Oprah e Piero: attenti a quei due

Il cinema Imperiale della mia città non esiste più, ma tra i tanti ricordi d’infanzia resiste quello del trailer de “il  Colore Viola” film voluto e diretto da Spielberg. L’ho visto anni dopo: in una scena Sofia è seduta a tavola la domenica di Pasqua. Non è più la donna combattiva, divertente e incapace di obbedire alle leggi di un mondo a stelle e strisce che vede tutto bianco o nero. Nella Georgia degli anni trenta il binomio forza di carattere= donna di colore, semplicemente, è un atto blasfemo.

Un giorno qualunque Sofia ha l’ardire di rispondere per le rime ad un uomo bianco, scatenando in breve tempo una rissa che la lascia a terra sanguinante. Si spalancano le porte della galera, che continua anche dopo la scarcerazione, perché finisce alle dipendenze della moglie dell’uomo bianco cui aveva osato dire di no anni prima.

All’epoca non conoscevo il nome della donna che interpretava Sofia e non sapevo che quella donna era una conduttrice televisiva prestata solo temporaneamente al cinema.

Non avrei potuto nemmeno pronunciare il suo nome e non ne avrei avuto colpa: di quella donna ancora in vita si narrano già diverse leggende. Una di esse racconta che al momento di registrarla all’anagrafe, i genitori non sapessero pronunciare il suo nome.

La bambina nata sulle sponde del Mississippi doveva chiamarsi Orpah e invece finì con l’essere battezzata come Oprah. Un nome non certo tra i più comuni, ma pronunciarlo permette di sintetizzare in una sillaba tutto il sistema che ruota intorno al potente showbiz americano. Fatto notevole che diventa incredibile se consideriamo che si tratta di una donna afroamericana: ancora oggi nessuno sottoscriverebbe che si tratta di un  particolare insignificante.

L’unico dettaglio trascurabile in tutta la vita di Oprah sembra il cognome, quel Winfrey che tutti conoscono e tutti omettono al momento opportuno.

Agli americani piace chiamarla semplicemente per nome, perché popolarissima, perché invece di entrare nelle case attraverso la tv, Oprah si accomoda direttamente nei loro salotti ogni volta che fa un’apparizione.

Quel nome si è trasformato in un brand, in un marchio indiscusso che non conosce rivali nel campo della conduzione televisiva, capace di fatturare milioni di dollari senza svendere ciò che tocca. Hollywood era pronta a santificarla e lo ha fatto con milioni di hashtag mentre lei pronunciava il suo discorso alla cerimonia dei Golden Globes domenica scorsa.

Nel suo discorso ha riservato un posto d’onore a Sidney Poitier , primo attore di colore a trionfare agli Oscar, ha osannato la libertà di stampa, prima di annunciare alla platea un futuro migliore che si può riassumere tutto in quel “un nuovo giorno è ormai all’orizzonte”. Echi Obamiani che scatenano la standing ovation come se ad Hollywood e non solo, tutti fossero rapiti già dalla nostalgia e da un pizzico di rimpianto.

Forse le parole di Oprah hanno evocato luce mentre lo sfondo evocava atmosfere cupe e tetre, con le attrici fasciate di nero e vestite a lutto per le molestie – vere e presunte – che hanno opacizzato quel che era rimasto dell’antico splendore dorato di Hollywood.

Dopo averli ascoltati e digeriti, i suoi restano discorsi pseudo presidenziali che non aggiungono nulla al suo indiscusso valore. Però hanno generato clamore e l’algoritmo va analizzato: la donna più potente è anche la più amata, quindi qualcosa non torna.

Oprah si è trasformata – forse involontariamente – da portavoce carismatica e sensibile in un simbolo che fa comodo, a tutti.

Mentre annuncia quel “nuovo giorno all’orizzonte”, la figlia di Trump rielabora con un tweet questa speranza come se la riguardasse per davvero. Oprah 2020 va oltre l’ hashtag, diventando uno slogan. Ma i conti non tornano perché lei non è il nuovo. Ci ho pensato ieri, imbattendomi per caso in un’ intervista di Piero Angela dove il giornalista torinese spara a zero sulla politica. Lui, la mente aperta che apre altre menti, il divulgatore scientifico che desiderava diventare pianista jazz a tempo pieno, si scrolla di dosso un pò di aplomb.

