L’incredibile Bode

 

The winner takes it all, the loser has to fall. Nel cantarla Agneta Fältskog, la cantante bionda degli Abba, sembra non concedere replica a chi volesse sostenere il contrario. Nel video di quella celeberrima canzone, la front leader della band svedese guarda dritto davanti a sé, sguardo malinconico come tradizione scandinava impone.

Capita però che in un giorno nemmeno lontano, lo sconfitto finisca per annientare il vincitore – raccogliendo gloria imperitura – relegandolo al ruolo di spettatore, osservatore emarginato di una gara che – cronometro alla mano – lo ha visto trionfatore assoluto.

Non sempre il vincitore arriva primo ed ho un’immagine che può dimostrarlo. E’ un’immagine che non possiedo in esclusiva: viviamo in tempi di condivisione multimediale, la memoria umana può permettersi attimi di défaillance perché c’è sempre possibilità di rianimarla con un video preso in prestito dalla rete.

Possono vederla tutti, dunque, quella straordinaria discesa di Bode Miller, forse il più grande sciatore americano di tutti i tempi.

Possono ammirarla tutti, la discesa di Bode sulla pista Stelvio a Bormio: due minuti su uno sci solo, dopo aver perso il sinistro soltanto quindici secondi dopo la partenza. Bode non cade, sfrutta la sua incredibile potenza per tagliare dritto un intero segmento del tracciato. Viaggia a 120 km/h quando mi lascia senza fiato, quando ho già perso interesse per il futuro vincitore di quella gara. Quel giorno sono a casa, assediato dai libri per il mio ultimo esame universitario, circondato dalla neve che è caduta abbondante anche nelle mie lande

Il 3 febbraio 2005 si disputa una gara di coppa del mondo di sci, ma il vincitore ufficiale di quella gara di discesa libera, a Bormio, per me non ha e non avrà mai nome.

 

Per me conta chi non è caduto, chi ha compiuto un miracolo atletico. Quando Bode interrompe la sua discesa, perché stanco e perché “reo” di aver caricato troppo sullo sci destro dopo due minuti di corsa, è il momento di spegnere la tv. Il cronista si è reso colpevole a sua volta, per aver parlato tanto: quando trionfo e caduta diventano una cosa sola, il microfono andrebbe riposto in un angolo.

Non può esserci voce fuori campo, perché non esistono parole adeguate quando lo sconfitto staccato di trenta secondi – un’eternità nello sci – diventa trionfatore

Quel 3 febbraio 2005 Bode è già campione affermato: non ha ancora conquistato l’oro olimpico – ci riuscirà nel 2010, a Vancouver – ma è già in grado di stupire ogni volta. Stupisce quando perde e quando vince: non esiste scusante che tenga. All’apice della sua carriera, tra il 2003 e il 2010, Miller vince anche quando perde. In primis, perché lui gareggia sempre per sé e contro se stesso.

Non finge, lo percepisce lo sciatore dilettante, ma ne è convinto anche lo spettatore freddoloso che non si sognerebbe di mettere naso sulle piste

Vince perché fa spettacolo, direbbe qualcuno, storcendo il naso. Innegabilmente, lui non è come gli altri. Non è come gli implacabili austriaci, come i pragmatici norvegesi, come l’inarrivabile svedese Ingemar “Ingo” Stennark. Non è plausibile, non suonerebbe credibile.

L’incredibile Bode è figlio di due hippy, è cresciuto nel New England con una madre ostetrica che ha avuto nelle mani il potere di educarlo e istruirlo a casa, dunque di plasmarlo come voleva. La sua libertà non tramonta e Bode può tutto: può vincere e perdere, perché anche quando non arriva sul podio, la sua performance lascia il segno indelebile sulla candida neve.

La leggenda veste i panni dell’uomo che ama la vertigine,  che cammina su uno sci solo, emblema del sottile cornicione che separa tecnica e potenza, lucidità e follia.

La leggenda è capace di avventurarsi in imprese che non conoscono albe e crepuscoli, riesce a stracciare record e vincere in tutte e quattro le discipline dello sci in soli sedici giorni, come non ha mai fatto nessuno.

