L’ultimo sogno di Joachim

C’è un hangar vuoto in una notte glaciale di gennaio. Si tratta di un magazzino adibito a merci, pardon di un entrepôt, visto che siamo a Dumont, villaggio francese di quindicimila anime a nord di Parigi. Joachim è li quella sera e non sta lavorando. Quell’entrepôt è il suo tetto dove può proteggersi dal freddo: ha quarantatré anni ed è un sans abri, un clochard, un barbone.

Ma quell’entrepôt è anche  il suo rifugio, dove ogni notte è possibile isolarsi, sentirsi protetto o magari ancora un vincente. Quella notte non è come tutte le altre, che accentuano la sua solitudine.

Ci sono notti come quelle di Kobe Bryant e poi ci sono notti come quelle di Domont, dove le luci sono spente e c’è soltanto freddo.

Da Domont a Bordeaux. Per questo la notte diventa il momento ideale per viaggiare nel tempo senza problemi.

Quella tra il 18 e il 19 gennaio è e sarà l’ultima notte di Joachim Fernandez, ex giocatore senegalese classe 1972. E’ la sua ultima occasione per sentirsi vivo dato che sta morendo di freddo e se ne sta andando per sempre. Ma prima di lasciare questa terra, Joachim ha il tempo di sognare, di rincorrere sogni e speranze. Anzi, un pallone di calcio in uno stadio amico. Quello di Bordeaux.

Non saprei dire se il suo sogno è fatto di ore o secondi perché a differenza degli incubi i sogni non hanno un inizio e non hanno una fine, cosi come non conoscono la punta velenosa e amara delle lancette dell’orologio.

Ecco, sta uscendo dagli spogliatoi. Nella sua mente non c’è più posto per il presente.

E’ martedì, è il 19 marzo 1996 e quella è una data da ricordare. Joachim si dirige verso la panchina perché Gernot Rohr, il suo allenatore, ha voluto cosi.

Lo spirito di squadra vince comunque: tutto è stato preparato per il meglio: Rohr e i suoi devono ribaltare una gara che sembra persa in partenza. Allo stadio Matmut Atlantique oltre trentamila spettatori ci sperano con il cuore, ma con parole e pronostici credono di sapere come andrà a finire.

Il Milan non è quello delle stagioni passate, ma è forte del due a zero dell’andata e vanta una squadra di tutto rispetto: difesa di Maldini, Baresi, Costacurta e Panucci. Centrocampo con Desailly e Vieira più arretrati rispetto ai compagni Eranio e Donadoni.

Avanti ci sono loro: Weah e Baggio, l’autore del raddoppio allo Stadio Meazza grazie ad una punizione magistrale.

Vorrei interrompere il sogno di Joachim e ricordargli che deve portare rispetto al Milan di Capello. Ovvero il Milan dei record e degli anni dell’adolescenza, quello che nei miei ricordi è secondo solo al mio Milan degli anni d’infanzia. Quello di Sacchi e degli olandesi. Joachim però nel suo sogno conta nuove stelle, ma confida in una soprattutto.

Quella di Zinedine Zidane, che brillerà con la maglia della Juve e del Real Madrid, e trainerà i francesi verso la vittoria della coppa del mondo soltanto due anni dopo.

Accanto a Zizou il Bordeaux vanta giocatori come Dugarry e Lizarazu. Joachim sogghigna ancora al suono di una filastrocca che è segno premonitore. E’ già il quattordicesimo minuto e Bixante Lizarazu è pronto per l’assist fatale: Thoulot si fa trovare in area e gela il portiere rossonero Ielpo.

C’à été formidable, ce but a été formidable. Lo dice lui, Michel Platini, che sta commentando su canal + la partita. Le Roi loda l’assist di Lizarazu e questo gol riaccende le speranze di tutti i tifosi girondini.

Il risultato torna ad essere un conto aperto, in una partita che adesso finalmente può essere giocata fino alla fine. Il risultato non è scontato, finalmente. I suoi compagni lottano in campo e rivendicano questo diritto. Nel frattempo però  Joachim sta combattendo la sua battaglia, mentre dorme solo a Domont.

I minuti forse passano in fretta, i brividi aumentano e Joachim non ha mai sentito cosi freddo: in quell’hangar sta giocando la partita della vita, come il suo Bordeaux contro il Milan.

La sta affrontando solo, ma il tremore che lo avvolge lo disorienta e gli fa sentire l’eco degli spalti e dello stadio. Siamo nel mezzo della gara, di nuovo a Bordeaux.

Il secondo tempo. E’ già il secondo tempo perché Zidane sta per battere una punizione e i suoi compagni sono nell’area avversaria, dall’altro lato:

Il tifo si da concitato, il tiro non è perfetto ma non c’è bisogno della perfezione. Piuttosto di una deviazione, vincente, e di Dugarry che segna il due a zero.

