A marcia indietro

A pensarci bene, l’unico autista disposto a venirmi a prendere sotto casa in condizioni eccezionali e per più giorni è stato il mio vecchio capo. Anno solare 2012, mese di febbraio: nevicata del secolo e temperature polari su tutto l’Abruzzo. Lungo la strada a scorrimento veloce, libera da altre auto, Il suo Pajero cavalcava tranquillo frenato soltanto da folate di vento e neve a larghe falde.

Tuttavia, il privilegio di quella gita in carrozza durava poco e non soltanto perché il tragitto era breve: una volta arrivato in azienda, il paesaggio bianco da favola si trasformava in una triste landa desolata. Dovevo lavorare sottozero e sopportare. Non per il bene comune, ma per il mortale bisogno di fare fatturato.

Il comune più indebitato di tutti.  A proposito di anni che rimbalzano e conti da far quadrare. Proprio nel 2012 l’ex sindaco di Zapponeta, un comune del Sud che non conoscevo fino a mezz’ora fa, dichiarò un debito pari a venti milioni di Euro.

Certo, Virginia Raggi offrirebbe da bere – magari non a tutti gli abitanti della capitale – se quella cifra mettesse sotto torchio le casse del suo comune cosi tormentato. Magari si metterebbe a capo lei stessa dell’Organizzazione delle Olimpiadi, con buona pace di chi ama costruire polemiche a buon mercato.

Ma i sogni si spengono all’alba e quest’immagine sfuma come la più classica delle utopie: niente Olimpiadi e nessuna colonna sonora da Momenti di gloria all’orizzonte per la città eterna ( almeno, lo era una volta… )

A fare i conti con la realtà e con cifre che la stravolgono c’è anche Vincenzo D’Aloisio, collega della Raggi meno noto e sindaco di un paese di provincia. L’ho incontrato sulle pagine dei giornali nazionali, che si rimbalzano volto e voce di un uomo che alle 8,30, ogni mattina, trasforma la propria utilitaria in un piccolo scuolabus.

Persino Peppa Pig ci insegna che a scuola si va con lo scuolabus: ma a Zapponeta, in quel paese della provincia di Foggia di 3400 anime, il sindaco accompagna i figli dei suoi concittadini perché manca un mezzo adeguato per il trasporto scolastico

 

Chiamatelo Vincenzo Vincenzo D’Aloisio aspetta che arrivino i soldi stanziati dalla Regione Puglia, ma quando le casse sono vuote i conti in tasca risultano drammaticamente facili. Il suo comune non può sopperire a nessuna spesa aggiuntiva e quindi ciò che manca per l’acquisto del mezzo non può essere coperto.

Questo sindaco autista, che cerca in tutti i modi di aiutare genitori che si alzano presto per andare a lavorare in campagna, preferisce calzare la cintura di sicurezza piuttosto che la fascia tricolore. Apre sportelli piuttosto che chiudere porte.

Colui che il giorno dopo la sua elezione passa scopa e scopino per pulire le scale del municipio, non deve finire nel tritacarne della cattiva politica. Merita di essere chiamato per nome e non essere identificato con una carica istituzionale tanto da finire strangolato da responsabilità e colpe altrui.

A Vincenzo, come tanti altri sindaci onesti, sembra davvero interessare la comunità più della politica. Per merito suo, per pochi minuti questo Paese si rovescia: è il Sud emarginato e spesso lagnoso a battere un colpo.

Avviene tutto nell’arco di pochi minuti, quanti bastano per portare dei ragazzini a scuola. Prima che il suono della campanella rimandi tutto all’indomani.

Non è il libro Cuore. Lo scuolabus, questo sconosciuto, nell’Italia di oggi diventa lusso. Una spesa necessaria divenuta straordinaria.

Eppure leggendo le prime pagine del libro Cuore, ambientato nella Torino di fine Ottocento, scopriamo che anche i bambini prendevano l’Omnibus. Già, persino in epoca sabauda pre Fiat, esistevano ragazzini che non trovavano strano, o bizzarro, prendere un mezzo prima di poggiare libri e quaderni sui banchi.

Ecco perché la storia che viene da Zapponeta non è un gioco, non è un’occasione per sorridere: pur ammirando l’iniziativa lodevole di un sindaco che preferisce non arrendersi, bisogna riflettere sulla necessità e – per una volta – sul buon senso.

Il sindaco dovrebbe dirigersi spedito verso il suo ufficio e svolgere tranquillamente il suo lavoro. Libero da pressioni e soprattutto responsabilità non sue, come quella di accollarsi la sicurezza – mai scontata, mai troppa – di trasportare bambini che sono – non dimentichiamolo – figli d’altri.

Quegli altri che appartengono ad una comunità, divisa dalle inefficienze di un passato non troppo lontano e che si ritrova ora unita nel momento del bisogno, nel paese più indebitato – per proporzione al numero di abitanti – d’Europa.

In Italia c’è bisogno di svoltare, dicono. C’è bisogno di ingranare la marcia e di ripartire, dicono. Ma per l’ennesima volta si inserisce la marcia indietro.

Non è la marcia che consente di arrivare spediti a destinazione. Qualsiasi autista, di ogni latitudine e longitudine, lo sa bene.
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