
Tutti i gol del Presidente
Zvonimir Boban non riesce a trattenere una risata, che tradisce ancora un pizzico di incredulità di fronte a qualcosa che difficilmente dimenticherà. E’ un giocatore del Milan da qualche anno, un protagonista assoluto ogni volta che scende in campo. Eppure una volta anche lui è stato – per pochi, interminabili secondi – uno spettatore qualsiasi. Proprio come il pubblico sugli spalti, come l’arbitro, come i giocatori del Verona, come me: tutti estasiati dalla cavalcata di George Weah che nella prima giornata di campionato 1996/1997 segna il 3-1 smarcando gli avversari tramortiti al suo cospetto.
Lo chiamano coast to coast, ma io preferisco definirlo gol totale: uno dei rari casi in cui il giocatore segna percorrendo praticamente tutto il campo, uno dei rarissimi momenti in cui il calcio smette di essere sport di squadra e lo fa per uno scopo giusto.
Pur essendo nobile, lo spirito di squadra non appaga la tua sete di meraviglia: solo il campione ci riesce con iniziative degne di essere chiamate prodezze, capaci di sovvertire regole e demolire certezze.
L’8 settembre 1996 per un momento ho pensato che tutto fosse diventato meravigliosamente e drammaticamente insensato. Da tifoso milanista ho rivissuto la purezza del talento di Van Basten, ma subito dopo è subentrata la consapevolezza che per parecchio tempo, nulla mi avrebbe entusiasmato allo stesso modo.
Negli anni ho continuato a credere che per George Weah – classe 1966, musa di un coro a lui dedicato ancora orecchiabile e tuttora indimenticabile – la rete rifilata al Verona fosse stata dannatamente facile.
Per fortuna l’età adulta serve a riconoscere i propri errori e rimediare alle proprie ingenuità: quei 14 secondi impiegati dal calciatore liberiano per andare da un’area ad un’altra rappresentano indubbiamente un tempo notevolissimo, da segnare sui libri di storia, ma vanno assaporati uno ad uno.
Proprio perché lui aveva dato importanza ad ogni singolo momento: crescendo ho iniziato a sollevare lo sguardo, a non focalizzarmi più sui piedi, ma a inquadrare lui, il campione, nella sua totalità. Oltre che per i gol incredibili – come quello segnato al Bayern nei quarti di Coppa dei Campioni quando militava nel Paris Saint Germain – in tanti lo ricordano per gli assist.
Suo il passaggio filtrante che permette a Franco Baresi di realizzare il suo ultimo gol in carriera: George Weah dimostra a tutti che sa personalizzare l’azione quando deve, imprimendo potenza nei tiri ed elevazione negli stacchi di testa. Per il resto è e resta l’uomo che durante la partita si muove da una parte all’altra dell’area come nessuno, pronto a servire i compagni nel modo migliore.
Col tempo sono cresciuto ancora e pian piano sono uscito fuori dal campo. Rivedendo quelle immagini, ho tentato di concentrarmi sugli avversari, trovatisi nella condizione di dover assistere impotenti e non potersi incolpare per errori non commessi.
https://www.youtube.com/watch?v=LOCHwYTTOJ0
Da adulto, riscopro che Weah è uscito dal campo meglio di tanti altri: colui che è stato il primo giocatore africano a vincere il Pallone d’oro, a distanza di un ventennio è tornato a casa. Re George non solo è tornato, ma è ancora lo stesso uomo partito dalla periferia tanti anni prima e che nel frattempo è stato inserito in tutte le classifiche più ambite, si è laureato, si è sposato.
King George – classe 1966 – oggi è l’uomo maturo che si ritrova in uno stadio sovraffollato e tra la sua gente, per ricevere la vera incoronazione: dopo un’infanzia trascorsa insieme ai dodici fratelli allevati dalla nonna paterna, dopo un passato da centralinista che sogna il calcio che conta, dopo la militanza in club importanti, il 26 dicembre 2017 George Weah è stato eletto Presidente della Liberia con il 61% dei voti.
Ha sconfitto l’altro candidato, Joseph Boakali – ex vicepresidente e figlio di genitori analfabeti – dopo il ballottaggio e una campagna elettorale durissima, spendendosi per fare comizi, parlare e subito dopo ascoltare la gente del suo paese.
L’indomani, la missione di King George sente il bisogno di tutto quello che lui è riuscito a dimostrare in campo ed anche di più.
George Weah non ascolta più cori entusiastici che scendono dagli spalti di città belle, ricche e famose. Le voci che sente sono un mix di pianti e risate, di voci sommesse e voci ricolme di speranza perché la Liberia fa ancora parte del mondo che non conta.
Weah è troppo popolare perché la sua elezione non susciti clamore e la giusta curiosità condita da un pizzico di entusiasmo. Ma il suo nome non può e non deve assolvere esclusivamente a questo compito: dovrebbe servire invece a calamitare le attenzioni verso un paese che culla tutti i mali del mondo. Dalle guerre civili, all’elevatissimo tasso di disoccupazione, alle tensioni tra tribù, alle epidemie che flagellano una nazione dove gemme e diamanti li trovi dappertutto, ovviamente nel sottosuolo.
Alla Liberia resta un nome bellissimo, un calcio d’inizio promettente – penso – perché è stata una nazione fondata dagli schiavi africani rimessi in libertà dopo la fine della Guerra Civile americana. Ma la radice Liber non è riuscita a convincere ed affondare per bene nella mente di chi vi abita.
La Liberia rincorre quasi tutti i paesi africani in una competizione che sembra finalizzata solo a primati negativi. George è l’eccezione perché è l’uomo che ce l’ha fatta, perché ha avuto il coraggio di puntare sul proprio talento. Più che sui sogni, si è costruito il futuro puntando sui progetti ed è sceso in campo indossando la maglia giusta anche questa volta. E’ infatti andato ed è tornato, rinunciando ad un incarico allettante da dirigente di prestigio o allenatore strapagato.
Ora è circondato dai compagni di squadra che voleva, tra mura davvero amiche e con una gran voglia di vincere la gara più importante, malgrado manchino tutte le certezze del caso. Il match che deve affrontare King George non durerà novanta minuti, non vedrà un solo avversario in campo e non basterà – ahimè – una cavalcata leggendaria di pochi secondi per sbalordire tutti e rimettere ogni cosa al suo posto.
Per fare gol, per centrare innumerevoli volte l’obiettivo prefissato, il leader dovrà ricorrere a infiniti assist e infinite prodezze. E a qualcosa che nemmeno lui è in grado di prevedere.
Non so come andrà a finire, però so che la partita è appena cominciata. Per quello che può contare, hai tutto il mio sostegno George, come quando giocavi. Specialmente ora che inizia la tua corsa, come in quel lontano giorno di settembre.
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