C’è festa, mister Rohr abbraccia il suo giocatore che agita la chioma. Joachim è contento, ma d’un tratto, sul due a zero, trema ancora di più.

Il risultato dell’andata è stato eguagliato, a questo punto, quella notte, si può vincere o perdere tutto. Joachim non ha tempo di contare i minuti: sta rivivendo tutto nel suo sogno e non c’è nemmeno bisogno di dare peso o importanza alle lancette dell’orologio.

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L’ombra di Desailly. D’ un tratto i suoi occhi si posano su Desailly. Non è un caso, perché qualcuno ha osato addirittura paragonarlo a lui, al grande Marcel, ex difensore e centrocampista di Olympique Marsiglia, Milan e Chelsea.

Joachim sorride, mentre Marcel perde la palla e la testa: Zizou e Lizarazu sono incontenibili. In un attimo il loro uno –due è implacabile e dopo un rapido rovesciamento di fronte, Zidane serve il solito Dugarry. In quel momento, nel sonno, Joachim tira un calcio nel vuoto: ma non conta perché Dugarry ha già segnato il gol del tre a zero. Quello della vittoria insperata e inattesa, ma voluta a tutti i costi.

Zizou, Lizarazu, Dugarry: questa è la formula vincente, l’alchimia che trasforma il sogno in oro.

Joachim sta dormendo, ma sta ancora sognando: ha freddo e nel sonno tenta di difendersi dal suo nemico in ogni modo, ma sembra tutto vano finché lo assale un brivido, poi una vampata di caldo eccezionale. E’ un fremito di orgoglio e il sangue torna a circolare come dovrebbe, anzi più veloce: vede due numeri, sono un tredici ed un nove.

E’ in piedi a bordo campo e un attimo dopo entra al posto di Thoulot. Manca davvero poco, ma Joachim è felice. Ha il tempo di correre in campo, di sentire finalmente il calore e l’abbraccio dei suoi tifosi che pregustano la storica vittoria e la qualificazione alle semifinali di Coppa Uefa.

C’è ancora però il rischio di prendere gol, di mandare tutto in frantumi: Platini dice che sta per finire, ma c’è ancora il tempo per un calcio d’angolo velenoso.

L’ultimo gesto e l’ultimo sogno. Joachim fa un ultimo tentativo. E’ un balzo, un sussulto: deve arrivare sul pallone prima che lo tocchi un avversario e possa mettere fine al sogno.

Sente i commenti frenetici di Platini, le urla dei tifosi mentre l’ombra che lo perseguiterà negli anni -alias Desailly -protesta con l’arbitro: i battiti dei cuori dei giocatori e dei tifosi sono all’unisono, nessun respiro è più regolare.

Il sangue pulsa, le gocce di sudore sono ormai cristallizzate e non si muovono più. Non c’è più niente da dire, o pensare, ogni logica è sospesa e c’è solo istinto a sorreggere le gambe. Stanno per fermarsi, l’anarchia sta per prendere il sopravvento e gli avversari corrono più veloci sul pallone.

Potrebbe finire tutto, il sogno potrebbe arrestarsi ma ecco che, finalmente, l’arbitro ha fischiato ed è giunta la fine.

Fine o inizio. Pian piano i muscoli si rilassano e Joachim sorride beato. Vorrebbe andare con i compagni sotto la curva dei tifosi, però il respiro è affannoso e  il cuore sta rallentando: le luci dei riflettori si affievoliscono fino a che si spengono del tutto. D’un tratto i cori dei tifosi si arrestano ed è circondato dal silenzio.

Tutto è buio, intorno. La corsa è finita, il freddo è tornato prepotente, c’è solo il presente.

Zidane è a Madrid ed è stato tanto amato da essere rimpianto dai francesi come Platini. Ma anche tutti gli altri compagni sono altrove, in case comode e confortevoli, mentre lui è solo. Joachim ha smesso di correre e ormai ha smesso di lottare. Ma prima che arrivi il triplice fischio finale, ha un ultimo sussulto: è di nuovo in un campo, sotto il sole cocente, nel suo Senegal.

Li, forte come un tempo, ha davanti a sé una porta vuota e un campo sterminato.

Sta per calciare un tiro formidabile sotto il sole accecante. Intorno a lui c’è una folla sterminata di sostenitori. Tutti urlano il suo nome e non c’è avversario che arresti la sua corsa.

Nessuno è forte come lui e nessuno può batterlo.

L’ultima cosa che vede è il suo sorriso: di certo non ha mai visto niente di più bello e di più vero
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