
Sogni di notti magiche
Mentre scrivo sul calendario è cerchiato un giorno di giugno qualsiasi. Non lo è quel pomeriggio di tanti anni fa, caldo e tranquillo, sereno perché la scuola era davvero finita anche per me, ragazzino della terza elementare. E’ il 1990 e ho orecchie piccole, che sembrano antenne perché amo il calcio e fremo nell’attesa che inizi il campionato del mondo. Italia 90 è lo spettacolo in procinto di cominciare: il sipario sullo stadio Meazza di Milano si è già alzato. Gianna Nannini punk ed Edoardo Bennato rock hanno cantato Un’estate italiana firmata dal big producer altoatesino Giorgio Moroder.
Nonostante il pezzo originale sia scritto in inglese, Notti magiche è il ritornello che strega e funziona. Al punto che per molti quello è il titolo della canzone; tuttavia poco prima dell’inizio della gara che inaugura il mondiale a noi spettatori, piccoli e grandi, servono gli occhi. C’è El pibe de oro che stringe la mano del suo avversario al cospetto della terna arbitrale. E’ il campione in carica, sa di essere il più forte al mondo, ma non gli basta: lui, semplicemente, vuole apparire più simpatico di quanto non sia.
In questo pomeriggio di giugno non ha ancora sufficienti motivazioni per provocare apertamente o contestare il sistema – e nemmeno il fisco – dei potenti corrotti. A un metro di distanza da lui e dall’arbitro Vautrot c’è Stephen Tataw: questo sconosciuto è il capitano della squadra avversaria che è capitata nel girone B, quello della squadra favorita nonché campione in carica.
Tataw è più alto e robusto del numero dieci argentino, che resta tuttavia il vero gigante: lo contesti, ma ti incanta vederlo palleggiare con le spalle poco prima dell’inizio della gara. Ti fa piacere che si diverta ancora.
Ho otto anni e mezzo
Papà c’è Maradona..ricordo di aver detto. A quest’età parlo poco e odio scrivere, perciò non potrei dire altro.
Caniggia è in panchina uno dei commenti che seguono, talvolta sordi e ciechi di fronte all’eccitazione di noi più piccoli che per prima volta viviamo un mondiale.
E’pomeriggio inoltrato di quel lontano venerdì e scopro che esiste un paese nel cuore del continente nero che si chiama Camerun dove gioca Roger Milla.
Li chiamano leoni indomabili, sento dire. Forse per questo ci sono simpatici sin dal primo minuto: io e la mia famiglia abbiamo scelto spontaneamente quale squadra sostenere, perché a volte vale la pena tifare apertamente per la squadra meno forte, ma che lotta davvero.
Maradona sa che è troppo bravo, ma avere Dio in campo aiuta più gli avversari che non i suoi stessi compagni. Gli africani sfiorano il vantaggio in due occasioni fino a quel gol, giunto al minuto sessantasei del secondo tempo e che gela i campioni in carica.
François Omam – Biyik va su, più in alto di tutti. Il suo stacco non è il migliore della storia, ma con la giusta dose di coordinazione riesce ad essere sufficientemente forte da risultare micidiale, per giocatori e tifosi argentini sicuramente letale mentre appare indelebile per il portiere Pumpido – al quale hanno ricostruito un dito l’anno prima – che non riesce a trattenere.
L’Argentina vincerà la sua seconda partita contro l’Urss nel giorno di Sant’Antonio e sul campo del San Paolo: ecco perché la mano de Dios può colpire ancora. Maradona questa volta non spinge la palla in rete perché è nella sua area di rigore, ma tocca il pallone con il braccio. I russi – anzi, dovrei dire i sovietici – protestano anche perché l’arbitro Fredriksson è a un passo e non fischia. Ma la protesta dei giocatori guidati dal colonnello Lobanovskyj risulta vana, così come le due ghiotte occasioni da gol nel secondo tempo. Con uno stacco di testa impeccabile Troglio sigla il vantaggio e Burruchaga, grazie a una giocata precisa e cinica, chiude la gara a dieci minuti dalla fine.
In porta è arrivato Goycochea perché il titolare Pumpido si fa male durante uno scontro con un compagno di squadra…Lo ignoriamo tutti, ma per noi sarà determinante. Intanto, l’arbitro svedese, il giorno dopo fa le valigie e viene rispedito gentilmente a casa.
Io e la mia famiglia vediamo la partita seduti su sedie nere e un divano blu, il televisore Philips è incastrato tra le ante della credenza. Il sole illumina quel salotto e quei mobili che oggi non esistono più.
