Nel giardino dei Cunha

Nel giardino dei Cunha non esistono frutti proibiti. Si possono davvero assaggiare tutte le more, le fragole e cogliere i frutti che crescono spontaneamente su alberi rigogliosi. Nel giardino dei Cunha il sapore dei frutti non tradisce ciò che è visibile agli occhi: è qualcosa di vivace che rivive nel palato. Dimenticato il colore ingannevole degli scaffali dei supermercati, riscopro per l’ennesima volta Madre Natura e la sua generosità. Elargisce tanti doni che di tanto in tanto è consentito scartare: oggi tocca semplicemente a me.

Perché siamo finiti nella giungla?

Mio nipote Alessandro ha quattro anni ed evidentemente non conosce ancora la distinzione semantica che distingue un bosco di pini da una foresta tropicale fitta ed impenetrabile.

Quello è un bosco. Ci andiamo più tardi, dopo pranzo. Te lo prometto

Accanto a noi però, in una lingua che non è la nostra, ci sono uomini e donne incredibilmente indaffarati sotto il sole. Tra poche ore – mi spiegano – verrà innalzato un arco e siccome questa è una vigilia importante e irripetibile, non si può rimandare.

Si deve finire per forza oggi, perché domani Lara ed Emanuele si sposano e deve essere pronto.

Qui la parola matrimonio non esiste, qui in Portogallo è meglio dire casamento. Tutti loro, amici e parenti della famiglia Cunha stanno lavorando sodo e sono riusciti nell’impresa di realizzarne e decorarne in poche ore il simbolo, ciò che qui rispetta la tradizione: O arco – dicono – verrà piantato all’ingresso e mi consigliano di assistere. Poi con un gesto delle mani capisco che non basterebbe: vogliono che tutti si sentano coinvolti e suggeriscono affinché anche io partecipi. Mi promettono che sarà di gran effetto, magari più della giungla che invoca mio nipote.

Probabilmente sono ingiusto con lui e magari la vede davvero. Basterebbe poco per scoprirlo, perché il bosco è soltanto dall’altro lato della strada, la stessa che costeggia un vasto vigneto pronto a maturare l’uva che verrà trasformata in vino.

Un vino che promette bene, soprattutto perché sono il sole e quest’aria a convincermi.

A proposito, il sole non manca e picchia duro, ma in questa vallata nel cuore della campagna portoghese è costantemente presente il vento che stempera la calura. Il vento che traccia la strada più breve verso l’ombra dove è possibile ristorarsi e che mi offre la possibilità, finalmente, di sentire pienamente il profumo delle foglie di limone. Fino a pochi istanti prima era solo il titolo italiano del romanzo di Clara Sánchez; ora tra le foglie sbuca la sagoma di un uomo indaffarato e intento a preparare il pranzo.

Mi imbatto in Alvaro, il proprietario di questa tenuta nel distretto di Viseu, nonché padre della sposa che domani passerà proprio sotto l’arco che diverte e tiene occupati amici e parenti.

Trovo normale che Alvaro stia ai fornelli, forse è l’unico particolare scontato di questo posto: da oltre trent’anni lavora come chef nel Canton Ticino, ma quando decide che è tempo di vivere e ristorarsi torna qui, nella sua terra natia e dalla sua famiglia. Non ha molto tempo per parlare, perché siamo venuti in tanti dall’Italia e questa è anche la sua giornata particolare, che forse vuole vivere con la solita discrezione e la riservatezza che intende difendere.

Il padrone di casa ha da fare, ma deve comunque trovare un secondo per fare l’ennesimo brindisi con gli altri e per tirare il fiato. Già, respirare : sa bene quali profumi e quali sapori ci sono qui intorno, ma per un giorno, grazie alla cordialità e all’ospitalità che lui e la moglie Herminia ci riservano, preferisce concederli a chi come noi vive lontano migliaia di chilometri.

Ho la sensazione che a lui basti respirare un’essenza che si chiama libertà, che qui, a casa sua, ha un sapore del tutto diverso che si può anche gustare.

Io sono in questo posto per la prima volta e mi basta il vento, che rende il caldo sopportabile, trascina il profumo delle foglie di limone e soprattutto sa di oceano che respira.

Ma l’oceano è lontano centinaia di chilometri

Il concreto signor Da Cunha ha ragione e lo so bene; ma forse ne sottovaluta il potere benefico. Siamo in una vallata comunque non circondata da montagne invalicabili – quelle invece le conosco bene – e dunque non ho ragione di levarmi dalla testa quest’ idea.

Al suo fianco c’è sua moglie, che lo assiste come avrà fatto tante altre volte. Hermina è sorridente, appare instancabile e il suo italiano è chiaro e limpido. Sceglie sapientemente frasi semplici e non incappa mai in concetti complicati, di quelli che spesso spingono sull’orlo del precipizio molti connazionali che magari conoscono meglio la nostra lingua, ma hanno le idee poco chiare.

Adesso è tornata a risiedere stabilmente in terra lusitana per seguire i figli e per portare avanti ciò che tanti anni di duro lavoro hanno saputo soltanto costruire. O piuttosto hanno fatto fiorire, penso, considerando quello che ci circonda.

 

Dopo pranzo e dopo l’ennesima porzione di pesce arrosto, mio nipote torna da me perché vuole entrare nella giungla. Non è lontana, è dall’altro lato della strada – ci tiene a ricordare.

Ma una volta tornati verso l’ ingresso sento che trattiene forte la mia mano, come se volesse tenermi li. L’arco ha praticamente preso vita e l’attesa si fa febbrile.

Calcolate sapientemente le distanze, disposti gli uomini ai giusti posti e stabilito chi deve dirigere le diverse operazioni, tutto è pronto perché questo simbolo di tradizione e amore venga innalzato.

Si issano le funi e per mantenere fede ad un’altra promessa, inizio a tirare insieme agli altri non appena viene dato il segnale. Il signor Antonio è la nostra guida, il punto di riferimento, un direttore d’orchestra allegro, ma anche cauto e pignolo: sa quando dobbiamo darci da fare e quando dobbiamo fermarci. Nel frattempo mani altrettanto esperte si spostano rapidamente: una volta raggiunta l’angolazione giusta, è finalmente possibile conficcare i pali di sostegno e ammirare l’opera completa. Si susseguono foto e video, inevitabili come l’applauso e le risate. La carta pesta e la colla in abili mani fanno miracoli: l’effetto floreale è convincente, ma il lavoro continua per le successive e definitive rifiniture.

O arco resterà qui anche nei giorni a venire, per mesi, magari un anno. Spiccano le due iniziali, le due bandiere – quella portoghese e il nostro tricolore – che ricordano i rispettivi paesi di origine dei futuri sposi. In alto però troneggiano le fedi nuziali.

Simbolo di unione di due persone, di due paesi. Ma sopratutto emblema di una promessa. Proprio qui, sullo sfondo di questo giardino Eden style, mi ricordo che è stata fatta una scelta: domani, sotto quest’arco, passerà chi ha scelto liberamente come e con chi è meglio vivere il proprio futuro.

Intanto mio nipote ha deciso che è tempo di entrare nella giungla. Continua a chiamare cosi il bosco alle nostre spalle e la sua insistenza è convincente: forse ha ragione e decido di assecondarlo.

Finché resteremo qui dirò giungla anche io. E’ sin troppo giovane. Ecco perché voglio che si goda il tempo di scoprire e scegliere come chiamare ciò che ha davanti agli occhi.
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