Dimmi se sarò felice
“Zio Ugo è sempre felice. Perché?”A mio nipote che non va ancora alle scuole elementari vorrei poter dire che è vero. Ovviamente, non intendo gettarlo nello sconforto negando questa sua affermazione dal principio alla fine. Per questo non intendo dargli una riposta. Voglio che ci creda e continui a vivere finché può quest’interludio della sua infanzia, dove ai giochi ed ai disegni seguiranno i primi faticosi compiti delle scuole elementari.
Dovrei ringraziare anche sua sorella, perché la parola felicità sembra non mancare mai in questa domenica:
“Questo è un giorno perfetto, nessuno mi fermerà”. In uno dei cortometraggi Disney riproposto in televisione, riecheggia una frase che rende chiaro a chiunque il concetto di empowerment. Trovo la coincidenza perfetta, quasi ideale, perché un attimo prima, grazie al mio amico Joe Bruce, mi sono imbattuto nel libro della dottoressa Louise Lambert:
Louise ci propone 52 approcci diversi al well being, al benessere: 52 consigli per ciascuna settimana dell’anno, in modo che la felicità possa essere a disposizione in ogni momento, in ogni stagione.
Detto diversamente, grazie alla dottoressa Lambert la felicità non incorre nel rischio di essere confinata alla stagionalità, come capita a quei frutti gustosi eppure succosi solo per qualche mese all’anno.
Se negli anni 2.0 Mosè tornasse sul Sinai non si accontenterebbe certamente delle tavole ricevute. Se Mosè vivesse ai giorni nostri si opporrebbe a Dio, perché in nessuno dei comandamenti prescritti vi è menzionata la parola felicità.
Direbbe a Dio che ogni giorno qualcuno gli propina un algoritmo, una ricetta con ingredienti diversi, ma dall’unico sapore.
Dio non potrebbe esimersi dal fornire una risposta. Dovrebbe anche lui fornire la formula vincente, in modo da non indietreggiare di fronte alla concorrenza agguerrita.
Intanto, Mosè vivrebbe parafrasando citazioni o aforismi più che farsi portavoce di comandamenti.
Abbandono trip teologici degni di fantamistica e ripenso alla domanda iniziale, quella posta da mio nipote Alessandro, sei anni compiuti lo scorso marzo.
Sarei felice di dirgli quello che penso: la felicità non è come il regalo che ti aspetti per il tuo compleanno o in occasione del Natale.
Arriva quando deve arrivare e non saprei dire in che modo. Piomba su di te all’improvviso, senza preavviso. Non viene annunciata dallo scampanellio della porta. Non conosce indirizzi, non ti viene recapitata a casa dal corriere che ti consegna quel libro che te la promette. Lo stesso beccato su Internet ed ordinato su Amazon a prezzo scontato.
Innegabilmente l’ho cercata – e non è sicuramente un delitto – condividendo esperienze, sorrisi, il benessere di qualcun altro. L’ho cercata nella vita vera, in un pomeriggio d’estate, ma anche in un mattino d’autunno. L’ho cercata nel momento in cui sentivo di essere libero di farlo, con la mente finalmente sgombra e il cuore in pace.
La felicità di oggi, ovviamente, non è come quella dell’infanzia più serena che si possa desiderare. Su questo dovrebbe rifletterci chiunque, in qualsiasi manuale e in qualsiasi lingua.
Io sono convinto che non lo sarà mai, semplicemente perché anche la felicità cambia fisionomia.
Nel mio caso, si è manifestata grazie all’arrivo di nuovi arrivi: in età adulta hai la possibilità di accogliere chi amerai più di tutti. Come i tuoi figli. Come i tuoi nipoti.
Ci sono eventi che non sono paragonabili a cifre, ecco perché credo nell’abilità di chi pianifica numeri o business. Mentre tutte le mie riserve vanno a maghi, strateghi, happiness planners.
A proposito di strategie, io ho adottato la mia
Dopo l’adolescenza, dopo gli anni dell’università e delle prime, vere esperienze, l’ho accolta senza pensare o recriminare che poi mi avrebbe lasciato per altri lidi.
Non mi sono affidato alle lacrime come quando da bambino sentivo che mi avrebbe abbandonato: perché l’estate stava finendo o perché era arrivato il momento di abbandonare giochi e pallone in cortile, per gli odiosi compiti a casa.
Nessuno nella vita sarà sempre con te, in ogni momento. Cammini molte volte da solo e per questo anche lei non può accompagnarmi sempre. Non dovrei sentirmi tradito per questo, non voglio sentirmi stupido: semplicemente, desidero imparare a conoscerla meglio ogni volta che mi viene a trovare.
Alla domanda di un bambino di sei anni, vorrei poter dare una risposta con una di quelle formule sbandierate ovunque. Vorrei poter dire ai miei nipoti di seguire poche e semplici regole. Se fosse necessario, li obbligherei ad imparare a memoria una sfilza di comandamenti che possano aiutarli nella vita.
Non potrò mai farlo, nessuno potrà: vorrei soltanto ricordargli che non va dimostrata, ostinatamente sbandierata e condivisa se non c’è. Sforzatevi di riconoscerla perché al primo sentore va vissuta al massimo.
In quel frangente, uno dovrebbe sentirsi come Alice davanti allo specchio: convinto o convinta che si possa chiudere gli occhi per ritrovarsi in un mondo a testa in giù. Come un bambino nei suoi primi anni di vita, quando tutto sta per cominciare, sempre pronto a fanasticare su un presente che è degno del paese delle meraviglie.
Amo scrivere, quindi vivo di attimi, di fantasia e senza rinunciare al pane, perché l’aria serve per respirare e non per riempirsi lo stomaco.
Quando lo faccio sto molto meglio. Libero me stesso e la libertà della mente mi restituisce sempre qualcosa.
Anche perché – come disse qualcuno – con la mente puoi vedere le rose sempre. Anche a dicembre.
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