Bianco, rosso e blu..Dal primo all’ultimo giorno

Brad Pitt tiene in braccio i due figli Pax e Zahara per le strade di Praga. Si dirigono alla scuola dell’ambasciata americana perché è arrivato il primo giorno sui banchi anche per loro. Intanto, con lo zaino in mano, Colin Farrell insegue suo figlio lungo un viale alberato mentre Frederik e Mary, reali di Danimarca, stringono le mani dei figli. Genitori che sorridono come scolari al primo giorno, appunto.

Scorro la galleria fotografica pubblicata su un quotidiano nazionale e mi imbatto in altre foto a colori. Scopro così che donne come Giselle Bundchen sono emancipate per davvero. La famosa modella brasiliana porta uno dei due figli sulle spalle, come farebbe un uomo: nel caso specifico il premier inglese Cameron, che evita alla figlia Florence il solito tour in monopattino. Poi torno alle immagini in bianco e nero: per le strade di Roma sfila l’elegantissimo Vittorio Gassman con il figlio Alessandro in grembiule, mentre Gina Lollobrigida tiene sott’occhio il figlio Milko.

Bianco, rosso e blu. Se qualcuno, in questo istante, mi chiedesse cosa ricordo del mio primissimo giorno di scuola, risponderei elencando questi tre colori. Nella mia mente non c’è nessun quadro astratto, trovano spazio invece un grembiule, un colletto perfettamente pulito e stirato, un fiocco rosso indossato solo quel giorno.

Poi tornano in vita visi e contorni di oggetti che il tempo ha spesso stravolto.

Un giorno di settembre del 1987 varco la soglia di un cortile pieno di sole. Non mi è difficile credere che mia madre fosse emozionata e stringesse la mia mano. Intanto mia sorella è scappata nella sua aula perché ormai è autonoma. Lei è già in terza elementare, in una classe al piano di sopra: sa cosa l’aspetta, e adora la sua maestra dolce e materna.

Sono seduto al banco in prima fila. Nonostante la voce imponente e sicura, non ho paura del maestro che si staglia proprio davanti a me. Non ho ancora sei anni, parlo molto poco e sono diffidente. Ma istintivamente mi fido di lui: forse sento già il bisogno di avere di fronte qualcuno che sa quello che fa.

Negli anni scoprirò che sono destinato a stimare quest’uomo, rafforzando questo sentimento di giorno in giorno. Non ha pregiudizi: non accetta lusinghe e non vuole troppe smancerie.

Intanto Tiziana, una mia compagna di classe, piange disperata. Non capisco perché. Guardo l’orologio giallo che mi hanno regalato per il giorno più importante dopo la mia nascita e so che tra poche ore tornerò a casa. Anche Tiziana deve saperlo: la madre la rassicura, ma è inutile…L’esperienza le suggerisce di appigliarsi all’unico salvagente possibile: Giovanna è seduta al banco accanto.

La signora B. sa che può contare su quella bambina che sta per compiere sei anni e ha ragione: Giovanna è tra le più piccole e minute della classe ma al contrario di tutti quanti gli altri – compresi maschi di stazza notevole – non vacillerà mai negli anni a venire. La scena del pianto straziante di Tiziana si conclude all’improvviso, come se si trattasse del più violento e fugace temporale estivo.

Il mio maestro conclude un discorso continuamente interrotto mentre le madri con il sorriso bonario tentano in qualunque modo di vincere la concorrenza e di farsi spazio per assistere alla scena.

Non ci sono selfie e cellulari, foto che possano testimoniare l’evento. L’emozione è vissuta lentamente e ogni istante va goduto.

Ma poi anche quel giorno passa in fretta e poco prima dell’uscita resto seduto in fondo alla classe con tutti gli altri. Non parlo con nessuno e all’arrivo di mia madre sono contento di poter tornare a casa.

Sono soddisfatto, ma resto un bambino pigro. Le dico che domani non voglio andare. Spetta dunque a mia madre, che ha meno anni di quanti ne abbia io ora, farmi capire senza alcun equivoco che da questo momento in poi non ho scelta.

E’ il giorno zero del dovere, non si torna indietro.

Il primo giorno di scuola appartiene a Ieri e oggi, volti famosi e anonimi, ricchi e poveri: fortunatamente è prerogativa e fonte di speranza per tutti. Tutti i genitori ne hanno diritto, anche quelli che hanno già avuto tutto.

Non c’è differenza, almeno non il primo giorno. La scuola di periferia e il college esclusivo sono dettagli estetici: i cuori e le menti pulsano anche laddove entra l’acqua piovana e c’è odore di muffa.

Forse ho un’idea romantica del primo giorno di scuola, tuttavia l’ho sempre preferito a tutti gli altri, anche negli anni successivi. Tutti i secondi, i terzi, ventesimi o i trentesimi giorni vagano nella mia mente senza un ordine. Il profumo delle matite, degli astucci appena comprati, degli zaini mai aperti si affievolisce il giorno dopo. I fogli dei quaderni e dei libri non saranno mai più immacolati.

Alpha e omega, non ho scampo. Primo e ultimo giorno.

Ecco che, a trentatré anni, gli esami di stato, pardon di maturità, sono finiti già in un cassetto della memoria, accanto a quel primo giorno di settembre nel cortile pieno di sole.

In un baleno gli occhi cadono sulla lettura dell’ultimo tema nella mia carriera di studente liceale. Olocausto, c’è scritto, e l’argomento scelto dal ministero per i maturandi del 2000 è quello che volevo. Non ho paura come non l’ho avuta il primo giorno.

Voglio fare bella figura, distinguermi, e non è necessario sedersi al primo banco. Riempio pagine di quell’ ultimo componimento e ho la fortuna di ricordarne le ultime parole perché a distanza di anni quei fogli non esistono più.

Oggi, sullo stesso giornale, leggo la notizia che vede protagonisti Giorgio e Orietta, due genitori di Udine. Anche loro nutrivano speranze per il figlio Enrico e sin dal primo giorno. Enrico non ha avuto modo di vivere a lungo, perché purtroppo è scomparso a ventidue anni l’anno scorso.

Eppure sono sopravvissute le sue parole; quelle scritte sul tema di italiano per l’esame di maturità. La richiesta per avere quelle pagine e poter leggere quelle parole viene inoltrata più volte, ma Giorgio e Orietta non ricevono risposta. Soltanto dopo numerosi solleciti arriva finalmente la risposta, attesa a lungo e invano per tanti mesi: l’amore non basta.

Secondo il dirigente scolastico non rappresenta un motivo giuridico rilevante per riaprire i sigilli.

Il preside ha aggiunto un’ultima raccomandazione: l’uso della carta semplice per inoltrare  l’istanza al Tar o alla Presidenza del Consiglio.

Qualche volta non è soltanto la carta ad ingiallirsi, ma preferisco soffermarmi sull’ insistenza e la caparbietà di due genitori, di cui ignoro i volti. Ai loro momenti felici per ogni primo giorno vissuto insieme al figlio Enrico.

Tutte prove indiscutibili che l’amore basta. E’ una verità, non una convinzione: la sentenza più rilevante ed inappellabile che possa esistere.

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