L’incredibile scalata di Amir

Ho già attraversato Il Nepal sconquassato dal terremoto nel momento in cui mi sono imbattuto in Sonies, il miracle baby di cinque mesi estratto vivo dalle macerie. Un anno fa c’era un disperato bisogno di quel simbolo perché il mondo si concentrasse su quel paese cosi povero. Purtroppo le tragedie devono accadere in determinati posti, altrimenti si fa fatica a mantenere desta l’attenzione. Ma questo lo sanno tutti.

A dir la verità ho ceduto anch’io alla tentazione di guardare altrove, ma poi, ancora una volta – grazie allo stesso piccolo miracolo che si ripete ogni volta– una mano invisibile, con il tocco deciso, ha afferrato la mia testa e mi ha costretto a guardare dall’altra parte del mondo. Proprio li dove ci sono ancora le macerie. Esattamente un anno dopo. Questa volta in un altro villaggio e quindi nella capitale Kathmandu, dove oggi vive un ragazzo molto giovane: Amir ha sedici anni e per questo avrebbe ancora bisogno di presentazioni.

Lo hanno intervistato e ripreso in un video: scorrono rapidamente le prime immagini tra una pennellata nera e quindi una di un verde deciso. Determinato come il suo artefice.

E’ Il video che tenta di raccontare quest’altro miracolo – forse – o prodigio che è diventato realtà li, ai piedi dell’Everest.

Amir non ha le mani, ma non se ne cura: è diventato famoso grazie ai quadri che dipinge stringendo il pennello con i denti.

A questo penserò dopo essermi soffermato di nuovo sui colori dei suoi disegni e non è casuale: credo che poche storie possano essere raccontate a colori al giorno d’oggi. Molte, nonostante il digitale e il foto ritocco sembrano meno vive di un bianco e nero sbiadito. Invece la vita di Amir è frutto di innumerevoli sfumature che non è possibile contare e per questo dovresti ringraziarlo.

E’ inutile negarlo: Amir è speciale perché stringe i denti. No, non si tratta soltanto di una metafora: Amir stringe i denti e trattiene il pennello che lo aiuta a scrivere, disegnare, creare.

Non ha le mani, il suo corpo è martoriato da una malattia che sembra troppo crudele per essere vera.  Non potrebbe muoversi senza il suo trolley – a dir il vero un carrello per nulla sofisticato e decisamente rudimentale.

 

Il video che me lo ha fatto conoscere è sul web; è un video che tenta di raccontare il suo spirito. Normale, penso, che sia il suo sorriso ad essere protagonista.

 Il suo non è un sorriso pianificato, il sorriso plastico affetto da sindrome selfie, perennemente condizionato da smartphone o telecamere. Il sorriso di Amir è spontaneo perché rappresenta una conquista come tutte le cose.

Ma soprattutto, è la prova che la sua non è una storia inventata: ha iniziato a scrivere nonostante sembrasse impossibile.

Ha continuato a perfezionarsi e poi le sue parole – segni disarticolati in un primo momento – si sono trasformate in versi di poesie che urlano il dolore, certamente, ma in ogni momento esaltano l’attaccamento alla vita che molti non potranno comprendere.

Amir decide cosa fare: le parole non gli bastavano, quindi sono arrivati i primi segni con la matita. Poi, finalmente, quei segni sono diventati forme e colori che riempiono paesaggi – nonché animali – che popolano la sua terra. Il Nepal menzionato e ammirato da girovaghi e avventurieri, spesso cacciatori di solitudine sublime.

Terra amata e maestosa, amara per le sue montagne imponenti e regine tra tutte: Amir ovviamente usa la bocca anche per parlare e sa farlo. Non serve conoscere la sua lingua – sta anche studiando l’inglese assiduamente per conoscere quelli come lui – perché il suo modo di parlare non conosce tentennamenti e i suoi occhi non temono l’obiettivo, nemmeno quando ammette che preferisce quel dialogo che non prevede risposta.

“Parlo con i soggetti dei miei disegni: non mi rispondono, ma non fa nulla. Lo faccio perché me lo suggerisce l’anima”…

Anche quando Amir tiene chiusa la sua bocca, dinanzi alla sua la tua rischia di restare aperta: lo guardi pennellare e pensi al suo desiderio di tagliare traguardi inattesi. Oggi Amir è diventato volto noto: la sua arte lo ha fatto conoscere e quindi sono arrivati gli aiuti attesi da una vita.

Fino a un anno fa – praticamente ieri – Amir riusciva a muoversi soltanto grazie a sua madre. Lei lo portava ovunque, prima che arrivasse il trolley che oggi consente a coloro che gli sono vicino di portarlo ovunque lui desideri o abbia necessità di andare.

“Chi altri l’avrebbe fatto, se non lei ? “ lui non ha risposte a questa domanda e forse nemmeno chi lo ascolta.

Il trolley di Amir mi ricorda quello che usava Christy Brown per muoversi. Il trolley però è solo il dettaglio che rafforza questo paragone. Avevo qualche anno in meno di Amir, quando – di nuovo per caso o forse per un altro miracolo – mi sono imbattuto nella storia di Christy Brown. Era tarda sera, proprio come oggi, ed in televisione  appariva un giovane Daniel Day Lewis provato da spasmi continui.

“Il mio piede sinistro è film da oscar”. Lo pensai subito e ne ebbi conferma anni dopo: è la pellicola che racconta la vita di un giovane ragazzo affetto da paralisi celebrale.

Ma in povertà e in malattia devi crescere in fretta: nella povera Irlanda degli anni quaranta e cinquanta il giovane Brown conosce la solidarietà, ma è costretto a cavarsela da solo. Alla partenza nessuno avrebbe scommesso su di lui, nemmeno i suoi diciassette fratelli e suo padre. C’è solo la madre, che risparmia centesimo su centesimo per comprare una carrozzina. Il piede sinistro è l’unica parte del corpo che riesce a controllare e inizia ad usarlo per dar voce a ciò che sente e non potrebbe esprimere altrimenti.

http://https://www.youtube.com/watch?v=2dRdWJfv-cM

A diverse latitudini, Christy e Amir sono accomunati dalla consapevolezza che ogni minuto deve essere propizio a qualcosa di nuovo.

Piede o bocca, non fa differenza: si usano per battere tasti di una tastiera. Il corpo trema, ma non impedisce alla mente di dar vita a pennellate decise che restano impresse sulla tela. A Dublino come ai piedi dell’Everest.

A me, come a tantissimi altri che conosco, questa montagna non lascerebbe speranze. Se la guardi con gli occhi appare come il luogo inaccessibile ed inospitale.

Diresti lo stesso – di getto – pensando alla vita del ragazzo senza mani e che non può camminare. Ma esiste un disegno dove Amir, accanto alla bandiera del suo paese, dà forma, pardon un’anima, a quella stessa montagna.

Per lui scalarla non è impossibile come lo è oggi per te, che hai braccia e gambe.

Ad Amir è bastato poco: Amir sta toccando il cielo con un dito. Neanche a dirlo, senza muoversi.
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