Voglio vivere così, a 90 anni.

C’è una donna che al presente risveglia un’immagine del passato: Ho sei anni, forse sette. Mi trovo davanti a una bambola cui non so dare un nome. Rivedo mia sorella che si avvicina a grandi passi. Ha troppa fretta di farmi sapere che lei sa darle un nome. “E’ una matrioska – asserisce dall’alto della sua sapienza di bambina di otto anni – lo ha detto mamma”. Di fronte, la bambola di legno mi fissa e non proferisce parola.

 

E’ un regalo venuto da molto lontano – mi diranno i grandi – mentre io resto al cospetto di una donnina in miniatura. E’ in legno di betulla. Non contano giorni, orari, stagioni: in ogni momento lei – la matrioska – si lascia scomporre. Ne escono fuori una ragazza, un ragazzo, una bambina, infine un esserino minuscolo simile a un puntino nero che non può essere più scomposto.

E’ il momento in cui il gioco finisce, ma allo stesso tempo, quello è l’istante che impreziosisce e dà senso a tutto quello che è stato il gioco sino a quel momento.Lena Erkova deve pensarla allo stesso modo, a novant’anni suonati.

Non ho mai saputo da dove arrivasse quella matrioska, souvenir di qualche amico di famiglia tornato da quel paese sterminato. Ho scoperto però che quella radice, mater, è all’origine del suo significato: matrona, parola che potrebbe riassumere tutto il vissuto di Nonna Lena, divenuta una star dei social grazie agli scatti che l’hanno immortalata nei suoi viaggi in giro per il mondo.

Uomo nato, destino dato. L’ho sentito dire spesso e ho sempre attribuito a questa frase il giusto peso, senza per questo liberarmi dal senso di angoscia che sa regalare. Una frase che suona come una condanna, ma la storia di Lena Erkova dimostra che è sempre possibile ribellarsi al fato. A ciò che sembra essere indiscutibile imperscrutabile, fatale.

1927: Russia, anzi Russia siberiana centrale. Gli Urali ci sono già da tempo immemore e dieci anni prima c’è stata la rivoluzione rossa.

In altre parole, Lena avrebbe potuto nascere in luoghi e tempi sicuramente migliori. Il clima siberiano è rigidissimo, ma non stempera ciò che Stalin sta per portare a compimento. Lo scenario è di quelli che fa da sfondo ad una ragazzina a testa bassa cui viene detto che bisogna lavorare, produrre, sposarsi e crescere i figli.

Lavorare e non pensare ad altro, perché tutta la riserva di sogni a disposizione è stata spesa per la Rivoluzione dei compagni comunisti. Lena cresce circondata da foreste di betulla, si nutre di ciò che la terra restituisce, sperimenta la guerra, diventa madre. La sua città si chiama Krasnoyarsk e sarebbe un punto sperduto su una qualsiasi mappa, se non fosse una fermata lungo il tracciato della Transiberiana.

Negli anni settanta il Muro di Berlino è ancora un blocco di cemento ininterrotto per centinaia di chilometri. Oltre la cortina di ferro, lei cittadina dell’Est può visitare solo quello che i suoi compagni considerano la giusta parte del muro.

Ha passato i cinquanta, è ormai al giro di boa quando ha l’opportunità di vedere Praga, visitare la Repubblica Democratica Tedesca e parte della Polonia. Non c’è molto altro che possa vedere, anche perché le finanze di una comune lavoratrice non sono floride.

Eppure di quell’esperienza lei conserverà un ricordo bellissimo, destinato a cambiare fisionomia al suo futuro. Malgrado l’avvenire appaia ancora piuttosto lontano, il suo presente comincia ad essere diverso: pian piano si aprono crepe, finché ad un certo punto la storia le dà una mano.

Quel Muro crolla e allora questa donna scopre che aveva ragione, a non rinunciare. Passa un decennio e Lena è ormai diventata una babushka, essendo nonna di nipoti già grandi. Qualcosa deve essere però scattato e la matrona capisce che è giunto il momento di aprirsi al mondo.

