Il grande freddo

Ti ricordi che ci sono quelli che vivono l’inverno davvero come un incubo: ti torna in mente quando il gelo piomba sulla tua città all’ improvviso e solo il vento osa scacciare la neve. Lui non ti è amico: questo spiffero balcanico incessante ti schiaffeggia costantemente con minuscoli aghi ghiacciati che solleticano in modo antipatico e perverso il tuo viso. Forse per questo intorno a te ne parlano e non possono farne a meno.

Neanche la mia amica B. si sottrae a quello che nel giorno più freddo dell’inverno appare come un comandamento : lei è come me, parla del gelo e lo sfida come meglio può

ma in fondo entrambi sappiamo che torneremo a casa e sopravvivremo, mentre la mente corre a chi corre il rischio di non riuscirci.

Ti vengono in mente appunto loro, i senza tetto, ai quali le amministrazioni comunali aprono le porte delle stazioni della metro. Spalancano, a dire il vero, qualsiasi tipo di porta che possa prevenire l’irrimediabile.

Accade anche in Vaticano – già, appena fuori dall’Italia, dove il cardinale Konrad Krajewski ha assicurato che al di là delle mura si è disposti a spalancare gli sportelli delle proprie auto.

Ma la natura sa impadronirsi della scena lo stesso: indifferente, incompatibile con ogni logica, fa quello che vuole contro chi ci capita.

Incantevole quando è madre, imprevedibile quando è matrigna e si trasforma nella complice involontaria di due uomini.

I quali, badate bene, esistono davvero. Sono entrambi padri di due bambini che potrebbero giocare insieme, se vivessero nello stesso quartiere. Invece questi due ragazzini, di sei e tre anni, vivono in due paesi diversi.

Ho letto del padre di Ostia, che ha dimenticato suo figlio in auto per andare a giocare alle slot. Ho letto del padre che vive con la compagna a Saint-Josse, nella periferia di Bruxelles, ora detenuto – insieme alla compagna – e in attesa di giudizio per aver lasciato il figlio di sei anni per ben quindici ore sul balcone. Solo con il suo pigiama, reo di aver sottratto una brioche dalla dispensa.

Proprio mentre la neve cade ininterrottamente e rallenta magicamente il ritmo frenetico e sfiancante dei giorni nostri – e arrivi a benedirla per questo – scopri che fa da sfondo a scene che ritenevi archiviate, sepolte in un romanzo di Dickens.

Ho riletto due pagine di Oliver Twist poco prima di Natale e per l’ennesima volta ho classificato la triste scena della mensa – dove i bambini muoiono di fame – come roba passata, appartenente a tempi remoti.

O piuttosto tempi difficili, tanto per citare un’altra sua opera celebre. Invece la neve candida, lì fuori, e il tuo camino acceso fanno da cornice alle storie di due bambini che hanno rischiato di morire per il freddo, arrivato da terre remote grazie a matrigna Natura.

Già, come in una fiaba d’altri tempi, si potrebbe darle tutte le colpe.

Ma so benissimo che non sarebbe giusto: la natura fa il suo dovere, ha rispettato il calendario e le aspettative.

Come sempre, il grande freddo alberga altrove: nel cuore di chi è indifferente e di chi è malvagio. Quest’ultimo è un termine da fiaba e forse per questo in disuso, quasi bandito in tempi moderni, dove si cercano spiegazioni e giustificazioni perché siamo incapaci di arrenderci all’evidenza.

Incapaci di accettare la potenza dell’inverno che spalanca ancora di più le porte e lascia intravedere quelle vite ai margini, dove però resiste e ruggisce l’istinto.

Questi due bambini si sono salvati perchè hanno urlato, tirato fuori tutta la voglia di sopravvivere a questo come ad altri inverni. Cresceranno anche loro e magari più sereni.

Animati da una voglia matta di rivedere la primavera, per assistere alla rinascita di tutto ciò che li circonda. Quest’anno e negli anni che verranno.
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