
La favola di Aisha
Se qualcuno osasse fermarsi all’inizio della storia, potrebbe benissimo considerarla una fiaba d’altri tempi. Da mille e una notte, data l’ambientazione. Monique è una donna ormai sola. Vive nella fredda, cupa, umida Olanda. Il marito l’ha lasciata. Però ha ancora sua figlia, una giovane ragazza dal nome esotico: Aisha ha la vita davanti ed è follemente innamorata di un ragazzo.
Yilmaz sembra ricambiare però da tempo vive lontano, nella calda Siria. Dove – ne siamo certi – è disposto ad aspettarla a braccia aperte. Aisha, diciannove anni appena compiuti, ha voglia di scherzare: più che Aladino Yilmaz ai suoi occhi è uguale a Robin Hood.
Perché dunque non partire e raggiungerlo? Non ci sarà la foresta di Sherwood, ma lui insieme agli altri compagni vive all’ombra di palme esotiche, si nutre di datteri ed è pronto a combattere. Contro chi? contro i cattivi che in altre parti del mondo li definiscono fuorilegge…
…La favola finisce qui….
Sarebbe bello poter contraddire Aisha e dirle che Ylmaz, essendo di origine turca, ha più probabilità di assomigliare ad Aladino che non a Robin Hood. Ma un attimo dopo ricordi che Ylmaz non viaggia su tappeti volanti e non tira le frecce del suo arco per togliere ai ricchi e dare ai poveri. Non ha turbanti o cappucci: probabilmente è vestito di nero e non ha ucciso soltanto i soldati del Principe cattivo. Combatte la sua guerra e forse non smetterà mai. Forse non avrà mai pietà per nessuno, ecco perché Monique decide che deve fare in fretta.
Ma Aisha non lo sa e quindi fugge verso la Siria. La favola è tramontata prima di nascere.
La sua fuga d’amore è fuga d’amore 2.0. Non ci sono cavalli bianchi e uomini col turbante, ma soprattutto la madre non sta alla finestra a guardare le barche sui canali. Monique è in preda all’ansia, non si distrae con il ricamo o la preghiera, cerca disperatamente notizie su Internet. Finchè, un giorno, arriva un messaggio e non è un messaggero reale a consegnarlo: Sono poche parole e il messaggero si annuncia con un suono inconfondibile. Si chiama Whatsapp.
“A volte devi fare quello che pensi sia giusto”
Monique è in preda allo sconforto, ma paradossalmente sono quelle parole – le peggiori che abbia mai ascoltato – a darle la risposta. Sua figlia, involontariamente, le ha dato il consiglio che forse doveva arrivare dall’alto. Moninque si arma di un semplice niquab e parte per Raqqa. Raqqa è una città che si trova in Siria e in altre parole è la roccaforte del Califfato, che in una sola parola si trasforma in Isis: semplice, dannatamente immediato e familiare. Non ci sono castelli e mura invalicabili, solo case fatiscenti.
Monique forse ha affrontato il drago o magari non ha combattuto per salvare Aisha. La sua avventura resta avvolta nel mistero così come l’amore per la figlia: le è bastato quello – e non c’era bisogno d’altro – per salvarla.
Non è arrivato il principe sul suo destriero a salvare la ragazza rinchiusa nella torre. Non solo perché, come accennato, mancano cattive regine e castelli. Questa non è una favola, ma l’ennesima storia vera che lascia perplessi. In una storia vera di oggi, questo finale è tuttavia più credibile: ci può salvare solo l’ultima persona disposta ad abbandonarci. La madre Monique potrebbe avere un altro volto o un altro nome.
Del resto la storia di Aisha e Monique mi ricorda la trama di un film con Sally Field, Mai senza mia figlia. Negli anni ottanta Betty, donna americana sposata con un iraniano, dopo mille peripezie riesce a fuggire da Teheran insieme alla figlia. Con annessa fuga rocambolesca – a stelle e strisce pure quella – e con tanto di maledizioni in persiano e osanna a Khomeyni. Tratto da una storia vera, naturalmente.
…. Folle, completamente folle. Se fosse stata mia figlia l’avrei lasciata li. La donna seduta dietro di me scuote la testa. Poi si rivolge all’amica in cerca di una conferma.
Sono armato, arrivato da poco all’ultima tappa: questa giornata sembra non finire e sono nell’ennesimo ufficio pubblico dove le armi sono fatte di carta, ma possono comunque ammazzare. Mi metto all’angolo e aspetto la chiamata. Anita continua a scorrere il dito sul suo smartphone. Ha appena scoperto la storia di Aisha, proprio quella favola che non è mai cominciata. E’ impaziente – secondo me – credo voglia una risposta dall’amica che continua a tacere.
Giovanna non dà una risposta immediata. Aspetta e si guarda intorno.
Queste ragazze si fasciano di nero e vogliono un uomo che stermina la gente, la colpa è della famiglia. E mica ne è partita una..
Si riferisce alle centinaia – se non migliaia – ragazze europee che sono partite per la Siria allo scopo di cambiare la loro vita, disposte a tutto per il Jihad e per i loro uomini. Quelli vestiti di nero che combattono e vanno spesso in tv. Lasciano città cosmopolite, fast food e musica rock per un mondo dove tutto questo è proibito. Dove la follia iconoclasta impera, dove Darwin è Satana, dove ascoltare la musica di Madonna è atto imperdonabile e punibile con ottanta frustrate.
Se fosse stata mia figlia, sarei andata a riprenderla.
Perché?
Perché a differenza tua sono una madre. Senza i miei figli, non avrei cura del resto del mondo.
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