Marea umana si marea nera no
Da qui la California dista parecchio. Infatti è una terra lontana, ecco perché negli anni è stato facile dipingerla come la terra promessa. Poi, quando pensiamo al surf e alle spiagge assolate, alle stelle di Hollywood, al Golden Gate con la baia di San Francisco al tramonto, effettivamente lo diventa.
Ma oggi la sentiamo vicina, anzi vicinissima, perché è terra vulnerabile e ferita: pochi giorni fa quattrocento mila litri di greggio hanno cambiato il colore del mare a Santa Barbara. La causa? verrebbe subito da chiedersi.
Chiariamolo subito: non è stata colpa di una piattaforma come nel 1969, quando milioni di oro nero sono finiti in mare. Da allora li le piattaforme non ci sono più, ho letto. E’ bastato lo scoppio della fessura di un oleodotto – che in confronto alla piattaforma sembra un moscerino – solo apparentemente sepolto nell’Oceano Pacifico. Cosi ho letto.
La prima goccia californiana fa gridare alla calamità, ma poi ne arrivano altre e si forma una macchia lunga sei chilometri.
A sei chilometri dalla costa dei Trabocchi, in Abruzzo, dovrebbe sorgere la Piattaforma petrolifera Ombrina mare 2. Alta come un palazzo di dieci piani e collegata ad una nave cisterna. Non è una coincidenza se mi trovo sotto un palazzo alto una trentina di metri che in una giornata grigia, fresca e senza sole, non serve nemmeno a riparare dai raggi del sole. Ci sono i cori da stadio, in strada, che incitano e inveiscono contro l’ombra nera. Siamo vicinissimi al Guido Biondi, ma i cori in questo sabato di fine maggio non provengono dagli spalti.
Sfilano intanto i ragazzi del gruppo orsa minore e reggono reti da pesca. Sull’asfalto veleggia una barca, ma questa scena vagamente felliniana per ora mi diverte soltanto. Già siamo all’inizio di una marcia che durerà tre ore e non è giunto ancora il tempo di scattare una foto o di dedicarle la riflessione che merita.
Oggi Lanciano, è colorata e compatta contro l’ombra nera. Finalmente è una città che diverte e incuriosisce, nonostante la minaccia incombente. La città che unisce tutti sotto un’unica bandiera e non contano le differenze. Sono solo sfumature.
La protesta è trasversale, forte, univoca. Non esistono classi sociali, partiti politici, giovani o non giovani: a reclamare il proprio diritto a vivere ci siamo tutti. Non è forse un caso, magari una felice coincidenza, che il corteo parta da una zona a vocazione industriale e prosegua per zone residenziali e a vocazione commerciale.
No ombrina day riguarda ognuno di noi: Il neonato ed il moribondo, il povero quanto il ricco, coloro che vivono il presente e coloro che verranno. Ecco perché un attimo prima di prendere parte al corteo, tutti si soffermano per un istante a guardare. Non c’è motivo per avere fretta, ci sono tutte le ragioni per rilassarsi e godersi questa giornata unica, finalmente particolare: l’assenza di auto e traffico resta in secondo piano, perché nel No oil day loro devono restare ferme e non devono “parlare“. Tocca alla gente che si è rimpossessata delle strade e dell’aria, a coloro che per un paio di ore tornano a sentire il rumore dei propri passi in mezzo alle strade in pieno giorno.
Sono i cori e gli slogan a distrarci e paradossalmente a farci riflettere appena un attimo dopo. Sono slogan di membri di comitati e associazioni, di centri sociali provenienti da regioni limitrofe.
Raffiniamo la genziana dicono gli esponenti di 3 e 32, l’organizzazione no profit nata a L’Aquila dopo il terremoto.
L’ombra nera però c’è ed è reale: Luigi e Filippo hanno le mani nere come la pece. Il colorante andrà via a fine giornata, ma per ora è fondamentale che la pelle non torni ad assumere il solito incarnato. Quelle mani ci ricordano che qui vogliono stoccare tonnellate di olio, quelle mani nere mi fanno temere che la mia non sarà più la Regione Verde, motivo per cui l’ho sempre amata.
Luigi e Filippo non hanno nemmeno vent’anni: non so se sono al corrente che qualora il progetto andasse in porto, la produzione di Ombrina andrebbe avanti per almeno un quarto di secolo. Di fronte a casa mia e a casa loro. Ma anche se fosse dinanzi alla porta del nostro vicino o dello sconosciuto che vive lontano, dovremmo tutti tingerci le mani e il cuore di nero.
Le nuvole annunciano pioggia e il cielo è grigio: mi passa accanto un uomo e non saprei stabilire la sua età. E’ curvo e trasporta un barile come se fosse una croce sfilando per le vie cittadine come il Cireneo scalzo durante la settimana santa. Il cielo oggi dovrebbe avere le stesse sfumature azzurre dell’oggetto incriminato, ma cosi non è.
Quando inizia a piovere ci sarebbe ragione di allarmarsi, ma sono gocce d’acqua e non inducono allo sconforto: costeggio il corteo e mi imbatto di nuovo nella barca incontrata un paio di ore prima. Un uomo con la barba sembra il perfetto marinaio. Appoggiato alla vela, scruta con attenzione e curiosità ogni dettaglio. Normale che si accorga del mio smartphone puntato sul suo viso.
Non c’è il mare, ma solo asfalto sulle strade. Eppure la barca si muove. Insieme alla marea umana che noncurante delle nuvole gonfie di pioggia va avanti verso Corso Trento e Trieste e procede spedita verso Piazza Plebiscito.
Poi arriva il diluvio e la folla si disperde. Ma la missione è compiuta e quella barca, che non vedo più, ai miei occhi si è trasformata già nell’arca della salvezza e della speranza. Nello spunto di un’ipotetica lettera scritta ad un ipotetico destinatario.
Cari amici di Ombrina, lasciateci il nostro mare.
P.S Aggiungerei pure quanto segue
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