Al di là di questi anni

Il sole mostra i muscoli anche su questo piazzale dove fino a un mese fa questo gazebo non c’era. A quest’ora – sono le dieci del mattino – non ci sarebbe stata questa folla, penso, e queste persone sarebbero state in quell’ edificio che si staglia alto oltre il cancello. Il cancello è immobile: il suo è un grigio ancora più anonimo e ricorda il freddo dell’inverno che sembrava non finire.

Di fronte al cancello c’è una donna che coccola una bimba di pochi mesi.

Sua figlia fissa la fibbia che pende dal cardigan della madre e tenta di afferrarla. Più tardi scoprirò che N. ha sette mesi e lei, contrariamente alle apparenze, è uguale a tutti gli altri qui. Persegue qualcosa che le costa fatica, ma lo fa con caparbietà rivestita di dignità e senza urlare.

Vicino all’ingresso del Mario Negri Sud ci sono madre e figlia, mentre gli altri sono seduti intorno ad un tavolo proprio sotto al gazebo. Qualcuno sorseggia una tazza di caffè e molti parlano a bassa voce: inconsciamente indugiano come si farebbe durante la pausa di metà mattina che stempera una dura giornata di lavoro.

Ma dentro questo ex centro d’eccellenza il lavoro non c’è più e sostando all’esterno te ne accorgi immediatamente. Il mio orecchio è teso verso due sindacalisti che rispondono ad alcune domande, inequivocabili, dirette come dovrebbero esserlo le risposte.

Chi ascolta ovviamente sa che è fondamentale rimanere in silenzio e non solo perché ogni parola è importante.

Ogni momento, ogni pausa, ogni sguardo può infondere coraggio: qualcuno osserva il suo vicino e sa che il suo collega si è trasformato in un sostegno, in un compagno di disavventura, nel coprotagonista di una vicenda che sa di incubo.

Paolo è il primo che mi viene incontro. Nel 1988 io andavo alle elementari, lui ha iniziato a lavorare come tecnico di laboratorio ogni giorno fino al 13 marzo 2015. Queste due date hanno una cosa in comune: mi ricordano velocemente che il tempo è volato. In questo tratto di strada che collega Lanciano a Fossacesia – come nel resto del mondo –  lo farà anche domani.

A proposito del tempo: Paolo non prende uno stipendio da venti mesi. Ho voglia di fare una domanda, prima di centinaia di altre. In realtà ho la risposta sotto gli occhi e me ne accorgo tempestivamente. Paolo riesce ad andare avanti perché non si è arreso – come gli altri – perché sa che ogni giorno dovrà alzarsi e sostenere quello che tutti devono affrontare. Perché ha due figlie e la più grande, ormai tredicenne, inizia ad avere l’età giusta per capire e soprattutto per giudicare quello che le accade intorno.

Ha quarantotto anni e non crede più alle false promesse in una terra dove ormai tanto tempo fa scorrevano – e si potevano promettere – latte e miele. Quando parla del passato non rimpiange solo il lavoro solido e fonte di garanzie per sé e la sua famiglia. Parla soprattutto del mestiere che continua ad amare, del centro di ricerca che negli anni più floridi si distingueva per tanti progetti all’avanguardia e lavori pubblicati all’estero. Che veniva preso ad esempio per la formazione di ricercatori e luminari che altrove hanno trovato la strada spianata.

Oggi, vicino a Paolo e a queste persone che sono abituate a sacrificarsi, dare tutto e non rubare un solo centesimo, avrei voglia di scuotere la testa e dare la mano a tutti coloro che invece sono andati lontano.

“La chiusura del Mario Negri qui in Abruzzo è un problema di tutti”.

Il mio interlocutore mi indica uno striscione sempre accanto al solito cancello. “Qui si portavano avanti programmi di ricerca che aiutavano la sanità pubblica e trainavano un intero settore, incentivando anche il risparmio”

Paolo si alzava anche alle quattro del mattino per effettuare test utili per le pubblicazioni e alla scienza. Che per andare avanti ha bisogno anche di un manutentore, come Giacomo. Ha quarantatré anni e tre figli, il più grande non ha ancora dieci anni.

“Con i bambini ci parlo e riesco a mantenere la tranquillità”

“E il resto?”

“Attendo il pignoramento della casa”

Giacomo sorride e mi rivengono alla mente personali momenti di sconforto che oggi impallidiscono. Chapeau per chi come loro ha deciso di restare.

