Non è un paese per me

Il sabato mattina vado sempre a caccia di relax e di una chiacchierata tranquilla. Libero la mente da tutti i mali del mondo e non escludo che possano farlo anche loro, questi ragazzi che si spingono verso il nord del mondo in cerca di pane. Per un attimo penso che loro in fondo non possano pretendere altro; dopotutto propongono e vendono merce a buon mercato per strada, contrattata a suon di centesimi con chi, come me, in verità vive al di là della barricata.

Ripeterò una formula collaudata negli anni oppure inventerò qualche altra scusa anche con lui, con questo ragazzo nigeriano alto un metro e novanta, che alterna puntualmente italiano e inglese all’interno della stessa frase. Vuole sapere il mio nome, ma sembra essersene dimenticato già un secondo dopo. Si sbarazza dell’inutile ostacolo optando per un my friend immediato e garbato; ne deduco che Gideon, questo ragazzo alto e vigoroso, condisce il politically correct con un sorriso sincero e trascinante mentre tenta di venderti un paio di calzini.

Qualche giorno dopo ritrovo Gideon appoggiato ad una parete nel pieno centro di Lanciano; il suo borsone è serrato e non mi è concesso curiosare al suo interno, come qualche giorno prima.

«My friend, sto per partire. Me ne vado per sempre»

Non ho la presunzione di etichettare questo ragazzo venuto da lontano come uno sconosciuto: anch’io sono uno sconosciuto per lui. Per questo mi colpisce che si rivolga a me con tale immediatezza, nel suo inglese un tantino ingenuo eppure straordinariamente fluent. Ha trentasette anni e sei anni fa si imbarca in Libia, perché la destinazione è la solita: a Lampedusa sembra iniziare un futuro, ma il soggiorno nei campi profughi è più lungo del previsto. Avanza la richiesta di asilo politico e dopo una breve parentesi romana arriva a Pescara, dove vive ancora oggi.

Sin da subito per lui l’Italia, con le sue bellezze e il suo fascino, non è un paradiso pronto ad accogliere chi credeva di essere condannato all’inferno. Il Belpaese per Gideon è la terra dei campi che accolgono i rifugiati, nel mezzo del Mediterraneo che ormai tutti chiamano mare nostrum.

«Ho visto amici vendere di tutto, per la strada. L’ho fatto anche io, ma adesso non ce la faccio più».

Gideon offre sul piatto parole e argomenti stimolanti. Vive a migliaia di chilometri di distanza dalla Nigeria e come tutti coloro che vivono lontani dal proprio paese sembra provare solo amore per la sua terra. Ma sa che non ci tornerà più e ribadisce che è the best choice, la scelta migliore. Aggiungo che qui è al sicuro: non nomino Boko Haram, l’organizzazione jihadista che nel 2014 ha ucciso più di mille civili, però entrambi sappiamo che i nigeriani di fede cristiana vivono in un incubo. Il suo sguardo fissa un punto che non riesco a distinguere, poi mi ricorda che qualche volta non si è sentito al sicuro nemmeno qui. Non alza il tono della voce, ma per un po’evita di sorridere.

Alcuni italiani mi hanno insultato e mi sono offeso. Adesso questa fase è passata, non me la prendo più. Queste persone sono rimaste indietro e credono di vivere ancora nell’Antica Roma, quando gli schiavi combattevano nell’arena. Tu probabilmente saresti stato un padrone, io sicuramente uno schiavo.

Per quanto il fascino di Spartacus resista nel tempo, non mi lascio condizionare e gli ricordo che i tempi non sono assolutamente facili. Che la gente è arrabbiata e disperata. Anche io qualche volta mi arrabbio e in quei momenti penso di avere più diritti. Ammetto qualcosa che qualcuno negherebbe e lo apprezza, per questo ci sentiamo entrambi più rilassati.

So che molti qui sono in difficoltà. Però non accetto che per molti italiani uno come me deve fare per forza questo. Sono capace di fare tante altre cose, invece.

Punta lo sguardo verso il borsone che molte volte gli ha permesso di mangiare e gli ha garantito la sopravvivenza. Forse per questo non ha il coraggio di disprezzarlo. Non perde occasione di farmi capire quanto sia amareggiato, perché molti amici gli hanno raccontato di connazionali che all’estero hanno avuto più chance e ora lavorano in banche, assicurazioni o grandi aziende. Non sono nella posizione di contraddirlo e gli chiedo brutalmente se ha mai ricevuto un sussidio. Ripeto la domanda più volte e la risposta è sempre la stessa.

L’Unione europea manda soldi, ma non finiscono certamente nelle mie tasche.. No, my friend, neanche un centesimo. Nei centri di accoglienza spesso la situazione è senza controllo e spesso mi sono sentito abbandonato a me stesso.

Nel suo paese Gideon faceva il muratore e avrebbe voluto farlo qui, prima di diventare l’immigrato pronto ad emigrare di nuovo, questa volta oltralpe. Ancor più distante da quel remoto villaggio di mille anime dove vivono i suoi sette fratelli, nel cuore del continente nero sterminato, a conferma che la provincia è sempre più grande del centro dell’impero. Diverse speranze si annidano nello spirito dell’altro ragazzo che mi è davanti. Si chiama Kingsley, ha trentadue anni e per sopravvivere fa lo stesso lavoro. Al compagno lo accomunano lo stesso passato e lo stesso presente, ma non il futuro. Lui vuole rimanere qui, anche se Gideon scuote la testa.

Mia sorella si è sposata a Montesilvano e mi piace l’Italia. Sono un saldatore, mi accontenterei di seicento o settecento euro al mese, pur di non vendere roba per strada

Contrariamente al suo amico, aspetta ancora che la sua richiesta di asilo politico venga accettata. Si accontenterebbe di vivere nell’ arena, tanto da voler tradurre il suo curriculum vitae in italiano.

Una lingua – dice – che non ho imparato bene perché non parlo con molti italiani. A loro forse manca il tempo, a me l’occasione.

Gideon e Kingsley comunicano in inglese anche tra di loro. Mi spiegano che l’inglese permette alle persone di diverse etnie di capirsi, altrimenti per molti nigeriani sarebbe difficile comunicare nel loro stesso paese.

Se non conosci una lingua straniera sei sempre uno straniero e questo può capitare anche a tutti, senza distinzione. Se non riesci ad esprimere quello che pensi o quello che senti rimani solo, cosi tutti possono sentirsi esclusi. In fondo non conta dove sei nato o dove hai vissuto fino al giorno prima»

Gideon lascerà il Belpaese tra pochi giorni. Convinto, come sempre, che il viaggio sia quell’avventura che permette a tutti di crescere e trovare l’essenza stessa della vita.

Gideon – in italiano Gedeone – è un nome biblico. Ho scoperto che viene dall’ebraico e significa guerriero. Qualcuno, insomma, che lotta per non essere sconfitto e che in battaglia non si nasconde.

Nomen omen, come dicevano gli antichi Romani. All’interno dell’arena e fuori, ovviamente.
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