La vita del campione è tutta lì, decisa magari da attimi, ma non dagli altri. E’ così che deve essere, penso, non c’è continuità, non c’è costanza. La legge del decimo di secondo si impone, taglia trasversalmente vita professionale e privata.

E’ così, seguendo questa folle corsa, che il 10 giugno 2018 arriva un verdetto che nessun giudice di gara potrà mai revocare: E’ un verdetto maledetto, quello che attende al varco la famiglia Miller. La nuova famiglia Miller, perché da anni Bode ha al suo fianco Morgan, la sua nuova compagna, ex modella ed ex giocatrice di beach volley.

Da lei ha avuto due figli ed Ermeline detta Emmy, che ha appena 19 mesi, è la più piccola. Quel 10 giugno per la famiglia Miller è estate: splende il sole sulla loro casa californiana, su Morgan che attende il terzo figlio della coppia. Quando il sole splende alto allo zenith, e fa caldo, non c’è spazio per neve o gelo.

C’è una piscina, che d’estate arricchisce il giardino dei vicini di casa come le primizie in primavera. Non distante, Morgan sorseggia il tè con la sua vicina e padrona di casa, mentre un assurdo silenzio si fa strada e in un baleno cattura la sua attenzione.

Nel momento in cui la donna mette piede in veranda, sua figlia Emily è già esamine in acqua. Viene rianimata, ma il suo cervello ha subito troppi danni perché si possa capovolgere quel verdetto che non potrà mai essere accettato.

All’improvviso, la vita del campione e della donna al suo fianco rischia di inchiodarsi nel punto più in basso. Non è questione di discese, qui i primati non c’entrano: sullo sfondo una lunga linea piatta appare all’orizzonte, minacciosa, inesorabile.

Ora è il cuore a decidere tutto, ed è necessario impegnarsi innanzitutto in una sfida tutta nuova, mai affrontata prima. A pochi mesi dalla scomparsa della loro Emmy, i Miller si uniscono alla campagna promossa dai pediatri americani contro le morti per annegamento, ritenuta la causa principale dei decessi dei bambini fino ai 4 anni.

Non sono soli: qui non ci sono le schiere di fan, ma schiere di anime o genitori che hanno subito la stessa sorte. Qualche mese dopo, Morgan mette alla luce Easton e la sua nascita viene vista come un segno cui aggrapparsi. Tredici mesi più tardi, Bode è nella sua casa in California pronto ad accogliere due nuovi eredi

E’ L’otto novembre, quando il cronometro torna a correre all’impazzata: inizia una nova rincorsa, ben più ardua della folle, incredibile corsa del 3 febbraio su uno sci solo.

Crazy Bode, Rodeo Bode, tutti gli appellativi usati negli anni e cristallizzatisi nella memoria degli sportivi allo stesso modo delle incredibili performance, impallidiscono come l’oro delle medaglie di fronte all’ennesima sfida.

Le ostetriche interpellate non riescono ad arrivare in tempo. Bode, abile a confrontarsi con i secondi, decide di assecondare per l’ennesima volta il suo istinto che lo incita a non cadere, a non fermarsi. Nel momento in cui sceglie di aiutare la moglie a partorire, nell’istante in cui capisce che dovrà aiutare i suoi figli a venire al mondo, l’incredibile Bode dà retta di nuovo alla sua corsa vertiginosa.

Dall’infanzia hippy, ai successi, ai trionfi che rischiano di essere nulla di fronte alla tragedia più grande, crazy, Rodeo Bode aiuta la moglie a partorire e a mettere al mondo due gemelli cui non ha ancora dato un nome.

A conferma che a dispetto di tutti i nomi o gli aggettivi possibili, l’incredibile Bode non è capace di sottostare alle regole dei tempi e del tempo. Eppure, malgrado la sua vita vissuta al massimo, è riuscito a non centrifugare successi ed emozioni, a scinderle al punto da assaporare ogni singolo attimo e ogni singolo traguardo. Forse è il destino che spetta a chi rimane in piedi quando tutti gli altri già prefigurano una caduta imminente. Sicuramente il traguardo più ambito, a cui nessun uomo vorrebbe mai rinunciare.
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