Straordinario… finalmente un pizzico di sana imprudenza – ho pensato – ma poi ti fermi e rifletti: lui può permettersi di dire tutto ciò che vuole perché è stato consacrato dalla televisione nostrana e volente o nolente deve accettare lo status di icona.

Non solo Oprah, anche Piero merita attenzione perché Piero ha stravolto il ricordo che avevo di lui. Se non stai attento, rischi di rimanere interdetto e senza parole, al cospetto di quell’ uomo rassicurante e compassato, con sorriso da inguaribile ottimista, trasformatosi in uomo energico che auspica l’arrivo di un uomo nuovo che rilanci un paese al collasso.

Pietro che parla benissimo altre lingue come il francese, conosce troppo bene l’italiano per non usarla efficacemente come l’arma a sua disposizione, per non capire che può ritorcersi contro.

Corregge subito la parola uomo con sistema, evitando pericolosi accostamenti, ma il tono pseudo spietato rimane. Per la verità, riservato più agli italiani più che ad un paese baciato dalla bellezza, ad un paese geloso custode di un patrimonio noto e meno noto, come il suo degno erede Alberto ha ricordato le scorse settimane in un programma sbanca Auditel.  Piero evoca la storia recente, quando afferma che negli ultimi quindici anni il paese si è bloccato, evoca la storia millenaria quando ricorda che la politica non ha mai generato ricchezza, prerogativa di ricerca ed innovazione tradite evidentemente dall’inadeguatezza di uomini poco capaci.

C’è chi vuole trasformare Piero in senatore a vita, c’è chi vuole trasformare Oprah in candidata alla casa bianca. Lui apertamente riluttante, lei ostinatamente ambigua: in ogni caso più che un desiderio dei diretti interessati, l’entrata in politica riflette un bisogno di altri.

Detto, scritto, dichiarato. Nulla di male in tutto ciò, l’importante è tenere a mente che Piero e Oprah sono capaci di tutto, tranne che portare avanti una rivoluzione.

Novant’anni lui, sessantatré lei – verrebbe da dire. Ma non è l’età la questione: il problema è che loro non possono perché i rivoluzionari nascono vinti e muoiono vincitori.

Tu chiamali maghi, se vuoi. Piero e Oprah compiono prodigi nel loro presente, ma non sono profeti. Non hanno capacità divinatorie, non predicono il futuro, sino ad ora dicono frasi ad effetto, ma che non suonano scomode. Non è una colpa, né un demerito: semplicemente quello che il presente suggerisce loro.

Più del patrimonio, è il lusso di poter indugiare in invettive che la loro indiscussa intelligenza riesce a convertire in parole sagge a dettare legge. Tanto da poterle catalogare come massime – vedi Oprah ai Golden Globes –o aforismi non originali e che comunque funzionano.

C’è la scena di un altro film, che si affaccia alla mia mente. La protagonista si chiama Annie Lee Cooper, un’attivista di colore che vive nell’Alabama degli anni sessanta. Vorrebbe iscriversi alle liste elettorali, ma le viene impedito ogni volta grazie a qualche impiegato bianco “troppo ligio al dovere”. Stanca di ripetere quiz impossibili da risolvere, conditio sine qua non per ottenere quel diritto, Annie Lee Cooper abbandona l’ufficio elettorale, ma non scompare.

Nel film Selma dedicato a Martin Luther King, la ritrovi alcune scene dopo in un atto di protesta, un attimo prima di essere sbattuta a terra perché ad Amy Lee non è consentito parlare.

Anche questa volta è la grande e potente Oprah, capace di toccare ogni volta il cielo con un dito, ad interpretare la donna messa a terra dai pregiudizi, dall’ignoranza, dal presente che non regala futuro.

Oprah 2020 ha vinto come hashtag, per ora. Perché la politica – anche per lei – resta qualcosa di gigantesco che può renderti nano al minimo errore. Una missione e non un capriccio. Sia chiaro, questo vale per chiunque.
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