
Breve incontro
C’è il momento in cui il cuore di un atleta va per conto suo. E’ l’attimo che precede il taglio del traguardo o magari l’istante che precede il salto decisivo. Marie Amélie lo sa bene: francese, ventisette anni, in una sera di fine estate dall’altro lato del mondo corre per una decina di metri perché la sua rincorsa sia efficace e le permetta di fare un buon salto. Badate bene deve essere lungo, magari il più lungo di tutti.
Il tempo di restare in aria è davvero un attimo fuggente: Marie Amélie vi rimane per un paio di secondi e aspetta solo di cadere, ma il suo cuore palpita perché sa che deve cadere nel miglior modo possibile.
Questa volta la forza di gravità non conta, perché in questo caso i sogni si conquistano ricadendo prepotentemente a terra – pardon sulla sabbia – e un pugno di centimetri fa la differenza rispetto al resto del mondo.
Finalmente, Marie Amélie conosce il verdetto e si rende conto che il suo salto le ha permesso di stare davanti a tutti gli altri. Il suo è un balzo in avanti rispetto alla storia dello sport, in queste Paraolimpiadi di Rio de Janeiro.
Quei 5,83 m sono una traccia visibile, un solco indelebile nella vita di una giovane donna che corre da una vita.
Marie è infatti campionessa anche nei 400 m: lo è stata anche negli stadi Olimpici di Pechino e Londra, cosi come ai campionati mondiali di Doha l’anno scorso.
Eppure la sua vera corsa inizia quando ha quindici anni: e’ il pomeriggio qualunque dell’ennesima giornata spensierata di un’adolescente comune: Marie Amélie sfreccia a bordo di uno scooter e in sella a due ruote, il vento sul viso rinnova in lei la sensazione di libertà tanto cara a tutti i teenager del mondo.
Ma quel giorno un attimo fatale, più che fuggente, è pronto a tradirla più di tutto il resto.
Il 31 marzo del 2004 rimane coinvolta in un incidente che segna una svolta che non si potrà dimenticare e per la sua gamba sinistra, al di sotto del ginocchio, questa volta non si può far nulla.
Ha sempre sognato di fare il vigile del fuoco, ma questo progetto divenuto irrealizzabile si trasforma pian piano in un sogno, anticipato da una lunga rincorsa scandita da ogni singolo battito di un cuore che non si è arreso e non è disposto minimamente a soccombere.
Dodici anni dopo, Marie Amélie si lascia cullare nella sua bandiera prima di salire sul gradino del podio.
A pochi metri da lei c’è un uomo che probabilmente non conosce: la sta fotografando, in uno dei momenti più felici della sua vita. Quel fotografo si chiama Joao Maia Da Silva, ha quarantuno anni ed è un ex postino.
Accanto ha Leonardo e Ricardo, i suoi collaboratori: è l’ennesima foto scattata, ma per lui è come se fosse la prima volta.
Nonostante disti da lei pochi metri, Joao non vede il volto felice e sorridente di Marie Amélie Le Fur. Almeno, questo è quello che dovremmo credere.
Dodici anni fa Joao è diventato pressoché cieco. Una diagnosi inappellabile, giunta negli stessi mesi in cui Marie Amélie perde la gamba.
Da allora, Joao Maia distingue solo sagome ed ormai è capace di intuire i colori, piuttosto che vederli. Ma l’ex postino di San Paolo abbandona la sua vecchia vita e come solo i veri coraggiosi sanno fare, non perde tempo ad inventarsene una nuova.
Joao Maia potrebbe abbandonarsi ai ricordi prima che l’amarezza lo privi di qualsiasi interesse verso il presente: ma per fortuna c’è sempre una possibilità. Nel suo caso è un terzo occhio, che vede, sente, registra. Assume, ai nostri occhi, la forma di un’obiettivo, comune a quello di tanti altri fotografi.
Ai nostri occhi è anche uno smartphone di ultima generazione, puntato sugli atleti negli stadi, meglio ancora nei circuiti – come il salto in lungo – dove le distanze dagli sportivi non sono proibitive.
Perché da vicino, Joao Maia ha affinato la sua capacità di sentire al meglio tutto ciò che lo circonda: il suo cuore, che resta invisibile, è diventato un terzo occhio che tutto può. Ma a mio avviso il terzo occhio di Joao va oltre. Si unisce al respiro affannoso, alle lacrime e alle risate di atleti che lottano e soffrono per vivere la vita al massimo proprio perché, come il loro, non teme più nulla.
Mentre guardo Marie Amélie e la bandiera francese immortalati dall’obiettivo di Joao Maia, tento in mille modi di andare oltre quello che ho davanti agli occhi.
Un’immagine resiste e vince su tutte le altre: quella di Joao e Marie Amélie che si sorridono a vicenda, frutto di un breve incontro, prima che le loro vite riprendano strade diverse.
Pronti a rincorrere strade e sogni differenti, a godersi ogni giorno regalato, lasciando agli altri il concetto di normalità. Ma soprattutto un tacito momento di imbarazzo e di immancabile stupore.
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