L’impresa (ma soprattutto l’anima) di Levi Siver

Prima della discesa sulle montagne innevate vicino Sapporo, Giappone, vedi Levi Siver affrontare l’inevitabile salita. La natura non fa sconti nemmeno a lui, campione di windsurf americano, capace – come recita mamma Redbull che l’accompagna – di piegare il vento al suo volere. Tuttavia, anche questo può non bastare: Levi vuole dimostrare a se stesso, più che agli altri, di essere sempre il primo.

Storia di un pioniere. Levi non assomiglia a quegli uomini in jeans e bretelle che arrivavano nel selvaggio West per conquistarlo. Lui stesso però è figlio dell’ Ovest più estremo:

l’Idaho, stato ignoto a molti miei connazionali. La sua capitale Boise è tra le città americane più sconosciute, ma ha il suo bel Campidoglio e inevitabilmente anche qui – dopotutto pure lei è città a stelle e strisce – spunta il centro di ricerca di una multinazionale.

L’Idaho è un po’ distante dall’Oceano, ma per Levi questo è stato ostacolo temporaneo. Valicando le montagne, si arriva a Seattle, a Portland e procedendo verso sud appaiono all’orizzonte San Francisco e Los Angeles.

Levi è campione di windsurf da tempo immemorabile. Levi solca le onde di tutti i mari del mondo. Levi Siver è pioniere. Nella sua scelta di vita non scontata ritrovi i caratteri del rischio, la febbre per l’oro che nel suo caso si tinge di blu e di verde – dipende dalla luce del sole oltre che dai fondali – e a stretto contatto con l’abisso.

Levi è felice. Nei venti giorni di riprese sull’isola giapponese di Hokkaido, Levi cambia rotta. O meglio, punta la vela verso l’alto, la somma di un monte dove si vede comunque il mare.

Ho guardato l’impresa di Levi e soltanto dopo ho scoperto che ci sono voluti otto mesi per preparare, montare, editare e ultimare il filmato.

E’stata una fortuna, perché avrebbe arrestato la corsa del sottoscritto seduto sul divano di casa sua: una cosa con la mente più che con gli occhi, perché una magia non dura mai troppo e tu devi starle dietro.

Con tutto il rispetto per il lavoro altrui, per le prove necessarie, per i calcoli, per i tentativi andati a vuoto, l’impresa di Levi la cogli in quel paio di minuti in cui lo vedi scendere con la tavola da windsurf sulla neve.

Vedi il cielo cambiare colore, percepisci che la luce è diversa: eppure al centro c’è questo ragazzo che scende, segna il passo, si lancia in impresa che altri ora tenteranno di replicare e magari con altrettanto successo.

Il mare e la neve. Hokkaido è un’isola nel nord del Giappone, dal clima rigido e incredibilmente nevosa: proprio il mare umidifica le masse d’aria siberiana che, data la vicinanza dei monti, generano precipitazioni e scaricano ingenti quantità di neve.

Levi è cresciuto tra i monti, in età adulta il mare è diventata la sua vita. A pieno titolo, si lancia in un’affermazione: “Oceano e montagne hanno molto più in comune di quello che uno pensa”.

Ha ragione, e la prova sta nella meraviglia che ti impedisce di aggiungere altro.

Se non che i sogni sembrano facili da realizzare e sono scontati come la discesa a tutta velocità che invece richiede esperienza e capacità, lavoro e tenacia, forza d’animo e mentale.

Il mouse è mio, per questo posso puntarlo dove e come voglio. Forse insieme al telecomando è l’unico strumento democratico in nostro possesso, probabilmente è l’unico strumento o dispositivo capace di assicurarmi il potere su qualcosa

L’ultima visione del video conferma il sospetto scaturito da quella precedente.

Non ho più vent’anni e nemmeno trenta: fino a qualche anno fa mi sarei soffermato sull’equilibrio, la potenza e la velocità. Ma oggi, per me, la bellezza e l’autenticità dei sogni ininterrotti di Levi Siver poggiano i piedi lì dove le avevo lasciate: in quella salita faticosa e ancora una volta figlia di un desiderio avventato, futuristico, degno di un pioniere.

La sua non è soltanto un’impresa che miliardi di persone non potranno mai replicare: Levi alza tracce di neve bianca che sollevandosi contrasta con un paesaggio ricco di colori.

L’anima è sfuggente, ma involontariamente Ho sempre attribuito all’anima dei colori, più che una forma. Per questo credo che esista un’anima nera, comune ad una massa indistinta di persone che conoscono la morte. Non è solo una colpa, è (anche) una sfortuna. Cieca, inesorabile, a sua volta letale che affligge coloro che ignorano perché non sanno – e soprattutto non amano – le infinite sfumature della vita.
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