Save the name

Ho trovato rifugio in un programma degli anni ottanta. Uno dei giochi che vede coinvolti i concorrenti di Help! si chiama La grande scommessa. Ciascuno deve puntare su una carta tenuta nascosta, scommettendo sul valore di quest’ultima, superiore o inferiore rispetto a quella precedente già svelata.
Help! effettivamente mi aiuta, risolleva il mio animo, ma è una via di fuga che si rivela come l’ultima vincita di quel concorrente con la giacca enorme: esigua e destinata a svanire presto.

Il programma è sfumato così come il piccolo rifugio che mi sono costruito in piena notte, per sfuggire un po’ vigliaccamente alla visione del grande rifugio abbattuto all’ improvviso.

Da una valanga, notevole per estensione, incredibilmente potente: piombata all’improvviso in un’ora non precisata, arrivata a destinazione con tutto il suo carico, quattrocento kg al metro cubo, pari a 120000 tonnellate corrispondenti a 3500 tir carichi.

L’imprevedibilità degli eventi è notevole, pari forse soltanto ai venti milioni di tonnellate di neve caduta sull’Abruzzo.

Sono numeri che contano e hanno il potere di lasciare senza fiato, diventati protagonisti per un momento perché anch’essi non sfuggono al loro destino: verranno consegnati al solito freddo archivio ricco di dati che fanno storia e ovviamente statistica.

Altro giro, altra notte. Il mio zapping vigliacco procede cercando altre vie di fuga. Incrocia le parole del vescovo di Rieti – pronunciate in occasione dei funerali per le vittime del terremoto del 24 agosto – e quelle di un rabbino udite distintamente su un altro canale.

Ogni nome è vita, perché se dimentichi il nome di una persona, presto non ricorderai più nemmeno chi è stato“.

Da quell’universo bianco che di nuovo appare, mi tornano in mente tutti i nomi di villaggi e frazioni che in tantissimi fuori dalla mia regione non hanno mai avuto ragione di cercare su smartphone, cosi come un tempo su mappe geografiche datate.

Lembi della mia terra, da Arsita a Crognaleto, da Valle Castellana a Isola del Gran Sasso, per poi risalire l’Italia percorrendo in fondo pochi chilometri, lungo il confine tra Umbria e Marche.
Strano, paesi che non hanno fisionomia sotto metri di neve conservano la propria identità perché custodiscono lo stesso le storie e le vite di chi ama quei posti.

La neve in questi giorni ha uno straordinario potere: rallenta i tuoi occhi e il tuo cuore, frena i cameraman e i giornalisti che sembrano affannati, provati dal gelo e da tragitti impervi percorsi a piedi o su cingolati dei vigili del fuoco, costretti talvolta a ripensamenti e manovre quasi impossibili.

La neve spinge alla prudenza, è protagonista prepotente ma evita ogni ulteriore spettacolarizzazione. Non ci sono macerie visibili o case tristemente sventrate che possono occupare la scena: no, per una volta, gli occhi dei media non bastano.

Serve il racconto per descrivere quel volto scavato dell’anziano, un racconto sentito che permetta di insistere e capire quanto soffrano o stiano in pena i giovani – pochi, talvolta pochissimi – che hanno deciso di restare.

Rigopiano. Rigopiano è nella mente di tutti, eppure resta distante per le tante emergenze: te ne accorgi quando il tuo televisore amplia la tua vista, nel momento in cui si spalancano le porte di case illuminate dalla luce fioca di un camino.

Un fuoco che resiste e non si spegne, ha una forza che nulla può eppure fa tutto: quelle piccole case private di ogni comfort e senza salotti da mostrare, sono vive anche a luce spenta e non sono al buio.

Riscaldate dalla voce delle tante padrone di casa, che finalmente raggiunte dopo tanti giorni, chiedono insistentemente ai propri soccorritori:”Ti posso offrire qualcosa? Vuoi un caffè?”

Sono le nostre donne, madri e nonne a benedire chi arriva a salvarle. Persone mai viste eppure già di casa, amici che diventano tali senza essere mai stati semplici conoscenti.

Perché in questa tragedia senza nome torna in auge una vecchia, nobile filosofia. Ognuno è importante: ciascuno ha una storia ed un nome. Che accomuna le vittime e coloro che sono tornati alla luce, coloro che sperano e gli eroi chiamati ad intervenire per compiere miracoli.

Gli eroi per giorni si sono calati dall’alto sul bianco senza fine per raggiungere il maggior numero di persone. Poi ti svegli all’alba,  e scopri che tutti i mezzi e cingolati che dai per scontato sono scomparsi e appaiono – come in foto datate e in bianco e nero – degli uomini con indosso sci e pelli di foca.
Decisi a scalare montagne ripide e invalicabili quando c’è una bufera e quando è buio pesto. Arrivano dai sommersi, ex rifugiati in un hotel fino a un giorno prima bellissimo. Da quel momento prendi confidenza con nomi e volti mai visti, tentando ogni volta di associarli perché sai che tutti hanno diritto a vivere ancora.

Quei nomi diventano parte integrante di una lista divisa tra sopravvissuti e non, tra sommersi e salvati – come direbbe ancora oggi Primo Levi – tra vita e morte. Una lista che poi cambierà la vita di chi resta e per sempre.

Viene voglia di dire qualcosa, un’altra volta.
Ma poi hai di fronte la tenacia e la voglia di non arrendersi,  quel futuro non facile e che comunque auguri a tutti senza distinzione. Ti trovi dinanzi all’angoscia dei famigliari che aspettano di ritrovare una felicità che sembra persa per sempre e nessun motivo vale più di un altro perchè le parole sfumino e scenda il silenzio.

Magari il mio, seduto comodamente ad una scrivania.

Le parole le trattieni per coloro che stanno lavorando senza sosta, per riportare di nuovo alla luce coloro che non appartengono e non apparterranno mai al buio.
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