Siamo in tanti e lo saremo fino alla sfida in semifinale al San Paolo. Gli uomini sono i più nervosi e i taciturni, le donne urlano al primo pericolo e sono più scaramantiche. Mia madre e le mie zie vietano tassativamente a noi ragazzini di cambiare posizione durante le partire dell’Italia.
Per carità non dobbiamo provare a contestare: quelli sono ordini, non superstizioni.
Ancelotti e Donadoni nel 2015 sono allenatori, ma è il 1990 e sono in campo con gli altri a cantare l’inno di Mameli.
Roma 9 giugno 1990. Giochiamo contro l’Austria. Ancelotti, Carnevale e Donadoni – quest’ultimo su passaggio magistrale di Giannini – sbagliano occasioni ghiottissime. Ad un certo punto l’allenatore Vicini sostituisce Carnevale con il numero 19. E’ un palermitano cresciuto in un quartiere popolare e questo giovane ventiseienne ex Messina ora milita nella Juve.
Hanno detto: nessuno desidera segnare più di lui. L’attaccante bianconero pertanto sfrutta il perfetto cross di Vialli dalla destra e realizza il suo primo gol.
Da quel momento, nella notte romana piena di stelle, gli occhi di Salvatore si illuminano e diventa Totò per tutti. Presto, in quelle notti magiche, saranno tutti suoi tifosi: gli azzurri vanno avanti a suon di gol fatti e zero gol subiti. Zenga rimane imbattibile – del resto ci sono Baresi e Maldini, due signori niente male – e poi c’è un giovane, un tale Roberto Baggio che nell’ultima gara del girone contro la Cecoslovacchia si prende gioco degli avversari come sa fare solo lui. Non con prepotenza, bensì con assoluta classe, saltando il primo avversario con una finta che imbambola un altro difensore e in seguito mettendo a sedere il portiere.
“Perché a Napoli?” è la domanda che fa mia madre, dopo la vittoria ai quarti contro l’Irlanda.
“Perché la semifinale si gioca lì” replicano secchi gli uomini, ancora ebbri per l’ennesimo gol di Totò. Vogliono godersi il trionfo e noi ragazzini vogliamo uscire a festeggiare perché ormai ci sentiamo i padroni di quella coppa.
Mia madre e le mie zie sono un tantino perplesse, come se l’Olimpico fosse un amuleto in più da tenere stretto.
Napoli, 3 luglio 1990. Giannini, Vialli, Schillaci. E’ il diciottesimo del primo tempo e il sogno delle notti magiche sembra continuare. Non ricordo come, ma sono riuscito ad andare in cucina ed il televisore è acceso. Guardo gli ultimi minuti del primo tempo e mio zio Alberto mi sembra stranamente contrariato. Non so perché, ma ancora oggi per me quello sguardo è rivelatore.
In poche parole, significa che il sogno sta per finire. In un baleno giunge il gol di Caniggia, proprio lui, al ventitreesimo. Non ricordo più nulla se non i rigori, il silenzio che nessuno osa rompere fino al rigore di Donadoni. Il numero 17 fa storcere il naso a qualcuno, inevitabile, ma la parata di Goycoechea fa il resto.
“Ci fosse stato Pumpido, l’avesse tirato prima”. Ma poi tutto sfuma e non ricordo nemmeno il rigore sbagliato di Serena: restano impresse le voci dentro e fuori casa mia che ormai si sono unite in urla di sconforto.
http://https://www.youtube.com/watch?v=d_DEuMuI2mk
Finale a Roma: ho tifato per la Germania degli interisti. Io, milanista, ho perdonato in tutta fretta i tedeschi che agli ottavi hanno battuto gli olandesi di Van Basten e Rijkaard – cui non ho perdonato lo sputo su Voeller romanista – e spero che vincano anche a pochi minuti dalla fine.
Succederà anche molti anni dopo, ma con un gol decisamente più bello.
Il mio desiderio e quello di molti altri viene esaudito con un rigore contestato e segnato da Brehme. Matthaeus può alzare la coppa perché la sua Germania ha vinto il mondiale. Dovrei dire Germania Ovest, ma il muro di Berlino è crollato e si sente odore di riunificazione anche quando, almeno sul tabellone, si annuncia il mondiale americano.
Da Roma a Los Angeles il passo è breve. Fulmineo, invece, l’arrivo di quella notte a Berlino.
L’anno è il 2006, questo lo ricordano tutti.
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