Lo streetwear in terra frentana: Marphis Clothes nasce così.

Di fronte a tante scatole che sembrano chiuse, c’è sempre una che in fondo non lo è. Uno scenario visto e rivisto in officine aziendali, negozi alla moda o in laboratori come questo. Tuttavia, il tempo passato in questi pochi metri quadri è destinato a rivelarmi ben altro: è qui, è sotto casa sua, che Francesco Marfisi ha dato vita ad un marchio nuovo, di abbigliamento casual.

Marphis Clothes è un brand nato da due anni grazie a Francesco e ad altri ragazzi che lui definisce, semplicemente, una famiglia. Non posso stupirmi se sulla scrivania ci sono borchie e punzonatrici, timbri che come legge del mercato impone imprimono un nome.

Possibilmente indelebile nel cuore della clientela, in modo che un giorno quel logo diventi famigliare in ogni luogo.

La punzonatrice è fissa su un angolo della scrivania e sembra irremovibile. Tuttavia parla parecchio: mi fa venire in mente la determinazione di Francesco, i suoi punti fermi e la sua concretezza. Quelle che ti aspetti in un giovane uomo che si è laureato in ingegneria elettrica e che lavora nell’azienda di famiglia da qualche anno. Ma in mano ho il patch destinato a una delle felpe incluse nel catalogo di Marphis clothes e mi torna in mente che su ciascun articolo di questo marchio è impressa una rondine.

Sono decine qui, o centinaia come quelle in vendita. Ma potrebbero essere infinite, Illimitate come le ragioni dietro questa scelta.

Filosofia streetwear. “In origine avevo pensato ad un giglio, ma poi ho cambiato idea. Un simbolo importante, ma forse troppo pretenzioso per una linea casual concepita per abiti che possono essere indossati tutti i giorni”.

Ma non c’è solo la filosofia streetwear dietro la nascita di Marphis Clothes. Ci sono anche le passioni del suo ideatore – come quelle per marchi come Stone Island o Fred Perry – e inevitabilmente gli spalti di uno stadio. Ritrovo e sfioro sciarpe di squadre famose – anche straniere. Ma siamo a Lanciano e quindi quelle della Virtus aprono e chiudono la fila.

“Quando sono allo stadio penso alla partita e al risultato, ma un occhio cade inevitabilmente sul look perché il mondo degli hooligan in passato ha creato una sottocultura e ispirato brand già celebri”

Quando il tifo preme sui cancelli, le idee pulsano sulle meningi di Francesco. Ma c’è tanto altro che freme: qualcosa che scalpita e lo fa da tempo.

Centimetro dopo centimetro. Francesco si rivela a piccole dosi, pardon centimetro dopo centimetro. Come quelli che si rincorrono sul metro Ikea e che utilizza ancora per segnare e prendere misure.

Lui lo considera un portafortuna: l’ingegnere sa essere scaramantico, penso, non solo pragmatico:

“Quando avevo diciannove anni mi immaginavo progettista elettrico. Lavoro che effettivamente ho svolto dopo la laurea.”

Il contratto con una ditta in Val Di Sangro però muore presto: Francesco Marfisi torna nell’azienda di famiglia, ma sa che è solo parte di un nuovo, ennesimo inizio: è in quei giorni confusi e difficili che matura il confronto con un sogno mai rivelato e per fortuna mai abbandonato.

C’è qualcos’altro che pulsa. E’ il suo passato, il suo stesso sangue. “Mia madre era sarta, abile nel cucire maglie su misura: una qualità di famiglia ereditata, perché il mio bisnonno realizzava abiti sartoriali maschili”.

Una volta prese le misure, vanno segnate. Cosi, proprio centimetro dopo centimetro, il mio interlocutore traccia una strada che conduce altrove.

Il quaderno a quadretti. Ci conosciamo da anni e come me Francesco è cresciuto in un angolo di periferia – che oggi tanto periferia non è – ma la storia della sua famiglia è rimasta chiusa in una scatola che si è aperta solo ora.

Come questo quaderno aperto dove soltanto oggi leggo cifre, dati, nomi.

Di fronte ai numeri e alle statistiche in un primo momento ritrovo il ragazzo concreto e l’ingegnere che conosco, ma ora ho la possibilità di aprire l’ennesimo cassetto e finisco per leggere tra le righe  – pardon in questo caso tra stretti quadretti – tanti giorni e notti passate a progettare, ideare, creare o ricominciare daccapo.

Qui i tempi morti generano frutti. Questi dati sono frutto di ricerche continue, ricavati dai libri. Di sera, sotto la luce di una lampada come questa o piuttosto alla luce del sole – a casa come durante le trasferte lavorative – lui dedica tempo allo studio.

“Mi informo su tutto, ma i punti di riferimento sono chiari”.

Cosi tra un libro incentrato sul marketing, o piuttosto la biografia di qualche imprenditore o stilista, si rinsalda un legame complesso: quel matrimonio difficile tra il sogno di portare avanti un progetto e la certezza che bisogna lottare parecchio.

Lo sguardo nella family di Marphis Clothes è puntato inevitabilmente verso l’alto, ma si fissano anche i piedi che non hanno ali. Francesco però sa che i tempi morti generano frutti.

“So quello che voglio realizzare e mi confronto continuamente con chi è al mio fianco. Forse non è destinato a durare per sempre, ma tutto si evolve e per ora c’è sicuramente un domani”.

Una scatola che resta aperta. Il domani si chiama collezione primavera estate ed è imminente. Accanto a felpe e berretti spuntano t-shirt di colore diverso: ennesimo segno inequivocabile delle stagioni che avanzano e non tornano indietro.

A proposito, ho dovuto sbirciare e non poco, nell’unica scatola aperta che ho trovato. Spunta una rondine impressa sul logo, ma non rimarrà chiusa qui a lungo.

Grazie a coloro – uomini e donne – che scelgono di indossare Marphis Clothes, la ritroveremo presto libera per le strade di questa o di una qualsiasi altra città. Sicuramente avrà una voglia matta di volare.

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