Selfie senz’anima

Alcuni indigeni credono che le foto rubino – per davvero – l’anima di chi è ritratto in una foto. Credo che quegli stessi indigeni non facciano distinzione tra uno lo scatto e il selfie, ma in fondo non conta molto: per quanto mi riguarda, questa teoria affonda abbondantemente i piedi nel mito, nonostante non intenda snobbarla perché esistono superstizioni ben peggiori e i miti sono sempre pieni di fascino.

Il mito più attuale di tutti, a mio modo di vedere, è il mito del povero Narciso. Tuttavia anche lui – non me ne voglia – ha il volto un po’ tirato, perché non è rimasto indenne alla rincorsa dei tempi moderni

Potrei dire che lo abbiamo superato e battuto, considerando l’ossessione per l’immagine postata più che per l’immagine ritratta. Ad aver confinato Narciso nelle retrovie ci abbiamo pensato noi millenials – lo sono anche io e non mi dispiace – ma anche i meno giovani che non sono da meno: di fronte all’obiettivo invisibile di uno smartphone, l’ideale del proprio aspetto vince sull’ immagine riflessa nello specchio d’acqua.

Il selfie ha successo e il merito non è di Ellen De Genres, che alla notte degli Oscar di qualche anno fa si è circondata di celebrities sdoganando definitivamente una moda inarrestabile.

La fortuna del selfie è legata paradossalmente alla sua fine: ossia ai tentativi infiniti e alle milioni di immagini che puoi magicamente cancellare. Non è più come ai tempi del genialoide Robert Cornelius, quel chimico trentenne che nel 1839 si catapultò davanti alla macchina da presa nel retro di un negozio di lampade a Philadelphia per realizzare, semplicemente, il primo autoritratto della storia.

Robert è rimasto immobile, sperando di conservare quell’immagine e consegnarla ai posteri. Ci è riuscito, ma Robert era anche un genio ed un pioniere. Oggi viviamo altri tempi e all’ombra di altri filtri.

Grazie ad un articolo di giornale, ho fatto un salto in avanti doveroso, e forse doloroso.

Mi sono catapultato in una domenica pomeriggio d’inizio primavera dove ci sono due ragazze  alle prese con decine di selfie da postare e condividere. Ignoro il loro aspetto, perché non trovandomi nelle vicinanze, tento di immaginarle nel momento in cui leggo la notizia apparsa su un giornale della mia regione.

Le due teenager  ignorano che il selfie, praticamente il loro pane quotidiano e fonte di benessere principale, le sta in tutta fretta consegnando alla cronaca. La loro bellezza non è messa in discussione, ma non è nemmeno al centro della questione.

Perché nel luogo dove si trovano, semplicemente, conta un altro tipo di bellezza:

Il selfie non è ciò che ti aspetti qui, nella frazione di San Donato. Siamo su un’ altura proiettata sul Mar Adriatico e qui riposano – lontani da casa – 1665 uomini, caduti durante la seconda guerra mondiale. Proprio lì, di fronte al mare, proiettate nel cielo azzurro e nel verde della campagna circostante, ci sono altrettante croci bianche perfettamente disposte su file parallele.

Non è un caso, visto che gli esseri umani sono realmente tutti uguali. Ma nel pieno spirito anglosassone – degno di un paese del Commonwealth – questo luogo ci ricorda che l’uguaglianza è un concetto indiscusso, quando la vita terrena cessa di avere un senso.

Quest’area verde e di forma rettangolare ospita il Moro River Canadian War cemetery.

In altre parole, comuni alla lingua nostrana, siamo nel cimitero canadese di Ortona, luogo che ho visitato da bambino e che per primo ha allontanato dal sottoscritto l’idea che i cimiteri fossero luoghi tristi e tutti uguali, costellati da blocchi di marmo freddo e senz’anima.

Continuando nella lettura dell’articolo ho ragione di credere che quelle due sono ragazze molto giovani e carine. Ma vedo anche questo:

Forse per loro, nate davvero in un altro secolo, la seconda guerra mondiale è lontana, probabilmente il frutto di uno sbiadito ricordo di qualche lezione scolastica delle scuole medie. Magari accolta con un timido sbadiglio.

Potrei capirle per un attimo, ma non voglio perché sono stanco di ripetermi che ai più giovani è consentito tutto. Sopratutto,

Non voglio perché su questa terra c’è sempre qualcuno più importante di noi. Qualcuno che si è dedicato ad una causa tremendamente importante, sicuramente più nobile – il termine desueto è voluto – di un mesto decalogo recuperato grazie ad un articolo apparso sul quotidiano il Foglio qualche anno fa

“Tieni il telefono sopra la linea dello sguardo, evita il flash, trattieni un po’ d’aria tra le labbra per esaltare i contorni delle guance, inventati o reinventati quell’aria furba o sbarazzina per far finta che non ti stai prendendo sul serio.”

I miei occhi si aprono e tendono a chiudersi, il fiato rallenta così come il mio cervello, perché a fatica potrei ricordare tutto ciò. A me non interessa la morale altrui e nemmeno sono alla ricerca di superpoteri per sovvertire comandamenti, specie se questi aprono le porte al selfie delle meraviglie.

A me interessa semplicemente aggiungere una postilla, in fondo: esistono luoghi – chiamateli anche location – dove la tua immagine è pari ad un buco nell’acqua, per nulla dissimile allo stesso specchio d’acqua del povero Narciso.

Uno di questi è lo stesso dove in questa domenica d’inizio primavera vi trovate voi, ragazze sconosciute.

Siete vanitose perché probabilmente siete come tante altre ragazze oggi: giovani, belle, ben vestite e truccate. Siate felici per questo e perché avete la vita davanti.

Avete un mondo fuori che vi aspetta, che attende con la vostra stessa ansia di condividere, postare commenti, mettere un like o aggiungere reazioni che durano pochi secondi. Potrete anche far schiattare d’invidia la ragazza che vi odia e vi disprezza o conquistare il ragazzo che volete disperatamente – magari il tempo di una stagione.

Non c’è niente di sbagliato, non c’è niente di diabolico. Semplicemente, accontentatevi e allontanatevi da chi ha combattuto per permettervi tutto questo mondo frivolo e colorato.

E soprattutto, finché non vi sentirete vicine a coloro che sono stati vostri coetanei in tempi tremendamente difficili, non tornate. Glielo dovete.
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