La notizia che non fa notizia

Marito e moglie escono di casa al mattino. Vanno al lavoro e lasciano la figlia nelle mani della baby sitter. E’ un fatto ordinario: la porta si chiude alle prime ore del mattino e si riapre soltanto a pomeriggio inoltrato, se non addirittura la sera.

Accade in tante metropoli e nelle piccole città di provincia sparse in ogni angolo del pianeta: perché molti nonni lavorano ancora, perché qualcuno di loro ha l’appuntamento fisso con lo jogging o i pilates.

Ma poi, a Mosca, in un lunedì di febbraio c’è una porta che si chiude a chiave ed il destino di una famiglia cambia per sempre.

Gyulchehra Bobokulova ha un nome quasi impronunciabile, almeno alle nostre latitudini:

Viene dall’Uzbekistan e come molti connazionali lavora nella cosmopolita, gelida, gigantesca capitale russa. Ha trentanove anni ed è la baby sitter di una bambina.

Nastya ha quattro anni e ha dei problemi di apprendimento, dicono : ma i suoi genitori sanno che possono fidarsi di Gyulchehra anche quel 29 febbraio, quando escono di casa al mattino. Come sempre e come tanti altri.

Qualche ora dopo la casa della famiglia M, in una zona semicentrale di Mosca, è in fiamme. Ma Gyulchehra non è in pericolo e purtroppo non sussiste più nessun rischio per Nastya.

Il frutto di un paradosso? No, di una tragedia. Lei è già morta per mano di colei che doveva prendersene cura e il suo corpo è stato lasciato li, in casa.

Ma una parte di Nastya è altrove: Gyulchekhra cammina su e giù e in mano non stringe la sua borsa come fanno tante donne prima di imboccare la stazione della metropolitana.

Tiene stretta la testa di Nastya vicino all’ingresso di Oktyabrskoye Polye, stazione della metro nella zona nord della capitale russa. Ma non c’è più nulla di ordinario: lo spettacolo macabro che offre non sarebbe normale da nessuna parte, non sarebbe concepibile in nessun angolo del mondo e in nessun momento storico.

Urla ossessivamente Allah Akbar e promette di farsi esplodere: è una donna dall’aspetto normale che ha ormai assunto il colore dell’abito che indossa.

E’ vestita di nero. La sua voce – ascoltata nei video in rete – e i suoi passi non conoscono tentennamenti: diventa annunciatrice di morte e purtroppo ne è portavoce credibile.

E’ ancora febbraio, sebbene sia l’ultimo giorno di un anno bisestile: Mosca è libera da neve e ghiaccio.

Ma il cielo è grigio, il Cremlino è distante e il traffico intorno alla stazione della metro è sempre lo stesso: non ci sono panorami suggestivi e monumenti di rilievo. E’ il solito sfondo grigio e uniforme che ancora una volta accomuna tutte le grandi città del mondo.

Tutti i giorni dell’anno si ripete la solita sfilata di gente che cammina in fretta. Ma a volte abbiamo modo di ricordare che la normalità è una benedizione: Gyulchehra cammina su e giù, ma in realtà non può più tornare indietro.

Ma a dire la verità nessuno può riportare indietro le lancette dell’orologio: coloro che vorrebbero più di tutti, sono in realtà le creature più impotenti. I genitori di Nastya hanno guardato la loro figlia per l’ultima volta senza saperlo e poi hanno chiuso la porta inconsapevoli che si trattasse di un addio.

La notizia che non fa notizia. La polizia russa esclude il terrorismo, prima di ipotizzare il coinvolgimento di eventuali mandanti. Ma al di sopra di ogni sospetto galoppa una certezza.

Nessuno ne parli. Le autorità non vogliono che si parli della notizia e presto quest’ordine viene eseguito: la notizia scompare da giornali e tv per non alimentare paure, reazioni incontrollate. Per non sconvolgere.

Cosa resta? I tentativi di capire, di dare spiegazioni.

A distanza di qualche giorno, si dice che Gyulchehra abbia agito sotto l’uso di sostanze psicotrope, spinta dalle ansie e dalle depressioni per una presunta infedeltà coniugale. Ho visto il video, inizialmente contro la mia volontà. Ho guardato questa donna negli occhi, in una delle foto in giro per il web.

Forse non si tratta di follia, ma di pura e lucida perfidia. Quella che accomuna tutti i cattivi delle fiabe che vengono raccontate ai bambini, in tutto il mondo. Ho avuto quattro anni anch’ io e non faccio eccezione.

Gyulchehra è la donna vestita di nero, la sua malvagità si sprigiona e trova un varco grazie al fuoco – come quello che brucia un appartamento – o ai colpi di una mannaia che uccide e all’improvviso trasforma l’angolo grigio di una città in un posto ancor più buio.

Nero come un abito che si indossa. Prima che spuntino palloncini colorati a spezzare quella visione.

C’è una vittima che ha un nome, ma che non compare in tutti gli articoli, come quello della sua carnefice.

Nastya rischia di essere l’ennesimo palloncino colorato volato via, un altro fiore reciso. Simile, paradossalmente, ai tanti scelti in questi giorni per serbarne per sempre il ricordo.
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