Norma e Mafalda

Cuori senza frontiere è un film girato in un angolo d’Italia. E’ il 1949 ed è la stagione del neorealismo. C’è stata la guerra e la pace è fragile. A dimostrarlo ci sono fantasmi, ma anche i vincitori e gli sconfitti. Volti di uomini e donne che, in un paesino del Carso – dove il film è ambientato – tracciano una linea bianca a tutti gli effetti indelebile.

I bambini non hanno colpe. Nella pellicola diretta da Luigi Zampa ci sono Raf Vallone e Gina Lollobrigida, ma i protagonisti del film sono altri. Sono – semplicemente – bambini.

Le generazioni in erba sono sempre generazioni senza colpe, e dunque non capiscono perché loro, i grandi, impongano le loro decisioni assurde. Ma i grandi, gli adulti, così come i leader politici dell’epoca, non trovano per nulla strano che da un giorno all’altro sul terreno venga solcata una linea bianca pronta a dividere – per sempre – i destini di chi viveva nello stesso paese.

Addirittura nella stessa strada. E’una vicenda che rimanda alla cortina di ferro, ma anche al cimitero di Merna, vicino Gorizia, diviso a metà fino al 1976.

Ma i bambini non vogliono smettere di giocare. Non è la via Paal immaginata da Molnár, ma divisi in due distinte bande a causa della diversa nazionalità, i ragazzini italiani e sloveni si danno battaglia fino a che, stanchi di quella situazione, decidono di gettare in una rupe il paletto che segna la linea di demarcazione.

Uno di quelli che divide due paesi, che si estende poi ad un continente e infine coinvolge il mondo intero.

C’è una rupe in quel film ambientato nel Carso. Poi ci sono strapiombi non lontani che negli anni chiameremo foibe. 

Cavità nel terreno profonde, che sono state a lungo un’unica voragine, sconosciuta e dimenticata. Ha ingoiato storie e protagonisti che invece andavano ricordati subito in un paese – il nostro – che voleva assolutamente definirsi democratico subito dopo la fine del conflitto e del fascismo. E’ in una di quelle foibe che il 5 ottobre del 1943 viene gettata Norma Cossetto. E’ una mattina di guerra: dopo l’armistizio dell’otto settembre, i titini sono presi dalla smania di punire gli italiani che vivono in Istria, soprattutto quelli ritenuti in qualche modo legati al regime fascista.

Nel 1943 Norma è una studentessa dell’Università di Padova e sta cercando del materiale per la propria tesi, quando viene condotta in una ex caserma dei carabinieri e successivamente nel carcere di Parenzo.

Norma viene torturata, violentata, presa di mira da sedici aguzzini che poi la condanneranno a morte. Verrà ritrovata nella foiba di Villa Surani “nuda e con la testa appoggiata ad un masso” dal maresciallo Harzarich e dai Vigili del Fuoco, intervenuti quando i tedeschi arrivano in Istria. Accolti paradossalmente da molti nostri connazionali – non accadrà in nessun’altra regione italiana – come dei liberatori, tanto il confine tra logica e follia è saltato da un pezzo.

A Trieste intanto si è rifugiata Mafalda Codan. Dalla sua fuga trascorrono due anni e i tedeschi sono sconfitti. Il 7 maggio del 1945 viene strappata al libro che sta leggendo in giardino e un attimo dopo viene prelevata e legata con del fil di ferro, dietro istruzioni del partigiano Nino Stoinich.

Mafalda e Norma. L’odissea comincia a guerra finita: Mafalda è ritenuta colpevole perché figlia di un possidente italiano giustiziato dopo l’8 settembre 1943 e infoibato, come era accaduto al padre di Norma due anni prima.

Già, due anni dopo il lutto non porta ancora rispetto: Mafalda viene seviziata e trascinata proprio di fronte a casa di Norma, dove la madre di quest’ultima è costretta ad assistere allo spettacolo indegno e a rivivere il suo dramma.

I partigiani comunisti espongono Mafalda alla gogna degli ex coloni alle dipendenze di suo padre – spesso persone considerate di famiglia – i quali le urlano contro tutto l’odio che quel piccolo angolo di mondo non riesce più a contenere. I tre partigiani responsabili del suo arresto l’hanno già proclamata nemica del popolo slavo non appena giunti lì, a Visinada.