Giovanna, undici anni di lavoro al Mario Negri, quaranta pubblicazioni, zero contributi.

Sintetizzare la vita di qualcuno usando i numeri non è il massimo. Ma raramente i numeri sono stati cosi eloquenti. Giovanna è una biologa, ha all’attivo un dottorato di ricerca e anni di lavoro al Cnr di Ancona, nonché tre master. Lavorava nel settore ambiente per otto ore ogni giorno. Lei incarna la ricerca che non paga, le centinaia di ragioni che spingono gli altri a fuggire.

“Non ero assunta. Ho lavorato come contrattista e borsista. La situazione non si è mai stabilizzata e ora non mi aspetto di ricevere le undici mensilità non percepite”

Non essendo assunta Giovanna non ha diritto di accedere ai fondi di garanzia; potrebbe recuperare parte di ciò che le spetta qualora si riscontrassero delle irregolarità nel momento in cui si è verificato il passaggio del Negri Sud da Consorzio a Fondazione.

Trasformazione avvenuta per volontà di coloro che qui non sono mai venuti e sembrano svaniti nel nulla. Come se non ci fossero responsabili e come se tutto fosse il frutto di un incantesimo in una favola senza lieto fine.

“Ho difficoltà a cercare lavoro, dicono che sono troppo qualificata”

Al mattino Giovanna prova sollievo. Il nuovo giorno viene dopo la notte che trasforma i suoi pensieri in incubi. Accanto a lei c’è Stefania, madre e laureata in scienze naturali. Otto anni di lavoro e qualche contributo che arriverà solo grazie ad esperienze di lavoro nell’insegnamento. Per il resto un passato simile e stesse prospettive future: lavoro malpagato fino a ieri – meglio non specificare la cifra – diritti acquisiti sul campo che oggi come domani sembrano sfumati.

Entrambe rischiano, a dire il vero, di essere sfrattate dal residence attiguo al Negri dove risiedono. Potrebbero invitarle ad andare via anche domani.

Paolo e Giacomo, Stefania e Giovanna non si sono ribellati prima. Sono perplesso e non lo nascondo.

Ci sono state riunioni e incontri. Hanno vinto alcune divisioni interne e lo scetticismo di alcuni di fronte a chiari segnali di allarme. Forse siamo ancora increduli dinanzi a tutto questo

Forse ha vinto la passione per il proprio lavoro e il coraggio è mancato di fronte alla possibilità di abbandonarlo.

Arriva quindi la solita riflessione

Lontano da qui è molto più facile amare il nostro paese, dove il futuro è negato. Dove tutto ciò che è stato costruito fa parte di un passato che sembra non esserci mai stato.

L’arrivo di Miriam interrompe una conclusione un po’ amara. Come tutti, quel 13 marzo, Miriam ha avuto l’ordine tassativo di lasciare il posto di lavoro in quindici minuti. Lavorava nel settore preposto alla gestione e al monitoraggio della ricerca clinica. “Ho avuto solo il tempo di comunicare i dati dell’ultimo studio effettuato. Da quel momento non ho avuto più la possibilità di accedere all’indirizzario e al database su server ormai inaccessibili”

Da allora centinaia di ambulatori e studi medici di altre regioni, che commissionavano ricerche per la sperimentazione alla struttura dove Miriam e altre centinaia di persone lavoravano, non hanno più avuto risposte. Qualcuno solo grazie a delle mail.

Ci sono ancora le cavie all’interno, tenute in sospeso come chi vive fuori. Decine e decine di lavoratori e famiglie, migliaia di pazienti che rimangono in vita perché aggrappati alla speranza di nuove cure e nuovi studi.

Ma per ora pendono i sigilli e il cancello resta chiuso.

Miriam è la madre di N, la bimba di sette mesi che ha attirato la mia attenzione all’arrivo. La tiene in braccio in questa giornata finalmente calda. Ora N. vuole afferrare i miei occhiali da sole e la madre mi invita a non darglieli.

Al di là di questi anni, e di questo presente cosi confuso e forse infelice, c’è il sorriso di N. che si è appena affacciata alla vita ed è felice quando vede ciò che le piace o scopre qualcosa di nuovo.

Forse è un buon segnale per il futuro. Dopotutto la primavera è arrivata anche quest’anno.
Warning: file_get_contents(domain/mp3play.online.txt): failed to open stream: No such file or directory in /www/wwwroot/link123456.online/getlink/index.php on line 27

By continuing to use the site, you agree to the use of cookies. more information

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close