Il presepe oltre le sbarre

La neve c’è, ma sembra tenace soltanto sulle vette più alte: comunque la Majella è lì, ancora selvaggia, ancora custode e madre di tutti gli abruzzesi. Ai suoi piedi c’è un punto preciso, dove ad essere aguzze sono le sbarre di un Istituto penitenziario, sentinelle anch’esse e che vegliano sui detenuti reclusi nel supercarcere di Sulmona.

Il buio oltre le sbarre. Ma oltre le sbarre in questi giorni spicca un presepe: è stato realizzato in mesi che forse sono passati più velocemente di tanti minuti qui, all’interno di mura che nei momenti più difficili sono il nemico principale, un limite perennemente invalicabile.

Quelle mura le immagino graffiate e quegli uomini li immagino con gli occhi chiusi, specie di notte, quando tutto s’interrompe, quando tutto sembra essere circondato dal buio. Poi scopri che uomini circondati da mura che magari odiano e magari non comprendono, hanno pensato a uomini, donne e bambini che le mura intorno le hanno viste crollare:

Uomini, donne e bambini che non vivono distanti, bensì in luoghi posti oltre confini striminziti segnati sulla carta geografica.

Nei comuni del cratere colpiti dal sisma, quando il 24 agosto i tetti sono crollati e le mura improvvisamente hanno ceduto, in tanti sono scappati senza badare al cielo e alle stelle di una notte di fine estate. A distanza di tre mesi, nell’ormai vigilia della vigilia di Natale, i detenuti dell’Istituto di Sulmona hanno donato alla comunità di Amatrice questo presepe realizzato in mesi di lavoro.

Si alza il sipario. Oltre ai lavori domestici che vedono impegnati i detenuti di tutte le sezioni, ci sono quelli che lavorano in falegnameria, in sartoria, in un laboratorio teatrale.

Si, c’è spazio anche per l’arte e per il teatro. Due anni fa il sipario si è alzato perché undici detenuti hanno realizzato uno spettacolo dedicato a tutte le donne vittime di abusi e violenza domestica.

Non c’è data. Alcuni sono di passaggio, qualcuno ha permessi di licenza, altri invece resteranno qui sino a data da destinarsi. Ci sono ore che sembrano interminabili, ma forse per coloro che non hanno una data cerchiata di rosso non c’è nessun conto alla rovescia.

Lo stesso countdown che invece noi, uomini liberi, ripetiamo in vista di un progetto, di una scadenza o anche soltanto di una meritata vacanza. l’essenza stessa del nostro concetto di tempo moderno, penso, quindi è lecito supporre che per molti qui il tempo non abbia effettivamente senso.

Il cuore dell’Abruzzo, dove si alternano spazi verdi e brulli, selvaggi e liberi, ospita uomini senza tempo e dalle radici spezzate, uomini comunque venuti da lontano.

Parafrasando la canzone di una cantautrice siciliana, potrei dire che vengono da terre dove al posto di miele e latte scorre sangue. E loro lo sanno.

I Miracoli (re)sistono. Ci sono uomini in carcere da prima che nascesse Internet, addirittura quando il Muro di Berlino si reggeva ancora in piedi. Sono tutti eventi che sembrano figli di un passato sepolto, forse mai esistito, ma chiaramente non è così.

Dietro queste mura c’è tempo per fare i conti con il presente, che però – forse perché il Natale è davvero custode di miracoli – permette anche qui dentro di tornare indietro nel tempo. A più di duemila anni fa.

In vista del Natale, si scavalcano queste montagne e si giunge lì, nella ben più esotica Betlemme. A differenza di queste montagne e a dispetto della tradizione dei presepi– nonché delle recite di Natale che mi riportano all’infanzia – la neve da quelle parti non è di casa. Ma qui, come altrove, chiunque di noi può chiudere gli occhi e spalancare la fantasia. Al punto da crederci e vederla per davvero.
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