
La tecnologia ti fa bella
I Depeche mode suonano Where’s the revolution. Tuonano strofe che ti raccontano come la gente li stia deludendo, perché incapace di ribellarsi nonostante i diritti abusati e i punti di vista manipolati.
Sono in una strada di campagna frentana immersa nella nebbia. Lontana dal caos e dai centri di potere: tutto tace, tutto stride con il testo ansiogeno. Eppure, I depeche restano una delle mie certezze. Li amo perché non tradiscono, anche se indirettamente rimproverano anche me. Reo di continuare a condurre la stessa vita.
Le barricate per ora restano confinate entro i limiti del testo di questa come di altre canzoni, perché intanto il mondo della politica internazionale ci regala l’ennesimo colpo di scena.
Trump non c’entra nulla: Per due minuti, a rubargli la scena è Jean – Luc Mélenchon
Mélenchon è il fondatore del Partito di sinistra, il Front Gauche: dall’altro lato della barricata, oltre al popolo, deve confrontarsi con Marine Le Pen in carne ed ossa.
Un avversario reale che va contrastata con ogni mezzo. Anche virtuale. Pardon, direbbero loro oltralpe, con ogni effetto speciale
Quando la politica abbraccia la tecnologia, si fa bella: Melenchon in versione 3d sembra ringiovanito, ma soprattutto stupisce perché per impressionare ha optato per l’ubiquità.
Nel momento in cui era a Lione – in carne ed ossa – appariva in un palazzetto di Parigi, nell’estrema periferia Nord, grazie al suo ologramma.
L’effetto è stupefacente, ma qualcuno ci è arrivato prima di lui. Il serioso e repressivo Erdogan ha scelto di sdoppiarsi quando il suo ologramma ha fatto la sua apparizione a Smirne perché lui, il premier turco da sempre contestato, non poteva presenziare essendo trattenuto nella capitale Ankara.
Ma se questa serata appartiene per un momento all’illusione politica squisitamente techno, l’indomani mi confronto di nuovo con i numeri. Quelli di fatture da riscuotere e conti da pagare: ma immerso nella routine che distrae – e quindi condannata apertamente dai Depeche mode – mi imbatto nel numero 43.
Non si tratta di un numero del lotto o della tombola, ma nella politica di questo paese tutto è sempre opinabile. Secondo Beppe Grillo – è stato ologramma anche lui – 43 è numero che corrisponde ai successi di Virginia Raggi nei suoi sette mesi di mandato: Dal contratto Atac all’emergenza freddo, al piano contro l’Abusivismo edilizio. La Sindaca della capitale d’Italia non è mai stata messa in discussione dal capo, che da stratega tira fuori il numero dal cilindro.
Più che stratega, un prestigiatore. Ma poche ore dopo Repubblica ha smontato pezzo per pezzo la versione del leader del Movimento cinque stelle, quasi a voler spezzare l’ennesima illusione. Di che illusione si tratta? Della più attesa da tutti i cittadini, ossia dell’illusione della rivoluzione.
Non virtuale, ma reale: per ora un ipotetico inganno.
Grillo tira fuori un numero, che è numero di magia e possa salvare colei che alla vigilia era osannata dai media stranieri ed ora si vede martirizzata dai giornali nostrani tutti i giorni. Nonostante la sindaca abbia il tono rassicurante dei primi giorni, vacilla sotto scandali che saltano fuori sotto le spoglie di regali improvvisi. In ogni caso la rivoluzione della capitale non è ancora cominciata.
Tutti se l’aspettavano, perché per logica tutti sono abituati a immaginare il giovane politico come il nuovo che avanza
E’ logica, o piuttosto istinto di sopravvivenza in un paese che è stato mazziniano, garibaldino, irredentista, pseudo liberale, fascista. Dove una singola anima ospita cattolicesimo e comunismo
Tutti ancora si aspettano la rivoluzione, ma la politica è a caccia di ossigeno per combattere l’atmosfera rarefatta nella quale è sempre più immersa. A tutte le latitudini o longitudini.
Scontato che i politici si inventino nuovi trucchi, sdoppiandosi persino, tentando di apparire vicini al popolo che ancora ha uno straccio di potere.
Ma altrettanto scontato è il tentativo di reinventarsi moderni comunicatori, ora che i comizi sono tramontati.
Con ogni mezzo o effetto speciale indiretto, tornano in auge i vecchi esponenti dei partiti nostrani che proclamano scissioni e minacciano di rottamare giovani politici che giovani non sono mai stati.
Peccato che ai giovani – a quelli che combattono con quella maledetta routine – non basta l’ossigeno, semplicemente perché non possono accontentarsi di sopravvivere. Hanno bisogno di una lotta pacifica, ma per costruirla ci vogliono progetti che per superare le barricate, devono andare oltre le idee e le semplici parole.
A proposito, le parole al momento sono la mia unica arma. Interromperei i Depeche mode, dicendo loro che esiste un paese occidentale, in quella fetta di mondo democratico e che comunque contestano, dove oltre alle rivoluzioni si attendono le elezioni.
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