Roberto Baggio e il rigore segnato.

C’è un’immagine di Roberto Baggio che mi ossessiona ancora oggi. Lui è girato di spalle, intento a fissare una porta vuota, o piuttosto il pallone volato chissà dove. E’  il 17 luglio del 1994 e non ho ancora tredici anni: mentre fisso la siepe del giardino sotto casa, Baggio fissa il terreno di gioco del Rosebowl di Pasadena.

E’ un momento triste, quello del rigore sbagliato. De Gregori direbbe che da questi particolari non si giudica un campione.

Non me ne voglia, ma dopo i calci di rigore falliti in una finale di Champions o ai mondiali ho dimenticato molte volte quelle parole

Mi è capitato spesso di credere che quello è l’istante in cui il campione dimentica tutti i trofei, il suo esordio in un campionato di massima serie. Il provino vinto, il consiglio dell’allenatore che ti segue da giovane, anzi da piccolissimo perché crede, anzi è certo, che tu abbia qualcosa in più da dare.

Baggio oggi ha già cinquant’anni, ma gli direi di non dolersene. Nella mia mente ha ancora lo stesso viso della figurina in un album panini. Era la stagione 1989-1990 e quella figurina con quel bel viso in primo piano lascia intravedere una maglia viola.

Sarà l’ultima stagione con la Fiorentina, perché la Juve è già all’orizzonte. Un acquisto chiacchieratissimo: Ma Baggio è un gioiello cosi splendente che la finale di Coppa Uefa giocata tra la sua vecchia e la sua nuova compagine a me, bambino di nove anni, appare già destinata all’oblio.

La legge del campione è spietata e non solo quando si tratta di rigori sbagliati che per un momento sembrano cancellare un’intera carriera. E’ crudele nei confronti del compagno che è al tuo fianco e che in quel momento, mentre lotta per sovvertire un pronostico o lo svantaggio maturato sul campo, ignora che tutta quella fatica un giorno verrà dimenticata da chi è incollato davanti al televisore.

Compagni di squadra anche loro, nomi e volti che oggi è difficile associare.

Ma non è colpa di nessuno: semplicemente Baggio è uno di quelli che fa notizia anche quando tenta in tutti i modi di rimanere nell’anonimato.

Come quando si converte al buddismo, lui, nato nel cattolicissimo Veneto abbraccia una filosofia più che una religione. Uno stile di vita lontano anni luce non solo dal Twiga e dai lustrini, ma soprattutto da quello che ti aspetti da un giocatore destinato a vincere il pallone d’oro, ad essere uno dei quaranta sportivi più ricchi all’indomani di quella vittoria

Lui, sposato con Andreina negli anni di gloria. Lui, sposato ancora con la stessa donna madre dei suoi figli.

La stessa che è al suo fianco, il giorno del suo compleanno, mentre Roberto Baggio e i suoi figli festeggiano cinquant’anni di vita irripetibile dentro ad un container di una città terremotata. La scelta che lo riporta alla ribalta ha come sfondo una struttura metallica: non ci sono riflettori che accecano e cancellano ogni umanità, Baggio è ancora colui che fa luce intorno a sé perché questa è una regola fissa di una vita, la sua, destinata ad essere vissuta ben oltre i tempi supplementari.

Non è un caso che tutti si affannino a ricordarci le statistiche che lo riguardano, ma sopratutto gli anni che sono passati dall’ultimo secondo giocato in campo.

Caratteristiche di un’esistenza che appartiene a chi si distingue per il suo altruismo, per il coraggio e per la fantasia da fuoriclasse che non meritano i commenti superflui del sottoscritto.

Le gesta di Baggio, anche in quel mondiale dal mesto epilogo, sono riassumibili in quelle del cavaliere che non indietreggia e salva i suoi compagni e un’intera nazione dalla clamorosa eliminazione contro la Nigeria agli ottavi di finale.

C’è un momento importante, nella vita di ognuno, eppure è un ricordo spesso trascurato: è legato al giorno in cui usciamo da soli per la prima volta.

La prima volta in cui siamo pienamente responsabili di quello che faremo e diremo, inebriati dal senso di libertà: oggi non sono più eccitato all’idea di mettere piede fuori di casa. Ma rinnovo quella sensazione, stranamente, quando mi confronto con i miei modelli, e ho la conferma che i miti che ci scegliamo sono destinati a sorprenderci se non addirittura a salvarci in momenti delicati.

Non è un’esagerazione e non è una dannazione.

E’il momento giusto per la catarsi : a Baggio oggi prometto di liberarmi dall’ossessione che risale a quel 17 luglio sotto il sole californiano.

Già, Il  giorno della sconfitta contro il Brasile di Romario, il giorno dei rigori sbagliati. Di campioni che rimpiango come Massaro e Baresi. Della delusione.

Oggi tutto questo non vale più. Ogni tiro che calci, caro Roberto, va inevitabilmente a segno.
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