L’acrobata delle parole

“Non cercate di prendere i poeti, perché vi scivoleranno via tra le dita”. Mi auguro che Alda Merini  non abbia mai avuto ripensamenti a riguardo, e si sia cullata – prima di notti insonni – al dolce pensiero di parole che tolgono ogni amarezza alla ricerca della vendetta. Vuoi perché è un’anima maltrattata, a invocarla. Vuoi perché romanticamente i veri poeti e le vere poetesse fanno parte di un esercito che perde tutte le battaglie.

Vendetta è una parola citata dal poeta Umeed Ali, pakistano – classe 1961 – quando parla di amori non corrisposti in un’intervista rilasciata per promuovere la raccolta “Bilancio Interiore”, edita dalla casa editrice Morlacchi, all’ennesima ristampa per le migliaia di copie vendute.

Vendetta è una parola che i /veri/ poeti amano, perché non lascia scampo e permette loro di curarsi. C’è una cosa che molti dimenticano: il poeta sa  – davvero – trasformarsi in carnefice e abbandonare i panni della vittima capace solo di soffrire. Questo rende ancora più arduo distinguerne uno vero.

 Come nasce un (vero) poeta? Per rispondere a questa domanda, bisogna riconoscere innanzitutto che il (vero) poeta ha una vita precedente. Una vita vissuta, concreta – proprio come l’esistenza di un impiegato del catasto – scandita però da attimi che anticipano una rinascita che non segue la linea del tempo.

Le giornate di un /vero/ poeta come Umeed Ali seguono piuttosto il ritmo dei sogni. Non hanno inizio, non hanno fine. La meta è il viaggio, e Umeed Ali incarna pienamente l’immagine che preferisco: quella del viaggiatore – poeta e del poeta – viaggiatore.

Data la sua identità, sarebbe corretto ribadire che il suo viaggio è iniziato in modo meno poetico rispetto ai viaggi intrapresi da tanti altri. Nel suo caso non ci sono soltanto le difficoltà – lecite, legittime – dello straniero che sbarca in una terra non sua: sin dal primo istante la sua è un’esistenza precaria, tenuta in equilibrio da un filo tesissimo pronto a spezzarsi da un momento all’altro.

Quando Umeed arriva in Italia, deve ricacciare tutto ciò che avrebbe da dire in gola. Giù in fondo ad una caverna.

Non serve poesia per vendere collane e braccialetti in strada, come fanno tanti altri allo scopo di racimolare soldi da mandare a casa.  La sua terra, il Pakistan, è una landa che ha confini sfumati – il Kashmir è regione perennemente contesa – difficile, aspra, forse per questo meritevole di particolari attenzioni e costante amore.

L’urdu, la sua lingua madre, non è compresa da nessuno. In Italia sono/ siamo tutti pressoché sordi al suo suono, e non c’è orecchio che possa accogliere i versi che un giovane uomo pakistano scrive sin da quando ha quindici anni.

L’anima nobile di un uomo povero resta imprigionata in una caverna distante dalla luce e che sembra sprovvista di possibili vie di uscita.

Ali tenta almeno di orientarsi tra le strade del nostro paese. A Nord, come a Sud dello stivale, macina chilometri: nei primi anni non si esprime bene in italiano, ma l’ascolto riduce le distanze e in breve tempo sconfigge ogni riserva.

Ali l’adotta e la “nutre”, tendendo l’orecchio alle persone che parlano in strada, annotando le espressioni e i modi di dire, che affianca a ciò che legge sui libri.

In altre parole ne cattura l’anima e si lascia conquistare, in barba a dizionari ingialliti e italiani ancora a caccia di congiuntivi. La missione di un uomo pakistano diventa sempre più missione possibile. Le regole più ostinate e le formule più elevate lo affascinano al punto che Ali, il poeta urdu, diventa un poeta italiano a tutti gli effetti. Nel momento in cui ritrova le parole perdute, recupera i fili della propria esistenza e forse per sempre. Finalmente, cessa il tempo di rimanere lì fermo ad ascoltare. Arriva il giorno in cui è possibile uscire dalla caverna, ed imprimere per sempre su carta l’idea che

Il mondo è come un bel libro

e il tempo è il migliore maestro:

volendo, si può imparare quasi tutto

Come si può imparare quasi tutto, volendo? Forse vivendo. Pur non scrivendo poesie, le parole dette da altri sono un dono che sfugge alle regole di metrica e stile. Non frequentando accademie prestigiose, Ali dimostra che  i /veri/ poeti sono in grado di cavarsela quando sono in strada, e di sfruttare ogni occasione impalpabile ad animi meno sensibili.

Nel 1995, in Sardegna, una signora, fissando i suoi occhi neri e profondi, disse: “Tu non hai l’aspetto del vu cumprà”.

Esiste un esercito di uomini invisibili: che siano poeti, che siano vu cumprà. Ali appartiene ad entrambi, ma la sua doppia invisibilità paradossalmente, ne ha determinato la rinascita. E’ risaputo che moltiplicando il meno per il meno, alla fine si ottenga un più: è una regola accettata universalmente.

E dunque la rinascita di Ali è un assioma altrettanto valido universalmente, pur in totale assenza di numeri. La sua vita ricomincia dalla parola, proprio come capita al bambino che si rivela al mondo per la prima volta quando comincia a parlare.

Nella seconda lingua si trova una seconda madre e dunque una seconda casa. Forse per questo Umeed Ali ammette che la ama “da morire”, e ci ricorda che quest’espressione non ha pari o traduzioni all’altezza in nessun’altra lingua.

Umeed Ali è un vero poeta perché non ha mai smesso di cercare la poesia, oltre il significato stesso delle parole. Prima non ha ceduto al sole cocente e alla pioggia incessante, poi ne ha benedetto l’esistenza per immortalare l’immagine stessa del rifugio come il luogo ideale dove anima e corpo possono ricongiungersi.

Non è giusto credere all’uomo che sa cosa si prova, ad essere soli?. Il poeta viandante, per ripararsi, ha a disposizione un esercito di alberi. Ali li celebra così.

Essere altruisti come alberi / che soffrono sotto il sole / e fanno ombra sugli altri.

Ali però non si è accontentato di rimanere al di sotto ed è stata una fortuna. Un piccolo – crescente – esercito di lettori ha cominciato ad accorgersi dell’uomo che si è arrampicato pian piano fino ad arrivare in cima. Per un poeta deve essere facile immaginare le parole come rami e sognare di calarsi dall’alto come un acrobata.

Forse tutto si riduce ad un’illusione, ma l’esercito dei veri – e pochi – poeti sopravvissuti continuerà a combattere un’ultima battaglia. In nome dell’ultima poesia, fino all’ultimo giorno.
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