Tutti pazzi per il Cnel

 

La signora con il piumino, li vicino ai portici di una città di provincia del Nord, ha lo sguardo terrorizzato. L’intervistatore le ha appena chiesto su cosa si andrà a votare il 4 dicembre. A differenza di qualche altro malcapitato intervistato, la signora non se la cava malissimo, ma il suo interlocutore è un giornalista professionista sin troppo competente per non saper dosare quel pizzico di malignità che serve. Al momento giusto.

L’alleato giusto è lui, il consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Alla domanda, cos’è il CNEL?

La signora vorrebbe scappare o magari genuflettersi e chiedersi pietà. Invoca il suo lavoro, indica l’orologio asserendo che è tardi. E’la metà di novembre e di Sì e No sentiremo ancora parlare, fino alla nausea mitigata dai primi exit poll ufficiali perché di sondaggi non se ne parla.

E’la metà di novembre, e qualcuno si è finalmente reso conto che la soppressione del Cnel è quesito inserito nel testo referendario, uno dei punti cardine per l’ “invincibile”armata di Matteo Renzi.

Rexit. Al di là di ogni ragionevole dubbio, il 5 dicembre è il giorno più importante per il Cnel, quest’organo previsto dalla costituzione, la stessa che Matteo prima di Rexit voleva rivoluzionare.

Vuoi perché non saranno le sue porte ad essere chiuse, vuoi perché non saranno i suoi membri ad interrogarsi sul loro futuro. Ma soprattutto perché la gente ora, sa che esiste il Cnel.

L’articolo 99 ci dice che il Cnel funziona – o dovrebbe – funzionare da consultivo per il Parlamento su questioni di natura economica, tanto da riservargli Villa Lubin, palazzo storico all’interno di Villa  Borghese.

Quest’edificio in stile liberty, circondato da pini che a dire il vero lo sovrastano, all’inizio ospitava centododici membri ora ridotti per ragioni di costi: sindacalisti e imprenditori, esperti del mondo accademico che lì all’ombra dei grandi pini, dovevano discutere e proporre leggi, fungere da collante tra mondo dell’impresa e istituzioni.

Questo doveva essere e a proposito, questo dovrebbe ancora essere.

Questione di numeri, e voti.

Il 4 è giorno di votazioni e sancisce la vittoria secca dei No, altrimenti detto: gli italiani – tanti italiani – si tengono la costituzione. Ma un sussurro potrebbe aggiungere: si tengano pure il Cnel. Questo è il verdetto giunto nella notte. Ma la prima alba, del day after rexit, è quella del cinque dicembre. Il condottiero del Cnel si chiama Delio e di cognome fa Napoleone, e viene dall’Abruzzo. Da Orsogna.

Per una volta la cabala va smentita, il numero cinque questa volta a Napoleone porta bene. non nasconde tragedia e non ispira nessuna poesia, ma solo soddisfazione.

Lì, all’ombra dei pini. Mossi, diciamolo pure, da un sospiro di sollievo che agita le fronde e tranquillizza gli animi.

Saranno famosi. Si è talmente contenti che, passata la paura, tocca guardare avanti. Non senza prendere atto del presente, non senza gridare al miracolo.

Siamo diventati famosi: a gridarlo è il vicepresidente Gulaccini, forse strizzando l’occhio all’ironia dilagante, che oggi straborda e rompe gli argini sopratutto grazie ai social.

La notorietà giunta all’improvviso rimbalza e giganteggia: il popolo della rete s’immagina trenini e fuochi d’artificio, champagne che scorre a fiumi e dipendenti che gettano all’aria scatoloni pieni di effetti personali e che ora andranno ricollocati al loro posto dopo l’esito felice del Referendum.

Noncuranti che sostenitori del Sì e del No volevano vederli altrove, lontani dall’edificio liberty di Villa Borghese. Ma ora che almeno in rete, sono tutti pazzi per il Cnel, va riconosciuto che quest’ultimo rappresenta un valore aggiunto alla democrazia.

A dirlo è Napoleone, suo presidente e suo condottiero all’ombra dei pini. Gli stessi che riparano dal sole, prova ulteriore che Waterloo è lontana.
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