
La chiamarono Mowgli
Ho letto la notizia dello straordinario ritrovamento di Mowgli soltanto due giorni fa. Nel bel mezzo del pomeriggio con le telecamere che virano verso nord, Mowgli mi ha salvato distraendomi per qualche minuto da quanto accaduto a Stoccolma. Da quanto successo prima a San Pietroburgo e ovviamente, in Siria.
In quello stesso pomeriggio ingrandisco l’immagine di Mowgli così come ho fatto con quella di Abdulhamid al-Youssef che stringe i suoi due gemelli di nove mesi, uccisi dall’attacco chimico sferrato nella città di Idlib, in Siria, il 4 aprile 2017.
Proprio così, Mowgli arriva dopo la foto di Aya e Ahmad
Dicono di lei.
L’avrebbero ritrovata lo scorso gennaio, sola in mezzo a un mondo di primati. Nonostante le scimmie urlanti, il mondo si è accorto più tardi di lei.
Prima bisognava capire, ascoltare le testimonianze del ranger che l’ha trovata e del medico che l’ha in cura. Leggendo quanto dichiarato dal Dottor Singh, responsabile dello staff medico dell’ospedale del distretto indiano di Bahraich, è stato impossibile rifuggire da ogni paragone con la letteratura e con il cinema.
Secondo la sua testimonianza, vive e respira su questa terra una bambina di otto, dieci o forse dodici anni che mangia il cibo direttamente a terra senza usare le mani.
Come un animale, urla quando i medici tentano di avvicinarsi e si dimostra incapace di parlare o comprendere alcuna lingua.
Incredibile, ma vero, allevata da scimmie in una foresta fitta e labirintica, a malapena esplorabile perché immensa, incompresa, stratificata proprio come l’India.
Provo a teletrasportarmi lì, nella regione dell’Uttar Pradesh, la più grande in quell’enorme paese.
Sciolgo il catenaccio – oggi arrugginito – che mi lega alla ragione perché voglio, disperatamente voglio credere che lì, nel mezzo della giungla, esista una bimba che meriti il nome Mowgli, perché incredibilmente simile al protagonista dei celebri racconti di Kipling.
Non contento del presente fantastico per un momento su un futuro roseo: già, vorrei credere che Mowgli possa un giorno condividere lo stesso destino e lo stesso sorriso del protagonista de Il piccolo della giungla.
Per intenderci, spingo il mio più scontato ottimismo in direzione Disney, verso quel mondo magico e quel paradiso necessariamente ruffiano. Nel cartone animato Mowgli è il migliore amico di un orso, è coraggioso e risoluto, incontra avvoltoi simpatici simili ai Beatles. Si dimostra capace di affrontare a viso aperto la tigre Shere Khan e ovviamente la sconfigge prima di innamorarsi e tornare felice tra gli uomini.
Il bambino selvaggio.
Il sogno però si ridimensiona presto. Mowgli è forse più vicina a Viktor, al bambino selvaggio di Truffaut, accudito da un medico dopo il suo ritrovamento.
Il bimbo che impara i segni rudimentali della sua lingua e che accetta a malincuore di vivere tra gli uomini, felice soltanto quando il suo sguardo si perde nella contemplazione della luna o tra le fitte trame di una foresta poco distante.
Viktor è come la piccola Mowgli: il loro corpo esile racchiude la fragilità di tutti i bambini incompresi, incapaci di adeguarsi al soffocante mondo di noi adulti.
Non la vogliamo.
Qualche ora dopo, la conferma che a parte il nome dato in tutta fretta, ogni analogia con i racconti de Il libro della giungla sono il frutto di vane – più che grandi – speranze
Secondo attivisti dei diritti umani in India, Mowgli sarebbe affetta da problemi fisici e mentali che avrebbero costretto la famiglia ad abbandonarla non lontano dalla strada che conduce alla giungla.
Mowgli è una bambina, e questo in alcune società rappresenta ancora uno svantaggio
Del resto, se fosse vissuta lì, le telecamere che sorvegliano la zona avrebbero catturato la zona prima ancora che i ranger tentassero di afferrarla e strapparla alle insidie del mondo selvaggio.
L’uomo cinico.
Qualsiasi sognatore di questo mondo ingannerebbe bambini come Viktor o Mowgli, se li costringesse a credere nonché adeguarsi al mondo di piombo dove siamo capitati e dove viviamo tutti quanti noi.
Piuttosto, indicherebbe alla piccola Mowgli di continuare a guardare i tramonti, i colori accesi dei cieli indiani, con il sole che ad ogni alba o tramonto si getta sull’onnipresente fiume Gange.
Mowgli è al sicuro, in via di miglioramento, ma probabilmente passerà gli anni dell’infanzia in un orfanotrofio. A dimostrazione che lei, come tantissimi altri bambini, è lontana parente di Aya e Ahmad, i gemelli siriani.
Mowgli continuerà a vivere, ma è difficile credere nel futuro che molti vorrebbero per lei.
Oggi è lontana da chi dovrebbe amarla di più, magari domani sarà lontana dalle telecamere che forse la infastidiscono. Le stesse che a luce spenta, spegneranno lo stupore e l’entusiasmo per questa incredibile storia.
Il tempo chiarirà molti altri aspetti, ma è altamente probabile che un uomo cinico dirà:
“La chiamarono Mowgli per avere ancora una volta una storia con la quale distrarsi. Per credere nell’ennesima favola. In altre parole, la chiamarono Mowgli per avere ancora una speranza“
( foto tratta da www.hindustantimes.com )
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