Quel fantastico Leicester

Nell’anno delle celebrazioni per il novantesimo compleanno – pardon genetliaco – di Queen Elizabeth c’è una data che rimarrà per sempre impressa. Lo chiameranno quel 2 maggio di tanti anni fa, probabilmente, anzi quella notte del 2 maggio di molti anni fa, quando il trono per la prima volta dopo secoli è rimasto vacante e la capitale – in questo regno è a sud, ma è il centro di tutto – improvvisamente si è trovata molto più a nord.

Tutto questo grazie a colui che hanno ribattezzato The King, ma hanno avuto troppa fretta.

Claudio Ranieri porta il nome dell’Imperatore che nel 43 D.C arrivò in Britannia per sottomettere successivamente un popolo che viveva oltre le Alpi.

In due parole, barbaro e incivile.

Non c’è stato bisogno di edificare un altro Vallo di Adriano, non c’è squadra blasonata che abbia saputo arginare la cavalcata inarrestabile di Emperor Claudio da Testaccio. Durante il campionato pian piano ha guidato e condotto qualsiasi appassionato di sport verso Leicester, questa città di trecentomila abitanti che milioni di persone non conoscevano.

A dimostrazione di ciò, in molti hanno sbagliato a pronunciare il suo nome, in tantissimi ancora oggi non si azzarderebbero, al di fuori del regno, ad indicarne lan posizione geografica

Poi è arrivato lui, il commoner per eccellenza, il figlio di un macellaio nato nell’ex caput mundi che tanta gloria ha conosciuto in passato: lo chiamavano Er fettina, ma oggi è venerato come un Cesare d’oltremanica. A Leicester, città dove vivono persone di tutte le età e di tutti i paesi, l’Imperatore ha saputo unire fedi e bandiere.

Taryn, giovane barista, ha sempre odiato il calcio, ma nelle ultime settimane non ha dormito molto bene. C’è chi viene dall’India e fa le pulizie: non sembra minimamente interessato a parlare di spiritualità o cicli di reincarnazione nonostante Er fettina sembra essersi quantomeno trasformato.

L’eterno secondo, il perdente vincente, il conservatore o catenacciaro gradualmente ha assunto lo status di thinkerman – colui che aggiusta tutto a poco prezzo – fino all’inarrestabile ascesa che ha travolto detrattori e sedicenti professionisti abili a fare pronostici che raramente si rivelano azzeccati. Bastava davvero poco a thinkerman alias Claudio Ranieri per rompere tutto: ma è stato solo un timore e nulla più.

L’ex allenatore di Valencia e Roma – li dove ha sfiorato l’impresa che più rimpiange – si mette subito in evidenza per il suo garbo, un invidiabile aplomb britannico che non si smonta nemmeno quando il vantaggio sulle dirette inseguitrici si riduce dopo la sconfitta contro l’Arsenal o il pareggio con il West Ham.

Non era possibile, nemmeno immaginabile. E non perché il Kaiser d’oltremanica avesse a disposizione nomi altisonanti da mettere i brividi.

Il figlio d’arte Schmeichel, Simpson, Huth – quello con la carriera più blasonata – l’ex panchinaro Fuchs sono chiamati a limitare i danni – si pensava – contro giocatori come Sanchez, Rooney, Aguero.

In difesa con loro c’è un certo Morgan, giamaicano, ex aspirante revisore contabile che ama i tatoo tanto da investire parte del proprio patrimonio in Ink-credible, il cui nome dice e promette già tutto.

Morgan ha più coraggio – e talento – in campo, tanto da essere eletto giocatore del decennio della sua squadra. Poi Mahrez che improvvisamente si mette a regalare magie col piede sinistro, e Kante che corre come nessuno ed è ovunque. Inarrestabile.

Volli fortissimamente volli. Più avanti c’è un certo Jamie Vardy, l’ex operaio che segna al ritmo di Higuain.

Ora è eletto dalla stampa inglese miglior giocatore della Premier League, ma al posto della medaglia al valore qualche anno fa portava un braccialetto intorno al braccio.

Non uno qualsiasi, bensì uno elettronico in modo che fosse rintracciabile dopo essere stato arrestato in seguito ad una rissa nata con il solo scopo di difendere – e in molti lo sostengono – un amico sordo vittima di bulli.

Vardy ha attirato le attenzioni di Hollywood per i suoi record, undici gol di fila in undici partite. Ma la sua è la vicenda dell’ennesimo commoner: un ragazzo che guadagnava trenta sterline la settimana. Un ex giocatore nella conference cup – equivalente a una quinta divisione – che è diventato il Re di un campionato, giocatore capace di segnare gol capolavoro come quello rifilato al Liverpool lo scorso febbraio.

http://https://www.youtube.com/watch?v=Lnncn1Hd3g8

La grande scommessa. La caccia alle foxes, alle volpi blu che ora tingono il cuore delle Midlands, un tempo grigie di cemento e ferrovie, per il cielo solcato da tante nubi, fortunatamente non è andata a buon fine.

Ranieri è riuscito a non gridare, a non vantarsi, a non sputare veleno su special one invincibili presunti. E’ stato prudente, scaramantico, ma anche sensibile: proprio il giorno più importante della sua carriera, da buon italiano, torna a pranzo dalla madre novantaseienne.

Un gentleman che ricorda come le favole o le imprese intramontabili molto spesso nascono laddove non c’è oro che luccica, visto che il suo presidente thailandese e dal nome impronunciabile gli promette un premio in caso di salvezza.

L’anno precedente il Leicester si è salvato e non con largo anticipo: nel paese che crede nelle scommesse più di tutti e confida nei pronostici come in una religione, pochissimi credevano nella favola.

Lo dimostra una quota in caso di vittoria stimata 5000 sterline a 1, perché in fondo sono inglesi e prevale il buon senso.

Da Leicester a Londra. E ritorno. C’è un ultimo ostacolo da superare: quella partita Chelsea Tottenham che ho seguito con massima attenzione, maggiore di quella riservata a qualsivoglia partita di serie A quest’anno.

Sono milanista, verrò sicuramente perdonato e forse compatito.

Alla fine del primo tempo Londra è ancora la capitale: l’esito del derby cittadino arride al Tottenham che insegue e sembra voler rimandare ancora una volta i sogni e le speranze di Ranieri, di Morgan e compagni.

In realtà le speranze del mondo affamato di imprese e disinteressato ai grandi nomi.

Ma poi ci ha pensato quel gol capolavoro di Hazard e alla fine hanno contribuito pure loro, i tifosi dell’altra squadra blu, quella più blasonata: quando i sostenitori del Chelsea urlano a gran voce Leicester alla fine della partita realizzi che la favola era vera ed era cominciata da un bel pezzo.

Poi a fischio finale, per una volta, l’attenzione da Londra si sposta su fin nel cuore delle Midlands.

Il trono vacilla, ma per rendere la favola credibile, deve avvenire l’incredibile: l’Imperatore straniero, un autentico commoner, conquista un paese intero senza spodestare nessuno. Con garbo, con l’aplomb che si rispetti, senza urlare o brandire spade contro nessuno.

Ha avuto dalla sua quei cavalieri che presto torneranno ad essere sudditi obbedienti verso l’unico sovrano.

Da domani Sua Maestà tornerà ad essere l’unica Regina, ma da oggi la storia del suo regno si è tinta di quel puntino blu che ricorda vagamente le strofe di una canzone.

Sua maestà sarà contenta: il suo cielo, nel suo regno troppo spesso grigio e plumbeo, si è tinto di blu.
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