
La resistenza di Padre Ruggero
Torino, 22 dicembre 1944. Sembra essere l’alba di un giorno nuovo, ma in città infuria ancora la guerra e c’è il gelo. Intanto, un autocarro ha appena lasciato il complesso carcerario de le Nuove e procede scortato lungo le strade assonnate a pochi giorni dal Natale. A bordo ci sono tre uomini. Ad un certo punto il mezzo sobbalza e Armando Amprino è costretto a ripetere ciò che ha appena detto.
“Come le dicevo Padre, voglio che il mio anello vada a…”
Ha vent’anni e ha vissuto le sue ultime ore in sotterranei sovraffollati che ricordano le catacombe. In un luogo senza luce ha dovuto imparare in gran fretta a redigere un testamento perché soltanto poche ore prima gli hanno comunicato che sta per essere fucilato insieme a Candido, l’amico che nel frattempo è diventato fratello. Al loro fianco è rimasto soltanto Padre Ruggero Cipolla, trentatré anni, torinese, ordinato sacerdote nel 1937. Nel suo convento di Sant’Antonio da Padova offre ospitalità a tanti perseguitati politici, ma da un anno è anche il confessore di tanti giovani uomini condannati a morte dai tribunali nazifascisti.
Padre Ruggero ripete le ultime volontà di Armando per rassicurarlo. All’improvviso l’autocarro si arresta perché sono giunti al Martinetto. Questo è il luogo dell’esecuzione dove il plotone è già pronto. Due sedie disposte l’una accanto all’altra e i servienti si avvicinano alle vittime. Mancano pochi secondi, ma Armando non vuole la benda sugli occhi.: vuole guardare il Crocifisso che stringe tra le mani e ha rifiutato un’iniezione di morfina per restare lucido.
Tuttavia i soldati obbediscono agli ordini dei tedeschi e il cerimoniale è nazista, inequivocabile, inflessibile, non asseconda richieste last minute. C’è il tempo per un abbraccio e riceve un ultimo bacio dal suo confessore. Padre Ruggero è infatti ancora al suo fianco: è l’ultimo uomo che Armando vede. Prima che la benda copra il suo volto e smetta di guardare il mondo per sempre.
Primi anni ottanta, estate. E’ un bellissimo pomeriggio. Insieme al fratello Ernesto, Padre Ruggero torna ogni anno a Mozzagrogna, in questo piccolo villaggio abruzzese dove vivono ancora alcuni parenti. Soggiorna come sempre nella casa di Don Ciccio – lo zio che qui è stato sindaco – a pochi passi dalla Piazza principale. Il mare non è lontano e lui si è concesso più di un tuffo. Nemmeno la Chiesa di San Rocco è distante e Padre Ruggero vi celebra spesso la messa. E’ ancora stretto nel suo saio marrone quando sente tirare il cordone bianco più di una volta. Fa appena in tempo a voltarsi e il bambino è scappato già. Lo conosce bene, è il nipotino di sua cugina Teresa. Sorride perché Francesco l’ha fatta franca anche questa volta.
…Mi stia accanto, padre ..
E’ l’alba del 23 gennaio 1945 quando Luigi Savergnini tira il cordone bianco di Padre Ruggero. Il frate francescano sale e siede sulla sponda dell’autocarro dove altri dieci uomini vengono condotti al luogo dell’esecuzione. Anche questa volta la destinazione è il Martinetto. Il Frate è pronto a impartire l’estrema unzione e a recitare l’atto di contrizione, ma Luigi ha un ultimo desiderio: chiede al cappellano di riferire alla sua famiglia che lui ha già perdonato i suoi carnefici. Come ogni volta, prima di ogni esecuzione, il perdono vince sull’odio.
Settant’anni dopo.
“Tieni e leggilo. Sono storie che non si dimenticano”
Un mio amico ha in mano un piccolo volume. I miei occhi cadono sul titolo che non lascia scampo: I miei condannati a morte. In primo piano scorgo il volto di un frate che non conosco. Mentre sfoglio le prime pagine Francesco è in piedi. Già, il bambino del cordone è cresciuto. Mi lascia qualche secondo ed è in quel momento che inizio a conoscere Padre Ruggero. Non gli stringerò la mano e non potrò incontrarlo – non in questa vita – perché è scomparso nel 2006.
Mi resta il libro, penso, con le sue testimonianze: in poche ore leggo e rileggo ogni parola. Racconti, interviste, lettere private di uomini che in punto di morte non chiedevano solo conforto spirituale. Ma un aiuto concreto, materiale, per quei compagni ancora impegnati a combattere.
Dietro esplicita richiesta dei suoi condannati – giovani che non possono capire la morte perché hanno solo vent’anni – Padre Ruggero toglieva le scarpe dai loro piedi e le mandava ai combattenti in montagna..
..”Ho dimenticato le scarpe, è un peccato che piova. Un attimo dopo sollevava il saio e mostrava i sandali ai passanti, ridendo”
Francesco prova a farmi capire chi era l’uomo che ha conosciuto raccontandomi questo aneddoto. Per lui Padre Ruggero non è solo un testimone della storia, qualcuno che si è adoperato per gli altri mettendo a rischio la sua vita con le attività del convento durante la guerra. E’ un punto di riferimento per la sua famiglia, colui che dava importanza alla vita di tutti nonché valore a ogni singolo istante. Colui che in futuro mancherà sempre a chi l’ha conosciuto.
“Non ti raccontava mai le storie di queste persone? “- gli chiedo
“Qualche volta è capitato, ma non appena cominciava la sua voce cambiava. Evitava di scendere nei dettagli specialmente con noi, con i più giovani. Forse non potevo capire o forse per lui era impossibile raccontare tutto”
Difficile parlare e procedere per capitoli quando devi raccontare mezzo secolo di assistenza in carcere. Penso agli anni di guerra, al fianco di partigiani prima e fascisti poi, perché ribadiva che le anime non hanno colore. Mi viene in mente la vita quotidiana trascorsa a contatto dei detenuti durante le rivolte e negli anni di piombo.
La sua missione – incomprensibile per molti – comunque non gli impediva di apprezzare il cibo e il mare, di scherzare nel nostro dialetto e di commuoversi ancora. Durante le cerimonie, dinanzi ai nipoti che crescevano e iniziavano il loro cammino in tempi di pace, che richiedono sempre cuore, coraggio, valore. Li confessava, ma soprattutto li osservava ed ascoltava.
Oggi come settant’anni fa. Il 9 febbraio 1945 Renzo Viale vuole morire in piedi perché non ha tradito e chiede a Padre Ruggero di salire sull’autocarro: il percorso è sempre quello, la destinazione sempre la stessa. Quando la richiesta gli viene negata si limita a una risposta breve, laconica.
Non insisto – replica. Nonostante venga colpito Renzo tenta subito di alzarsi per liberarsi dalle cinghie strette che tengono lui e tutti gli altri legati alla sedia. Non ci riesce. E’ uno dei settantadue uomini della Resistenza che Padre Ruggero assiste fino all’ultimo.
Questa è la storia di una testimonianza, ma anche la storia di un incontro mancato. Per questo non ho ricordi, ma solo domande e risposte. Come sei riuscito a resistere potrebbe essere la prima. Posso soltanto provare a capire e oggi ho fatto un tentativo. Proverò anche domani.
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