, ma non ha paura né pudore di concludere cosi:

No, signor Presidente, signori politici, no grazie. Non accettiamo le vostre mani tese verso di noi e neanche il vostro omaggio..Intendo boicottarlo e  chiedo ad altri  di condividerlo..

Emmanuelle non è un’eroina e non è migliore di quei familiari che domani saranno li, al cuore dell’Invalides, a rendere omaggio ai loro cari: a chi è morto in una notte qualunque, nata per essere spensierata e destinata a rimanere impressa perché teatro del peggiore degli incubi. Quelli che si materializzano nel momento più inaspettato, affinché la tragedia sembri davvero infinita.

Forse non tocca a lei dire tenetevi lontano dal nostro dolore; però ha il diritto – proprio nel paese che più di tutti se ne è fatto vanto – di reclamare una pretesa: quella di vivere il proprio dolore senza dover soffocare la rabbia e l’orgoglio.

A proposito, sarebbe stato un titolo perfetto per questo articolo, ma ci aveva già pensato Oriana Fallaci.

Altra donna nata per unire e dividere, non certo per rimanere nell’ombra o in silenzio.
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