Nata due volte

Quando appare sullo schermo, Anka Bergman è una signora che ha più novant’anni ed è chiamata a dare la sua ultima testimonianza. Il suo racconto si alterna a quello della figlia Eva, venuta al mondo quando il mondo, nel 1945, non la voleva affatto. Perché nel 1945, al nono mese di gravidanza, Anka è sull’ennesimo vagone che la sta portando al campo di concentramento di Mauthausen. Sul fotofinish di una guerra che sembra interminabile, mette alla luce la sua bambina. Pur sentendosi sola al mondo, pur essendo ignara del suo destino.

Non so perché, ma quando penso al primo incontro di Anka e del futuro marito Bernd Nathan mi viene in mente un ritmo swing che non intende mollare la presa. Mi aggrappo agli accordi di un genere musicale tipico di quegli anni – penso – per alleggerire ricordi che si preannunciano tristi, visto che Anka e Bernd sono ebrei e vivono a Praga, proprio alla Vigilia della seconda guerra mondiale.

Sono giovani e sono innamorati, ma l’invasione tedesca con il suo carico virulento di odio e persecuzioni è ormai prossima. E’ il momento meno opportuno per sposarsi – dicono tutti – ma Anka e Bernd non rinunciano al loro sogno malgrado l’incubo nazista.

Come in molte altre occasioni, Anka dimostra di aver ragione. D’ altronde, ha già dovuto rinunciare agli studi di legge perché l’Università di Praga è stata interdetta ai giovani studenti di razza ebraica. A venticinque anni è stata poi costretta a dire addio – in modo del tutto prematuro, oltre che ingiusto – anche ai piaceri della vita mondana, a momenti di spensieratezza scanditi tra conversazioni nei caffè, passeggiate nei parchi, serate nei teatri e un salto nei nightclub. Quelli, appunto, dove si suonavano il jazz e l’immancabile swing.

Ovviamente, la giovane età non porta sempre consiglio: un giorno Anka entra in un cinema di Praga perché vuole assolutamente vedere un film. In quanto ebrea, le è assolutamente proibito. Quando la Gestapo piomba in sala all’improvviso per controllare i documenti dei presenti, Anka è seduta da sola, terrorizzata dall’idea di venire scoperta.

Inaspettatamente gli agenti della Gestapo si fermano al suo cospetto, fissandola. Ma un attimo dopo vanno via senza chiederle nulla. Si congedano senza alcuna spiegazione, senza una ragione apparentemente logica. A distanza di anni, sprofondata su una poltrona più confortevole, racconta quell’episodio come se nel buio di quel cinema le fosse stata data l’incredibile possibilità di assistere alla proiezione di un film riguardante lei e lei soltanto.

Uscita da quella sala, scampata al pericolo, Anka diventerà la protagonista degli eventi e nel corso della sua esistenza, rifiuterà di essere relegata al ruolo di comparsa o spettatrice. La aiuteranno il caso, o forse il fato, e a sostenerla contribuiranno il suo coraggio e l’amore incondizionato per la vita.

Nel 1941, quando i coniugi Nathan ricevono l’ordine di presentarsi al treno che dovrà portarli al campo di concentramento di Terezin, noto anche come Theresienstadt, Anka arriva alla stazione con una scatola piena di donuts alla marmellata, per le quali il suo Bernd nutre un’autentica passione. Sfidare le armi e la crudeltà delle SS con delle ciambelline può sembrare pura follia. Tuttavia alla giovane donna, animata sin da subito dalla capacità di sopravvivenza piuttosto che dalla pura incoscienza, non verrà negato l’ennesimo gesto d’amore verso il marito.

Mentre Anka racconta la sua esperienza nel campo di Terezin, alle sue spalle scorrono immagini di gente felice, intenta a cucire, lavorare nei campi, giocare e rilassarsi. Non è un errore: nel campo di concentramento di Theresienstadt, a metà strada tra Praga e il confine con la Germania, il 23 giugno 1944 la propaganda nazista offrirà agli ispettori della Croce Rossa lo spettacolo più mendace che la storia ricordi, pur di occultare i crimini commessi al suo interno.

Alla fine di quella giornata, molti dei protagonisti di quel film propaganda, verranno spediti ad Est per essere sterminati. Del resto Anka e Bernd, insieme ai centoquarantamila internati, conoscono ciò che si cela dietro quel triste sipario: da tre anni vivono in un campo dove mancano i servizi igienici e medici, dove il cibo scarseggia e la gente muore per malnutrizione, malattie e innumerevoli stenti. Anka ha contatti in cucina e un lavoro nel magazzino rifornimenti che garantiscono la sopravvivenza dei suoi quindici famigliari durante la loro permanenza.

