Quindici anni senza Anna
La mattina dell’8 ottobre 2021 il giornalista russo Dmitry Muratov riceve una bella notizia: vinto il Premio Nobel per la pace. Lui di anni ne ha cinquantanove, e da molti combatte per la libertà di espressione nel suo paese. Nel 1993 diventa direttore di un nuovo giornale, la Novaya Gazeta e in quel periodico, cinque anni dopo, arriva una reporter semi sconosciuta. Si chiama Anna.
Otto anni dopo il suo arrivo alla Novaya Gazeta Anna Politkovskaja ha fatto parlare tanto di sé. Ha un aspetto rassicurante, una voce pacata, ma una volontà di ferro. Nasce nel 1958 a New York, perché i genitori erano entrambi diplomatici in carriera. Nel 1979 sposa il giornalista Aleksandr, diventa madre di Il’ja e Vera. Nel 1980 si laurea, ma il tempo conferma che è destinata a una vita diversa da tantissimi altri: il suo amore per il giornalismo libero la poterà lontano, lontanissimo.
Più che in vetta, la trascina verso quelle zone di guerra dove anche quando non si combatte, la quotidianità è tutt’altro che pacifica.
Lei la racconta, descrivendo rapimenti, estorsioni, torture e assassini. A quarant’anni imbocca una strada che non conosce andata e ritorno: da corrispondente inviata in Cecenia, dà vita a inchieste che valicano, pian piano, i confini nazionali e le anguste sale di una qualsivoglia redazione. Le sue inchieste in terra cecena ispirano due libri, dedicati a quella piccola repubblica della federazione russa dove il conflitto si combatte in due tempi. Due titoli diversi, ma con una parola in comune.
Quella parola è Inferno, perché anche chi di parole vive ed è pronto a morire, può non avere altra scelta. Viaggio all’inferno e Angolo d’Inferno vengono pubblicati a distanza di pochi anni, e il titolo resta evocativo, perché sia chiaro che lei non fa sconti a nessuno”
Eppure, il suo nome viene troppo spesso associato, quasi all’unanimità, a quello di Vladimir Putin, presidente ad interim, l’uomo più importante a capo del paese più grande del mondo. Una scelta apparentemente comprensibile: da un lato abbiamo un’eroina coraggiosa, leale, lontana dal potere. Dall’altro lo zar dagli occhi di ghiaccio, figura controversa, misterioso sin da quando è venuto al mondo. Tutto questo non rientra tra le pagine di un romanzo ottocentesco, uno di quei romanzi russi dove s’intrecciano nidi, amori, destini.
E poi, anche se ad entrambe la coscienza non lascia scampo, Anna P. non è Anna Karenina. Lei non indietreggia su nessun fronte, la sua non è una lotta cieca contro questo o quell’ individuo, e manca la rassegnazione. Lasciati i binari delle stazioni, è pronta a tornare in quell’angolo d’inferno chiamato Cecenia, dove indaga – anche – sulla famiglia Kadyrov.
Prima Akhmad, poi suo figlio Ramzan; perché quest’ultimo, dopo la morte del padre in un attentato, subentra al leader in carica e prende le redini del governo locale. Era il marzo del 2006 e da allora è ancora il Presidente. Pochi mesi dopo, il 7 Ottobre – il giorno in cui Vladimir Putin festeggia il suo compleanno – Anna Politovskaja – sopravvissuta a tutto – sta rincasando. L’ androne, l’ascensore, pochi passi e poi finalmente casa: però quel pomeriggio accade qualcosa che glielo impedirà per sempre.
“Quattro spari nel petto e uno in testa” – è così che un importante quotidiano nazionale mi/ci descrive la sua fine. A ragione, perché la verità viene prima di tutto, come avrebbe detto anche lei, quella donna, madre, reporter che si chiamava Anna.
A sparare i colpi un uomo, Rustam Makhmutolov, che ha agito in coppia con Lom-Ali Gajtukiaev. Nel 2014 entrambi sono stati condannati all’ergastolo. Altri tre imputati, “le sentinelle, i complici” condannati a dodici anni di colonia penale. Non si tratta di citazione kafkiana, eppure ben oltre il romanzo esiste quella vita vera dove spesso la giustizia fa sconti a chi non dovrebbe.
All’indomani del quindicesimo anniversario, per il delitto di Anna Politkovskaja scatta la prescrizione. Malgrado le sentenze, rimane un delitto irrisolto perché il vero mandante non è mai stato nominato, mai trovato, mai arrestato. Proprio lo stesso giorno, l’amico e collega Dmitry Myratov vince il Nobel per la pace. Non da solo, perché c’è chi nasce per condividere tutto, anche il premio più importante. Oltre a lui, il mondo si è accorto finalmente dell’esistenza e del lavoro instancabile di Maria Ressa, reporter filippina, incarnazione della professione vissuta come missione perché, a suo dire, “niente è possibile se mancano i fatti”.
Domani per Dmitry sarà un altro giorno. Diverso, ma con lo stesso obiettivo: fare del proprio meglio. Come hanno sempre fatto Anastasia Baburova, Viktor Popkov , Yury Shchekochikhin, Stanislav Markelov, Igor Domnikov , Natalya Estemirova, uccisi negli anni. Ecco perché in una piccola stanza della redazione non manca mai un vaso con garofani o rose rosse.
Nei quindici anni senza Anna, oltre al silenzio, persiste il rischio che qualcuno come lei non arrivi a destinazione e non torni a casa. Forse Anna lo sentiva. Forse no. O magari l’ha scoperto quando, da giovanissima, scelse di dedicare la sua tesi a Marina Cvetaeva, la grande poetessa russa che una volta disse:
“La vita è una stazione. Presto me ne andò – dove, non so dire.”
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