L’altro giovedì santo dell’uomo scalzo.
Il mio giovedì santo comincia con le parole dette da altri. Si tratta di versi cantati da un coro. Sono quindi le parole dell’Anima Christi, scritte secoli fa da un autore che resta sconosciuto, ad accogliermi all’interno della cattedrale della Madonna del Ponte.
Qui, in questa notte del giovedì santo, la chiesa sembra finalmente una casa aperta e accogliente. Non è questione di porte spalancate come negli anni giubilari: molto più semplicemente, il merito spetta all’uomo o alla donna comune che si siede vicino a qualcun altro senza invadere i suoi spazi.
Lui o lei sono persone che non si conoscono, ma in quel frangente quelli che si siedono vicini condividono il silenzio necessario a farti sentire – per un momento – il prossimo dell’altro.
In questa grande cattedrale questa sera si amplifica il senso della vera preghiera: quella non rivelata, ostinatamente e gelosamente custodita. Si allea con il pudore, e il pudore ti invita a non indagare su paure, speranze, desideri altrui.
Una parte di merito spetta anche alla folla ordinata che in questo giovedì santo procede come se intendesse obbedire al direttore d’orchestra del coro poco distante, subordinato alla melodia dell’Anima Christi che non ha nessuna fretta.
Strano, perché quella musica accompagna parole urgenti.
Questa è una preghiera che chiede salvezza, protezione. Questa è una preghiera che richiede una prova di forza impensabile per un essere umano. Questa è una preghiera che non conosco; ispira un canto che non a caso s’interrompe per lasciare spazio a un passo del Vangelo letto da una ragazza che mi dà le spalle.
La sua voce è ferma, lei crede in quello che sta leggendo: se queste parole del Vangelo secondo Giovanni daranno i loro frutti, lei lo saprà prima di me.
Fuori fa stranamente caldo, ma la luce delle fiaccole e delle lanterne non è forte abbastanza per giustificare questa sensazione.
Malgrado ciò, resta comunque una notte dove non mancano ombre. Sono quelle di conoscenti che agitano la mano per salutarti. Sono ombre che un istante dopo si confondono a quelle di sconosciuti in questo tratto in salita mentre mi dirigo verso la seconda tappa.
La Chiesa di Sant’Agostino sarà tappa intermedia, perché un lancianese sa che esiste un comandamento inviolabile: il numero delle chiese dove compiere il rito dei sepolcri deve essere dispari.
Oltre i rami di ulivo, una volta varcata la soglia, ritrovi quella luce necessaria per vedere, per notare differenze, per ascoltare il silenzio che questa notte si interrompe per lasciar spazio ad altri canti.
Questa volta, i versi di preghiera in musica sono proposti in chiave più moderna: con le opportune differenze e le dovute cautele, quello proposto da quattro ragazze alla chitarra è un autentico unplugged che si sostituisce ad arrangiamenti più sofisticati di un coro polifonico ascoltato poco prima.
Le ragazze danno le spalle anche ad un signore brizzolato e dall’aspetto giovanile. È inclinato in avanti, con le mani giunte e la schiena leggermente curva. Dietro di lui c’è una giovane donna che potrebbe essere sua figlia, ma in realtà non si conoscono. Alle spalle di quest’ultima, c’è un bambino con accanto la sorella più grande. Data l’età, potrebbe essere suo figlio, ma è più probabile che questa sia la prima volta che s’incontrano.
Il bambino scruta il soffitto e il suo sguardo si muove in ogni direzione. La donna seduta nella fila avanti è invece concentrata sul canto. Il signore brizzolato è ancora curvo.
Meraviglia su ciò che sarà, contemplazione di ciò che è e riflessione – forse – su ciò che è stato: tre generazioni e tre stati d’animo. Sono il preludio ideale – più della musica – alle note tentacolari di sempre.
Ti attirano all’esterno per l’arrivo della processione. Il rito nel rito è il cammino dell’uomo scalzo che ti passerà davanti e con il volto coperto.
E’passato un altro anno e forse per questo penso che non si arresti mai.
L’uomo scalzo – penso – cammina sempre: si fa carico dei mali del mondo, ma su quelle spalle che sostengono quella croce così pesante – che mai deve toccare terra – c’è spazio per le speranze silenziose di persone vive.
In altre parole, delle persone che ho incontrato questo sera: infatti al di là dell’estetica cui il rito non può rinunciare, al di là dei confratelli incappucciati appartenenti all’Arciconfraternita Morte e orazione San Filippo Neri , tutto resta ingiudicabile.
Non è solo per lo sforzo notevole o per il numero presunto dei passi a piedi scalzi. Quell’uomo – già, il cireneo – fa qualcosa che tu probabilmente non farai mai.
Quell’uomo scalzo, il giovedì santo, rinnova un mistero che non conosce soluzione.
Anche quest’anno è così. Ma fortunatamente – beatamente se preferite – l’uomo scalzo continua a rapirti anche quando credi che non c’è più nulla che meriti il tuo stupore.
La notte del giovedì santo è notte benedetta perché non hai davvero bisogno di miracoli.
Foto di repertorio realizzate da Giancarlo Bomba – Tutti i diritti riservati
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