Il giovedì santo dell’uomo scalzo

Non sono io – né sarò mai credo – il protagonista di questa storia. Dunque inutile andare alla ricerca di aneddoti risalenti ad un giorno lontano, una fredda domenica delle Palme del secolo scorso morto e sepolto.

Luogo: Chiesa di Santa Chiara, centro storico di Lanciano.

Mi limito a dire che dovrei tornare indietro – molto indietro –.per raccontare le emozioni del giorno in cui sono diventato confratello dell’ Arciconfraternita Morte e Orazione San Filippo Neri, la stessa dell’uomo scalzo.

Alla mia età i minuti cominciano ad avere la stessa importanza degli anni che passano e dunque preferisco evitare. Ecco che in una settimana santa condita di misteri, celebrazioni, sofferenze e resurrezione, i miei ricordi non sono poi cosi fondamentali.

Piuttosto, il presente mi rivela che la notte avanza a grandi passi. Se dovessi attenermi ai Vangeli che rievocano la Passione di Gesù Cristo e la sua ultima settimana sulla terra, a quest’ora il traditore ha già tradito e la cena delle cene è già stata consumata.

Io ho cenato invece in un locale del centro storico di Lanciano: cibo calorico e poco sano, birra buona servita in un bicchiere di vetro ordinario. E’ quaresima, ma ammetto che mi tornerà in mente solo a notte inoltrata. Intanto, dato che il letargo invernale si è concluso, potrei proseguire la mia serata inseguendo la movida locale, ma anche qualora ci tenessi davvero dovrei probabilmente ripensarci.

Questa sera è giovedì santo e la gente entra nelle chiese. Già, in tanti sono usciti a tarda sera perché sentono il richiamo della tradizione e perché vogliono ripetere l ’esercizio dei sepolcri. Nel momento stesso in cui si avvicinano ai luoghi sacri sanno che dovranno attenersi ad una regola precisa, quella del numero dispari. Quindi si ripassa la regola – non ne conosco altre – che vige in loco: è severamente vietato varcare la soglia di due, quattro o addirittura sei chiese. Meglio concedersi una tappa in più. O una in meno. Dipende dalla dose di motivazione e di fede. Tuttavia si può scegliere in quale luogo sacro entrare, a seconda dei gusti o della devozione.

Ignoro letteralmente se la regola del numero dispari – che da lancianese osservo da sempre senza obiettare – sia circoscritta alle mura frentane. Ma il conteggio effettuato sulle dita di una mano non può mancare neanche questa volta e nei limiti del possibile rende più leggera un’atmosfera altrimenti più mesta

Uscito dal locale dopo la prima e ultima pinta inizio il tour. Ammetto che durante l’anno, quando mi trovo di fronte a cattedrali o basiliche, spesso mi limito a fissarne le facciate perché mi colpiscono molto più degli interni. Giudizio estetico a parte, spesso mi imbatto in porte e portali chiusi e nessuno mi ha mai invitato – calorosamente intendo – a bussare o ad entrare.

In queste ore invece troverò le porte delle chiese aperte e la gente intorno a me sarà raccolta in preghiera, stretta in un religioso – pardon se l’aggettivo è servito su un piatto d’argento – silenzio. Entro nella prima chiesa, quella di Sant’Agostino. C’è una ragazza seduta di spalle che suona la chitarra. In realtà non so quanti anni abbia e non so come sia fatta in viso, ma magari non importa. Intorno le persone sono mute e sembrano realmente intenzionate a non parlare. Ciò che pensano gli altri può essere intuibile perché i fedeli invocano sempre un segno e reclamano un aiuto, per poi nutrirsi di speranza.

Ma poi incrocio gli occhi di una donna e potrebbe essere mia madre: il suo sguardo mi convince che non leggerò facilmente nei suoi pensieri e la sua preghiera resta imperscrutabile.

Prima della seconda tappa, ecco la musica. Il richiamo è troppo forte, vince sulla volontà di trattenersi a parlare con l’ennesimo conoscente incontrato lungo le vie del centro storico. Elegia e Christus dei maestri Ravazzoni e Masciangelo sono due marce funebri, la colonna sonora ideale della Pasqua lancianese. Note tentacolari al punto che non ti opponi e invece ti imponi di affrettare il passo con il solo scopo di valutare attentamente il miglior punto di osservazione, se vuoi raggiungere una postazione congeniale e vantaggiosa.

Questa sera assecondo volentieri l’idea di una mia amica che opta per via dei Bastioni. L’angolo scelto mi ricorda un corridoio stretto ed intimo, dunque ritengo sia lo scenario giusto per il momento clou di questa serata. Due agenti in uniforme si stanno assicurando che qui come altrove la folla si mantenga ordinata e disposta su due ali virtuali, rispettando i confratelli che camminano lentamente su altrettante file e in maniera composta. Lo stendardo è alto, i confratelli sono vicini eppure il rumore dei loro passi è inesistente.

Arrivano i confratelli incappucciati. Chi da piccolo ne è rimasto turbato, lo ammette candidamente. Non è il mio caso e non perché io custodisca quell’abito e quel medaglione in baule, o perché magari abbia indossato quel cappuccio il giovedì santo. Anche questa volta non tiro ad indovinare l’identità del conoscente di turno col volto incappucciato. Indovina chi rimane un gioco da tavolo dei miei anni d’infanzia e inoltre io sono qui che aspetto di vedere finalmente il Cireneo che porta la Croce.

Non potrei sentire il rumore dei suoi passi, nemmeno volendo.  Quest’uomo è scalzo e porta sulle spalle una Croce di venticinque o trenta chili, curvo nel suo saio nero. Non è quello dell’anno precedente eppure chi assiste alla scena rischia come ogni volta di cadere nella tentazione di compatirlo apertamente. Se sei fortunato resti in silenzio di fronte a quello che ai miei occhi appare come il sacrificio perfetto. Se sei ancora più fortunato ti chiedi come sarà il giorno dopo dell’uomo che per la prima – e magari unica volta nella vita – si è accollato fisicamente una croce. Ti chiedi come possa essersi sentito, quando il Priore dell’Arciconfraternita, nella più totale discrezione e nel massimo riserbo, gli ha comunicato la sua scelta.

Le emozioni del Cireneo sono le emozioni di un uomo scalzo, il più indifeso e vulnerabile tra tutti. Ma paradossalmente nessuno pensa che sia debole ed è dunque una forza straordinaria, anzi sconosciuta, ad emergere. Ecco che il mistero si aggiunge al mistero: simbolicamente quest’uomo si è fatto carico di tutti i mali del mondo perché gli altri pensino che il bene, quello vero, esiste.

Non conoscere la sua identità significa non avere risposte, ecco perché proprio nella notte dove i misteri non mancano e sono raffigurati con tanti simboli, resiste il mistero del dolore che è capace di attirare e richiamare le folle.

Non si possono fissare gli occhi dell’uomo scalzo, ma la gente accorre lo stesso per interrogarsi su tante cose, sul sacrificio di un altro uomo e per dar retta al dolore altrui. Un mistero, non un inganno. Un’eccezione, non certo una regola.

Siccome ho iniziato il tour in ritardo, mancano due chiese all’ appello e mi affretto. Non serve un genio – e nemmeno un’altra mano – per contarle. E’ già venerdì, è già il giorno dopo.

Foto di Giancarlo Bomba http://www.giancarlobomba.it/photography/
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