
Meraviglie dall’isola che c’è
Piero Ciampi sosteneva che una città può diventare un’isola, capace di raccogliere il mondo intero. Questa frase tenta di riassumere una lezione domenicale appresa per caso in un programma televisivo. Ciampi era cantautore che “cantava” e amava gli ultimi, definizione che non abbraccia necessariamente i soliti invisibili, coloro che tentano di sopravvivere nelle sterminate periferie di una città da terzo mondo.
Oggi per essere invisibili basta vivere lontani dal mondo visibile, che è diventato un mix di luoghi mondani e luoghi virtuali, visitabili dall’alto e con l’ausilio di una mappa interattiva.
Tutto è rintracciabile, ma tutto è soltanto ingannevolmente – esplorabile. Già perché c’è un’isola nel mare Nostrum, che realmente nostrana non lo è mai stata: al centro di questo Mare c’è la Sardegna, conosciuta per il suo mare bellissimo e per le coste battute dal Maestrale, vento impetuoso e poetico.
Ma a contare, in quest’isola che effettivamente esiste, sono sempre di più gli yacht che solcano acque che non conosco, ma che, assicurano, essere paragonabili a quelle di mari esotici protagonisti di racconti d’avventura divenuti leggendari. Peccato che il mare della Sardegna sia spesso solo un contorno, visto come lo sfondo teso ad abbellire storie estive di gossip tutte uguali, tutte spiattellate sotto lo stesso sole e tutte senza brio, pardon senza sale.
La mondanità delinea oggi fisionomia e confini di una terra che in passato era terra d’esilio e di isolamento. Forse anche per questo, attualmente la barriera che divide ospiti visibili e residenti invisibili in Sardegna è più marcata che altrove.
Non è un caso che qui fino a sette giorni fa, nell’Isola che sembra esistere solo per chi può permettersela, Rodolfo, Renato, Lorenzo sulle copertine non c’erano. Ci sono finiti nel momento in cui hanno salvato la vita ad una donna di novant’anni che rischiava di bruciare viva. Per fortuna nel mondo contemporaneo esiste un’appendice del libro Cuore – dove il racconto del tamburino sardo costituisce un cavallo di battaglia – che non ha bisogno di essere romanzata. Gli eroi di oggi sono ragazzini di oggi. Finiscono in televisione e diventano volti virali sui social, finiscono nei commenti di persone – come il sottoscritto – che ignoravano l’esistenza di un comune di nome Guspini.
Il villaggio dei ragazzini eroi, usciti improvvisamente dall’anonimato in un giorno di Pasquetta, si trova in una zona meno mondana dell’isola dove viaggio e turismo sono sempre più parenti lontani.
Nessuno al di fuori lo sa o se lo vuole ricordare, ma in Sardegna ci sono anche gli impianti siderurgici, le industrie minerarie, grosse aziende petrolchimiche e piccole aziende addette alla lavorazione del sughero. Nella terra esplorata, civilizzata, depredata da mori e fenici, cartaginesi e aragonesi, ben prima di essere “traghettata” verso l’Italia dai Savoia, esiste una realtà che dà pane comunque, anche senza turismo. Ma soprattutto, non vanno dimenticate quelle persone che sono vive e popolano luoghi che esistono e restano inesplorati.
Per fortuna ogni tanto, ce lo ricordiamo. Grazie a gesti che hanno un valore incommensurabile. Grazie a voci inascoltate e che sembrano emergere dal nulla, forti abbastanza da tradurre in azione sentimenti che sembrano appartenere a romanzi di altre epoche, ai racconti suggestivi degli avi.
A questa terra che per ¾ resta dimenticata, appartiene anche un bambino di nome Giovanni. Questo ragazzino di cinque anni ha donato tutti i suoi risparmi – 45 centesimi – al medico oncologo che ha curato la madre malata di cancro.
Giovanni non conosce – probabilmente – la parola beneficienza, sicuramente non la usa riempendosi la bocca delle frasi spesso stucchevoli che fungono da corredo nei salotti televisivi. Giovanni è il bambino che dà tutto quello che ha, perché un giorno chi vive lontano da lui possa stendersi sotto i riflettori di una sala operatoria con la massima speranza e la massima serenità.
Giovanni, Lorenzo, Renato e Rodolfo. Futura generazione, figli di oggi protagonisti di un pezzo di cronaca che negli anni finirà ingiallito, eppure capaci di regalare nuova luce e aria nuova ad un’isola che per la posizione e per il suo clima non ne è assolutamente priva.
C’è – ed ha ben ragione di esistere – un’isola nell’isola. Un’isola che non c’è sulle riviste specializzate e che non cercheresti mai, perché rappresenta il lato della medaglia che non interessa far luccicare sotto i raggi del sole.
L’isola che c’è è fatta di villaggi sparsi in un territorio aspro, costellato ogni tanto da montagne, le cui vette ricordano i suoni di una lingua che rivendica – pur nelle diverse varianti – una identità propria figlia di spiriti autonomi e mai domi. Un’isola capace di assumere toni desertici dove però può nascere e crescere un fiore, che resiste al tempo a dispetto di tutti.
In un angolo di isola che per fortuna è reale, c’è ancora spazio per quattro ragazzini che giocano, vivono e ci insegnano qualcosa con sorrisi spontanei e con poche, semplici parole. Proprio come conviene a chi vive – o sceglie di vivere – su un’isola.
Un fiore che a dispetto di tutto e tutti si fa spazio tra le pietre, in un paesaggio aspro, primitivo, lunare. Ecco, forse quest’immagine basta a sintetizzare ciò che di meglio il mondo intero ha da offrire.
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