C’è chi dice no
A volte il cinema sembra essere davvero l’ultima frontiera possibile, sopratutto umana, per onorare la memoria di eroi civili. Potrebbe essere questa la traduzione possibile – anche se non perfetta – per il termine inglese whistleblower. Già, perché tradurre alla lettera – come ripeto a corsisti e alunni da anni – frasi e vocaboli dalla lingua di Shakespeare a quella di Dante è spesso una mission impossibile. Sorry, missione impossibile.
Chiariamolo subito, i torti che si fanno alla lingua non sono quelli che subiscono spesso i whistleblower: recentemente un noto quotidiano, nel tentativo di superare i confini tra una lingua e un’altra, ha ricordato il nesso con gli arbitri di calcio che fischiano il fallo ai danni di un giocatore.
Ma i direttori di gara hanno la facoltà di decidere e sanzionare, spedendo fuori dal campo chi ha commesso le irregolarità più gravi.
Nel nostro paese quello del whistleblower è spesso un fischio molto diverso: suona strozzato, flebile a tal punto da passare inosservato.
Non c’entra la lingua, non c’entra affatto la traduzione perfetta che manca e quindi più che addentrarsi nelle spiegazioni, basta fare un nome che non è familiare, ma almeno è più facile da ricordare – cercatelo magari – e pronunciare:
Andrea Franzoso è un ragazzo che ho incrociato sui giornali ed in televisione solo qualche giorno fa.
Andrea fino a qualche tempo fa era Interior audit per conto di Ferrovie Nord, società quotata in borsa e controllata dalla Regione Lombardia, dettaglio quest’ultimo non trascurabile perché l’azienda risulta pubblica al 72%
Ma ad Andrea non basta timbrare il cartellino: nel febbraio 2015 denuncia l’allora presidente di questa società di diretta emissione pubblica per peculato e truffa. Non c’è molto che io possa dire, qualsiasi commento potrebbe essere tradotto – e questa volta nel migliore dei modi – in cifre.
Due carte di credito usate per pagare ristoranti e alberghi, cene con personaggi politici, scommesse sportive, capi d’abbigliamento costosi senza trascurare gli amici a quattro zampe: i soldi dei contribuenti servivano a pagare le necessità e i lussi del cane, nonché vizi e stravizi dei figli del manager che attualmente risulta sospeso dal suo incarico. Spese pari a seicentomila euro, cifra destinata a migliorare servizi utili a pendolari e viaggiatori.
C’è chi dice no non è solo il titolo di una canzone di Vasco tratta dall’album omonimo o quello del film con la coppia Argentero – Cortellesi: oggi l’ex internal auditor per conto di FerrovieNord non ha rimpianti, ma si lascia assalire dai dubbi e dalle frustrazioni che lo accompagnano in queste giornate d’addio.
Addio al suo vecchio impiego, un addio alle vecchie, care certezze che fanno comodo a molti tanto da rendere legittima la frase martellante: In Italia non denuncia nessuno.
L’addio di Andrea è un addio che conosce un percorso ancora più sofferto: scoperti i bubboni, il whistleblower ha cominciato ad accusare i sintomi che dovrebbero distinguere e magari distruggere coloro che invece la peste contribuiscono a diffonderla.
Non quelli, come Andrea o il collega Luigi Nocerino, trasferito altrove.
Il nuovo manager di Ferrovie Nord subentrato di gran carriera preferisce affidarsi a consulenti esterni, mentre i colleghi di Andrea sembrano rinverdire le pagine di Manzoni
spesso scappano alla vista dell’untore, ma la loro, ahimè, è una fuga molto poco pittoresca. Una fuga che nel ventunesimo secolo perde ogni sacralità e si imbarbarisce
“ Ricordo che diversi colleghi mi dicevano bravo in ascensore, Poi, riaperte le porte, eravamo degli sconosciuti”
Nella mia domenica mattina in preda al relax catturo un servizio in televisione: Andrea è a Roma, al centro studi americani, per condurre la sua battaglia e alzarla di livello. Insieme ad associazioni come Transparency Andrea oggi lotta al fine di estendere leggi e garanzie per i whistleblower anche nel settore privato, in modo da assicurare loro un futuro nonché canali privilegiati e sicuri che facilitino segnalazioni contro corrotti e corruttori.
In America i whistleblower sono tutelati e ci sono garanzie per il loro futuro, in Italia chi denuncia è ancora stigmatizzato, con poche e semplici parole: ha fatto la spia
C’è chi dice no e Andrea Franzoso, come tanti altri, ha pronunciato la parola più semplice e universale per compiere un atto di disobbedienza civile che renda la nostra società sicuramente più civile.
Si tratta di un No spesso non voluto, non cercato, ma che il tempo ha reso necessario: ne è consapevole Il poliziotto bielorusso Alexander Barankov attualmente residente in Ecuador per aver denunciato la corruzione della polizia nel suo paese ancora schiavo della dittatura.
Destini diversi. Alexander è un whistleblower, ma si sa, i destini degli esseri umani – a parte forse quelli degli innamorati nelle tragedie di Shakespeare. manco a dirlo – non si uniscono.
I whistleblowers meno poeticamente e più semplicemente non fanno eccezione:
Lo dimostra la storia arcinota di Frank Serpico, il poliziotto italo americano che denunciò abusi e soprusi della polizia di New York: Serpico si è ritirato nel 1972 dopo essere sopravvissuto miracolosamente ad una sparatoria contro degli spacciatori – ordita appositamente dai piani alti per farlo fuori, dicono…
Oggi Serpico tiene conferenze, ma prima di osannarlo il mondo intero ha dovuto aspettare che si alzasse il sipario. Quando poi è arrivato Al Pacino, tutto è stato più facile: la sua maestria ha reso l’eroe immortale e poco importa, oggi, se il viso di Serpico si confonde con quello di un attore superlativo.
Frank è’riuscito a spuntarla ed è tornato a vivere nel suo paese sotto la bandiera a stelle e strisce. Li, nonostante tutto, hanno forse ancora un disperato bisogno di eroi.
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