Liberatasi dai tentacoli della dittatura sovietica e dal peso della storia, Lena è una pensionata che non guarda ai giardinetti come meta ideale per trascorrere il tempo libero.

Mette mano ai risparmi e quando non bastano, ci sono i fiori che coltiva. Tra guadagni e risparmi, a ottantatré anni Babushka decide che è arrivato il momento di prendere il primo aereo che la condurrà lontano. Subito dopo, ne prenderà un altro. Non contenta, decide che è il momento di rimettersi in viaggio. Inizia così un tour continuo, che la vede protagonista di viaggi spesso da sola.

“Viaggiare, per me, significa avere una nuova vita”

Dalla Germania al Vietnam, Baba Lena non conosce frontiere. Invece, impara a conoscere tante persone. In primis i ragazzi – i millenials, come li hanno chiamati – che si sono infilati uno zaino e spendono spesso soldi di altri per iniziare a conoscere ciò che il mondo ha da offrire.

Poi ci sono centinaia, migliaia di persone da lei definite sorprendenti nella loro generosità, disposte ad aiutarla in qualsiasi occasione, aperte a farle conoscere il meglio che intere nazioni e comunità hanno da offrire.

Indubbiamente, Lena non è l’unica novantenne che sceglie di viaggiare per il mondo: ma chiunque di noi tentasse solo per un istante di assimilarla a quella schiera di viaggiatrici che popolano le navi da crociera, i jet e i salotti degli hotel più rinomati, commetterebbe un sacrilegio.

Non guarda il mondo da un oblò. In Vietnam fa una perlustrazione a bordo di una moto, ma in Israele ai mezzi meccanici di ultima generazione preferisce il cammello. I suoi capelli grigi sono sempre coperti da un copricapo e più che buste per lo shopping, Babushka afferra la borsa come farebbe una qualsiasi signora durante la quotidiana perlustrazione al mercato rionale.

Lena ha ancora tanta fame di sapere, ma non disdegna assolutamente le gioia del palato. In una delle foto che riempiono il suo profilo Instagram – già, ne ha uno con sessantamila follower – Lena è davanti ad un piatto di tomkha. Si gusta questa zuppa thailandese a base di pollo e cocco, non disdegnando cocktail ad alto contenuto esotico.

A novant’anni hai ancora bisogno del Pigmalione. Perché la sua storia venisse fuori – trasformandola in una star da social contro ogni previsione – l’intervento di Ekaterina Papina, giovane viaggiatrice russa, si è rivelato fondamentale.

Capita spesso alle persone in avanti con gli anni di richiudersi, non scomporsi o lasciarsi nemmeno avvicinare. Come se tutto fosse già stato stabilito. Invece Lena dà testimonianza tangibile del suo motto, convinta davvero che “si può morire una volta sola“.

In altre parole, finché nessuno può sostenere il contrario, noi ci siamo ancora. A ribadirlo è una novantenne confrontatasi con un destino che sembrava segnato,  vissuta in luoghi e stagioni non facili: una testimonianza credibile della primavera che arriva sempre, fin quando naturalmente è possibile.

I viaggi di Babushka sono commentabili e visibili sui social, grazie all’interesse dei nipoti che condividono le sue esperienze in giro per il mondo. Oggi il suo viaggio ha tutte le sembianze di un’esplorazione personale, oltre muri e barriere, che ha generato curiosità ed entusiasmo, perché ad esserne protagonista indiscussa è una donna che è rimasta fedele a se stessa, senza rinunciare a ciò che il mondo aveva da offrirle.

Quel mondo lo sta contemplando, anzi lo sta afferrando giorno dopo giorno. Fissando gli occhi di Lena rivedo quella matrioska scomposta di quando ero bambino, che oggi è diventata quella madre generatrice di altre forme e colori. In sintesi, di nuova vita.

Sarà lei a decidere  – di questo ne sono sicuro – il modo e il momento migliore per ricomporsi.
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