A Theresienstadt l’incredibile messa in scena nazista si mescola al desiderio immancabile e reale dei deportati di andare avanti, pur in un mondo crudele e a tratti paradossale. Nonostante il regime di segregazione sessuale, Bernd e Anka – come altri giovani – non rinunciano ad incontrarsi e a fare l’amore. Accade l’inevitabile e il mondo ostile nulla potrà contro la determinazione di Anka, decisa a portare avanti la gravidanza. In quei mesi sente parlare per la prima volta del programma di eutanasia. Rinuncia ad abortire, ma viene costretta dalle SS a firmare un foglio dove acconsente a dar via il suo bambino subito dopo il parto.

Inspiegabilmente, ancora una volta, sfugge all’ennesima regola di un mondo folle: il bambino rimane con lei, ma due mesi dopo la nascita muore a causa della polmonite.

Ricordandolo, Anka è costretta ad ammettere ciò che vorrebbe negare più di tutto il resto: se il figlio fosse sopravvissuto, entrambi sarebbero stati condannati a morte certa nelle camere a gas l’autunno successivo. Già perché nel settembre del 1944 Bernd viene mandato ad Auschwitz e Anka si offre volontaria pur di raggiungerlo.

Il nome Auschwitz – per lei e per molti altri – non significa nulla e così sarà prima dell’ arrivo sulla famigerata rampa. Per Anka Auschwitz è solo una località dell’Est come tante, un campo di lavoro polacco dove non sarà sola perché vi sono stati trasferiti i genitori, le sorelle, il cognato, il nipote. La sua famiglia è lì e Bernd deve sapere che è in attesa di un secondo figlio. Di fronte a quelle considerazioni, salta su un treno che passa su un binario però sbagliato.

Da tempo non entra in un cinema, ma adesso la realtà proietta immagini che non si possono descrivere o riprodurre.

Anka si trova nel mezzo di un girone dell’inferno dantesco. Inqualificabile, senza nome, privo di protagonisti perché non c’è traccia di umanità. Un inferno dove Bernd non appare e dove i suoi famigliari sono già volati in alto, passando per il camino fumante. Quel camino oltre il filo spinato le viene indicato da vecchie internate del lager che, private di tutto e ormai prive di qualsiasi umanità, non si risparmiano ghigni e risatine malefiche. Tra sguardi impassibili e nemici, Anka tiene comunque nascosta a tutti la sua gravidanza.

Vi riuscirà durante la sua permanenza nel lager così come nella più folle corsa sui binari mai intentata nel cuore dell’Europa, quando verrà trasferita per andare a lavorare in Germania. Anka continua miracolosamente a tenere nascosta la gravidanza al resto del mondo, ma neanche Bernd ne sa nulla.

Anzi, Bernd non saprà mai che la moglie metterà alla luce la sua bambina. Non saprà mai che Anka, dopo Auschwitz, verrà trasferita in una fabbrica– dove si costruisce la bomba volante V1 – e di lì a Freiberg. Non saprà nemmeno che un contadino tedesco regala alla moglie una speranza, più che una minima dose di energia: in Sassonia, nel cuore della Germania nazista, Anka riceve quel bicchiere di latte che a suo dire farà la differenza tra la vita e la morte nei mesi a venire.

Quando infine giunge la primavera, il vagone riprende la corsa verso Sud con lei a bordo: all’arrivo a Mauthausen, campo di sterminio in territorio austriaco, Anka dà alla luce sua figlia Eva.  E’ il 29 aprile 1945: il giorno prima, i nazisti hanno smantellato le camere a gas. Il giorno dopo, Hitler si suicida con Eva Braun nel suo bunker. Una settimana dopo il parto, arrivano gli alleati ed Eva, tra i primi vagiti, sopravvive.

Sopravvivrà e continuerà a vivere come pochissimi bambini nati nei lager o durante le tremende marce della morte. Eva sopravvive a differenza di suo padre che muore ad Auschwitz, pochi giorni prima dell’arrivo dei russi. Sopravvive per dare nuova forza e linfa alla giovane Anka che al suo ritorno a Praga dopo la guerra, si troverà faccia a faccia con il “momento peggiore di tutta la guerra”.

Non le è rimasto niente, non può contare su nessuno: due zeri che in realtà accomunano tante vite di tanti sopravvissuti allo sterminio. Ma a differenza di quanti hanno fatto ritorno, Anka ha Eva tra le braccia, e la forza la spinge a battere dei colpi sulla porta di casa di una cugina, l’unica della sua famiglia che le è rimasta.

Nel 1948 Anka si sposa con un ex ufficiale della Raf e vola a Cardiff, nel Galles, per ricominciare come Anka Bergman. Non negando e non negandosi mai un sorriso, si conferma la protagonista di un’ultima testimonianza che fa rivivere quegli attimi e quelle voci altrimenti condannate all’oblio.

Testimonianza destinata a durare, perché la sua è la storia di una donna che ha sfidato l’inferno pur di affermare il valore della vita e rivedere la luce. A dimostrazione che questa è la storia di una donna nata due volte.

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