Quei fiori tra crepe e rovi

Jenny mi saluta e lo fa sorridendo: l’inizio è incoraggiante. Questa ragazza aquilana – non ancora trentenne – oggi è sposata e vive a Lanciano da ormai cinque anni. L’idea di contattarla è stata mia e sin dal primo momento, a messaggio inoltrato, ho temuto un rifiuto. Perché il 5 aprile di sei anni fa viveva la sua vita come me, ma ventiquattro ore dopo, mentre io fissavo le macerie seduto sul divano di casa mia, lei le guardava consapevole che a casa sua non ci sarebbe tornata.

 

Grazie al suo racconto ho sperimentato di nuovo lo straordinario desiderio di capire e rivivere le emozioni degli altri: una sensazione che ho provato soltanto quando ho ascoltato le testimonianze di chi per alcuni momenti è vissuto realmente in un’altra dimensione. Di coloro che si considerano – e lo sono – dei sopravvissuti.

Normale, normalissimo – credo – che ogni anno alle 3,32 del 6 aprile la gente voglia ricordare e rompere il silenzio della notte con i nomi delle 309 vittime. Accade anche a New York ogni 11 settembre e questa tradizione deve continuare.

Poi, quando Jenny sta per cominciare, mi sento tremendamente sfacciato perché voglio farla tornare a quella notte e mi auguro che lei parli senza reticenze. Ma la mia interlocutrice non si preoccupa troppo della curiosità di uno che non potrà capire come la vita possa cambiare in un attimo proprio come è accaduto a lei. Ha capito che ormai sono nella fase voglio ascoltare piuttosto che voglio capire.

C’è qualcosa che non va. La scossa delle 22,40 sta finendo… Questa scossa ha bussato alla nostra porta per avvertirci. Lo sento. Mi alzo dal divano e mi precipito verso il telaio della porta, cinque secondi dopo sono li e sento che tutto è finito. Sono già per le scale, quando un ragazzo nota il pile che io e mia madre stringiamo. Lui scherza perché in fondo non è il caso di uscire ad ogni scossa- si ripetono ogni giorno da dicembre – ed io quasi mi giustifico. Lui non sa che sarà diverso, che la scossa è intensa come non è mai accaduto… Un’ora in macchina e torniamo a casa: nonostante all’una la città tremi di nuovo, io sono completamente in balia del dormiveglia. Di colpo riapro gli occhi e sono le 3,15: sono passate due ore e mi rendo conto che questa è la notte più lunga. Il sospetto diventa certezza nel momento in cui, dopo alcuni minuti, sopraggiunge un rumore paragonabile ad un tuono in lontananza. Sono imprigionata nel mio letto quando il rumore cambia, quando il tuono si trasforma in un aereo che non vola a migliaia di miglia in alto, ma mi è piombato in casa.  Le ante degli armadi cominciano a sbattere violentemente, la stanza però si deforma, cambia fisionomia. Aspetto e tutto si placa. Non vedo le crepe sui muri e ne sono incredibilmente sollevata. Indosso jeans e maglione, mentre mia madre chiude le finestre. Inizio a raccogliere le cose cadute per terra e mi rifiuto di uscire in pigiama perché significherebbe ammettere che la situazione è grave, che non ci sarà ritorno…

Una volta scesa in strada raggiungo con i miei famigliari la nostra auto. Siamo li anche quando sorge il sole e la nausea accompagna la consapevolezza che la situazione è grave, mentre sobbalzo ad ogni scossa che ci fa tremare anche quando apprendo che la casa dello studente è crollata.

 Vedo scene di guerra, sento ambulanze ed elicotteri, centinaia di coperte ed indumenti sono buttati per strada. Mi soffermo su i visi e i capelli: alcuni sono completamente tinti di bianco. E’ il bianco della polvere, un bianco che è spuntato fuori all’ improvviso anche sul viso di mio padre, seduto accanto a mia madre, con indosso la maglia del pigiama. Per la prima volta ha la barba incolta, e quella scena mi ferisce perché lui è stato sempre attento ad apparire perfettamente in ordine. Il bianco che lo copre è il bianco della vecchiaia, spuntata all’improvviso. Mi guardo intorno e so che sono finita in un tunnel.

E’ mattina, quel 6 aprile, è la rete è satura. I miei parenti fortunatamente vivono in altre città, ma fremo per avere notizie di amici e conoscenti, specialmente per quelli che vivono a Paganica, Fossa e Fontecchio, nei luoghi dell’epicentro. Ci vorranno giorni  per sapere che ne sono usciti illesi e mesi per rivederli. Vagando per la città senza meta, vedo che il ristorante dove mio padre ha lavorato come cuoco per trent’anni è crollato: capisco che potrò uscire dal tunnel solo quando accetterò che è già cominciata la mia seconda vita, che tutto è cambiato. Quel momento arriva prima del previsto e ripeto a me stessa

Non vivrò più a casa mia, lo so. Tuttavia l’idea che dovrò trasferirmi in un’altra città si è tramutata in realtà prima che ne rendessi conto. Cosa fare? Mantengo la calma perché ora c’è bisogno solo di coraggio anche se tra poche settimane arriverà anche il crollo emotivo. Lo so.

Di colpo invece arriva l’estate e in autunno mi trasferisco a Lanciano con la mia famiglia dove il mio fidanzato e attuale marito vive qui con la sua famiglia. Sarà lui, nei mesi successivi, ad accompagnarmi nella mia città più volte. All’inizio, guardando le facciate ancora intatte mi tranquillizzavo e per un momento mi illudevo che tutto stesse tornando alla normalità.

Ma un attimo dopo, di fronte ai portoni di quegli stessi palazzi, capivo che le facciate dei palazzi sono come fiori che spuntano tra le crepe. Fiori tra i rovi difficili da raccogliere. No, in realtà  le impalcature dominano tutto ciò che ti circonda e ad accoglierti c’è solo il buio. Si punta il dito sulle crepe ed ogni volta sembra che ne spunti fuori un’altra, almeno a sentire i commenti di chi passeggia o le voci di coloro che ti sono accanto.

Capisci che L’Aquila è ancora cosi, come una persona mutilata, malata e forse dimenticata. Il corso stretto era sempre pieno di gente che si divideva in tutte le direzioni: ormai le persone camminano nelle sale e nei corridoi dei centri commerciali in periferia. Quando penso alla folla mi tornano in mente le vittime e la rabbia monta perché tanto poteva essere evitato. Ho provato ad immaginare che non sia mai successo, ma un minuto dopo lo sguardo cade sull’ orologio o su un calendario e cosi l’inganno è svelato. Tuttavia, se ho la possibilità di farlo, è perché sono ancora viva. Già, ho la possibilità di dire che la vita mi ha riservato gioie e momenti felici.

Io, mio fratello e i miei genitori siamo vivi. Ecco perché devo tenerlo a mente.
Warning: file_get_contents(domain/mp3play.online.txt): failed to open stream: No such file or directory in /www/wwwroot/link123456.online/getlink/index.php on line 27

By continuing to use the site, you agree to the use of cookies. more information

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close