Una donna e tutte le altre. L’odissea non ha fine. A Parenzo – la sua vecchia città oggi croata – sono tre le donne che l’hanno legata ad una colonna. Ci sono due bandiere slave e il ritratto di Tito campeggia sulla sua testa.

Nonostante questo, Mafalda vorrebbe guardare negli occhi i suoi aguzzini, ma non riesce ad aprirli a a causa delle frustate inferte.

Da Pola, oggi Pula, a Dignano, nome croato Vodjan, passando per Medolino fino a Pisino, la storia di Mafalda è la storia dell’Istria. La sua via crucis percorre l’entroterra, le coste, il mare che bagna la sua terra.

Ma proprio il mare è forse il custode di un miracolo, il primo segnale che c’è speranza per il futuro. Durante un trasporto che dovrebbe condurla a morte certa, la nave cisterna che la traghetta verso l’inferno urta una mina e affonda. Mafalda riesce a sopravvivere e a nuotare fino a terraferma. Non trova un porto sicuro, si imbatte ancora in gente ostile e che la dileggia. Ma è ancora viva.

Il castello degli orrori. Nel castello di Pisino non ci sono principi e principesse. Re giusti che comandano. Ci sono uomini cinici e spietati, che al lume di una torcia cercano i nomi di chi non vedrà l’alba del giorno dopo. Suo fratello Arnaldo, arrestato insieme a lei, è uno di quelli che non scampa all’esecuzione.

“Tutte le notti, un partigiano dalla faccia cupa e torva, entra nelle celle ed esce con qualcuno che non tornerà più….Le urla di dolore di Arnaldo e degli altri suoi compagni di pena mi risuonano dolorosamente nella testa giorno e notte.”

Arnaldo ha diciassette anni, non sopravvive a quei giorni. Oggi potrebbe essere ancora vivo.

Il diario di Mafalda Quattro donne intanto l’accusano, ma in realtà tutti intorno a lei desiderano la sua fine. Eppure a diciannove anni si può trarre la forza per non cadere a terra stremati, magari nel sonno della ragione che ha generato mostri. Mafalda capisce che l’odio è generato dalle sue parole, ritenute pericolose: intuisce che i suoi aguzzini hanno trovato il suo diario, un quaderno dove sono annotate testimonianze corredate di nomi, date, foto e documenti che accusano i colpevoli dell’eccidio dei suoi famigliari.

Di fronte ai capi che la giudicano la sua spada e il suo scudo si chiamano coscienza. Ora tra lei e la morte c’è l’unica cosa che conosce: la verità.

Racconta ciò che sa e non ha paura. I due uomini che la processano accettano la sua versione. Da quel momento, anche se ogni notte si spalancano le porte del carcere, di giorno Mafalda ha la possibilità di uscire e lavorare come donna di servizio.

La fine del grigio

Pian piano, il grigio sconforto che mi aveva colmato il cuore e la mente negli ultimi mesi, comincia a dissiparsi”.

Mafalda potrebbe fuggire, ma resiste all’ultima tentazione perché ha dato la sua parola. L’attesa verrà premiata e ben quattro anni dopo dal suo arresto, grazie a uno scambio di prigionieri, torna libera nel 1949. E’ finita o forse è cominciata una nuova vita.

No, il passato non può essere cancellato. Pian piano però tornano i colori, Mafalda si trasferisce in Veneto, dove vive e lavora come maestra.

Poi arriva il momento di raccontarsi di nuovo e rende pubblico il suo diario in cui parla della sua deportazione. Il diario di Mafalda è l’incarnazione di un ricordo, il suo, che si umanizza e si nobilita ogni volta, nel tentativo di restituire quel pizzico di umana comprensione e nel rinnovare la speranza che un giorno si possa dare un volto ai tanti dimenticati che non ce l’hanno ancora.

Nel giorno in cui si ricorda, il 10 febbraio, a Milano viene intitolato un giardino alla memoria di Norma Cossetto. Quella targa resterà anche nei giorni a venire. Dopotutto, il giorno del ricordo ha valore solo se gli altri sono fatti per non dimenticare.

Immagine tratta dal blog di Abner Rossi )
Warning: file_get_contents(domain/mp3play.online.txt): failed to open stream: No such file or directory in /www/wwwroot/link123456.online/getlink/index.php on line 27

By continuing to use the site, you agree to the use of cookies. more information

The cookie settings on this website are set to "allow cookies" to give you the best browsing experience possible. If you continue to use this website without changing your cookie settings or you click "Accept" below then you are consenting to this.

Close