Quo vado. E io ci sono andato

Non ci sono solo i film in programmazione.. L’attesa è spasmodica – in realtà vorrei già essere li a pagare, con i soldi in mano – ma proficua. Se da un lato le ore volano, i secondi pagano. So che rimarrò in fila per un’ora – considerando le cassiere stremate – e sono consapevole che sono qui di domenica pomeriggio per un film che dovrò vedere alle 22.40

Sono letteralmente pressato e non ho vie di fuga: scoppiasse un incendio sarei fottuto. Non ho altre opzioni, pardon altri titoli da proporre al mio pomeriggio in coda. Devo acquistare otto biglietti, e non bastasse la fila, ci sono gli amici nel gruppo in comune su WhatsApp che mi pressano per sapere come è andata a finire.

Il cellulare è vicino al cuore, ma la sua vibrazione diventa sempre più impercettibile, perché c’è la signora al mio fianco che si lamenta.

Oggi in questo cinema che mi ricorda gli anni novanta – gli ultimi – riscopro che il neorealismo non può mai morire. Osservo e ascolto come se fossi stato incaricato di dirigere un film, piuttosto che acquistare otto biglietti – nove considerando l’immancabile incerto.

“Soffro di claustrofobia” azzarda la signora. Finalmente il naso spunta sotto il cappello che fino a poco tempo prima copriva l’intero volto.

“Le credo”. Non mi azzardo a continuare. Sono sincero, ma solo per metà. La sua pelliccia è ingombrante, l’aria è soffocante: lei sarà pure claustrofobica, ma vorrei rassicurarla.

Al suo posto io sarei morto, sotto quel cappello nero.

Sento la fila che pressa, tutti si lamentano: non ci sono i numeri che tengono le file ordinate, mentre la ragazza addetta alle prenotazioni continua a chiedere nomi, conferme, numeri…

Nel frattempo, estrarre il cellulare dal taschino interno e leggere i messaggi è diventata un’impresa: desisto, anche perché in base ad un rapidissimo calcolo il mio gomito andrebbe a toccare il mento della mia vicina.

Giunto in prossimità del botteghino sento di essermi salvato dopo essere stato travolto: al mio fianco, di fronte all’altra cassa destinata alle prenotazioni, oltre alle parole grosse volano curriculum vitae

“Lei non sa chi sono io…Sono laureato in giurisprudenza.”L’uomo non più tanto giovane cerca di fare impressione su un altro meno giovane, ma più alto e più robusto convinto di essere arrivato prima. Intanto, al cospetto della cassiera cedo il passo alla signora claustrofobica. Lei deve andare allo spettacolo delle 20,40, io al successivo.

Non è una mia rivale e quindi posso cominciare l’anno da gentleman, ovviamente: Devo essere stato convincente, perché la signora in visone estende ringraziamenti e benedizioni anche ai miei amici a casa in attesa di avere news dalla linea del fronte.

Hello, it’s me…La cassiera incrocia il mio sguardo, ma devo pazientare.

Mi accontento di stampare il gomito su questo piano d’appoggio freddo, ma solido. Un secondo dopo mi ci aggrappo: due donne si contendono il traguardo. La signora più anziana vince a sorpresa su quella più giovane che non si risparmia un commento piccato. La signora. forte del suo biglietto, si trasforma in una pasionaria, e rilancia con un invito che non fa breccia, ma è roba da agitazione sindacale.

“Al posto di litigare tra di noi, dovremmo coalizzarci tutti contro questa cattiva organizzazione”

Tempo di un sospiro e cinque minuti dopo sono all’aria aperta: mi sembra di essere stato rinchiuso molto più a lungo, e rispondo ai messaggi insistenti.

Sono vivo, ho i biglietti e voglio che tutto il mondo lo sappia: questa l’ultima improbabile battuta di un improbabile film durato cinquanta minuti. Dieci in meno rispetto al previsto.

Quo vado di Gennaro Nunziante – il regista è lui, ma nessuno lo nomina – ha incassato ventidue milioni di euro in tre giorni.

Il cinema è gremito, Checco Zalone è idolo delle folle, chapeau. C’è stato di molto peggio.

Il film comincia, scorre e va subito avanti. Perché l’inizio è la parte migliore. A Zalone bambino – l’attore che lo interpreta è il più irresistibile, ottima anche Sonia Bergamasco nei panni dell’esasperata Dottoressa Sironi  – viene chiesto cosa sogna. I suoi coetanei hanno appena dato le risposte più nobili, ma pardon banali: dal veterinario all’astronauta, in quei tempi di prima repubblica dove tutto sembra possibile.

In tempi di seconda – o forse terza – repubblica quei bimbi diventati adulti e i loro lavori nobili e sudati sono spariti dalla scena. Invece Zalone vede realizzata la sua ambizione: essere posto fisso, ma quel posto fisso in un ente provinciale, dove si arriva in bici e dove a far rumore sono solo i timbri.

Scatta la riforma, arriva il taglio delle province, parole nuove come spending review comunicano che anche quel posto sembra destinato a svanire.

Non c’è Mago Merlino, manca il lungimirante Virgilio: la guida di Checco nell’Inferno all’improvviso è Nicola Binetto, senatore della repubblica che lo invita a non accettare la buonuscita, ma aggrapparsi il più possibile a quel sogno.

Grazie a un’ancora che si chiama mobilità. Da Lampedusa alla Val di Susa, dai ghiacci delle Isole Svalbard all’equatore, non fa differenza: il paradiso in terra lo assicura quel posto fisso.

N. è seduta accanto a me: ha un lavoro, si è laureata prestissimo. Si è trasferita in una città del Nord e sta facendo carriera. Ma non ha quel posto fisso. Percorre centinaia di chilometri, ha una partita iva e una tassazione oltre il sessanta per cento. Alla mia destra c’è B: lavora stabilmente, ma non ha quel posto fisso. Dieci, dodici ore in ufficio, tra clienti, appuntamenti, corse in banca.

Il mio amico F. è seduto poco oltre: l’orario di chiusura non è quello dello sportello e se sbaglia, paga.

A pensarci bene tesse e mi racconta la trama di questo film da qualche anno. L’ha anticipata, proprio cosi, sin dal suo primo giorno della sua avventura lavorativa. Soltanto il nuovo, ennesimo inizio.

All’estremità c’è D: esce di casa all’alba e torna quando il tramonto è solo un ricordo. S,M, e F si sono dovuti reinventare e come tutti sopportano. Hanno un lavoro, ma non quel posto fisso.

Non ci resta che piangere, pardon ridere: il film finisce tra le risate.

Riso amaro, penso… No, qui non si parla di quel film, di quelle risaie, di quelle mondine. Non c’è Silvana Mangano in un’Italia del dopoguerra che tenta di rialzarsi con dignità.

Già, è finita anche quella prima repubblica, tanto evocata e amata dal senatore alias Lino Banfi redivivo. Si è incenerita, piuttosto finita nella pattumiera.

Un tempo mangiavano tutti. Già, si stava meglio. Si dice.

Forse è vero, ma è altrettanto incontrovertibile che dopo una grande abbuffata, si affacciano due destini. Indigestione, se sei stato seduto intorno alla tavola imbandita. Gli avanzi, o peggio ancora le briciole, se non hai fatto in tempo e sei rimasto in piedi.

A proposito. Io non ho quel posto fisso. Non ho fatto indigestione, ma almeno ho un foglio bianco per scriverlo.
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