Le notti e le sfide di “Capra Coraggiosa”

C’è un segreto nella vita del trentunenne Tom Belz che non può essere svelato. C’è un episodio che però può essere raccontato e che risale a tanti anni fa. Immaginatevi come sfondo una camera d’ospedale. In piedi, in quella stanza di un nosocomio tedesco, troviamo il dottor Klaus Siegler mentre comunica a Tom, bambino di otto anni disteso su un letto, che dovrà amputargli la gamba sinistra.

In ospedale la notte arriva dannatamente presto. Tom resta solo, consapevole che quella notte non sarà come tutte le altre. Il giorno dopo è previsto l’intervento che stravolgerà la sua esistenza e non si fa illusioni perché sa bene, che la vita per lui sarà più difficile rispetto a tutti gli altri.

Ma dopotutto, domani è un altro giorno: sicura che il domani sarà un giorno migliore, una qualsiasi Rossella O’Hara di questo mondo non si attarderebbe a nutrire questa convinzione.

Ma oltre alle eroine romantiche, il mondo ha bisogno di ragazzini che sanno diventare uomini. Tom dimostra di essere uno di loro, nel momento in cui preferisce focalizzare la sua attenzione sul suo presente di bambino affetto da un tumore osseo che non ha paura di ammettere – e riconoscere – un futuro dalle tinte oscure e pieno di insidie.

Detto questo, Tom non ha fretta che la notte passi, perché quella notte, per lui, rappresenta l’ultima occasione per guardare, toccare, parlare con la sua gamba.

“Mi mancherai” – le sussurra. E’ una notte fatta di oscurità: un buio che lo circonda anche quando fuori c’è il sole, perché la malattia che lo ha colpito sa fare anche questi scherzi. A contrastare quel buio, più che una vana speranza, c’è un cuore capace di tutto, al quale non risulta difficile donare slancio alla volontà di ferro che contraddistingue un ragazzino tedesco dai capelli biondi e dagli occhi verdi.

Tom Belz non ha mai dimenticato la sua notte, soprattutto quando, qualche anno dopo, decide che è arrivato il momento di sbarazzarsi della protesi impiantata in sostituzione della gamba mancante. Quella protesi risulta troppo ingombrante, un’”estranea” per nulla gradita.

Malgrado la vita possa sembrare meno facile – come direbbero in troppi meno “normale” – Tom Belz si conferma un ragazzino intelligente più di tanti perché sa, che un corpo estraneo non può farci tornare indietro e sostituirsi a ciò che ci è stato tolto via per sempre.

A prescindere da ricchezza o povertà, salute o malattia la vita conosce un’unica direzione. Tom ha fatto un giuramento a se stesso mai svelato, che gli ha permesso di superare tutte le altre notti e tutte le altre sfide in ospedale, dove è rimasto per un anno e mezzo per la terapia e la riabilitazione.

Tom ha superato le terribili parole di Klaus, il medico che nel corso degli anni diventerà suo amico e lo accompagnerà nell’avventura che gli ha permesso di arrivare fino a qui, alla mia pagina bianca fino a poco fa.

Il tempo intanto, passa. Dopo la palestra, dopo il calcio, dopo le giornate in bicicletta Tom Belz ha deciso che era arrivato il momento di dedicarsi all’impresa, imitando il coraggio e le gesta di Kyle Maynard: scalare la vetta del Kilimangiaro, alta 5.895 metri. Il Kilimangiaro che sorge in Tanzania non è proibitivo come il K2, ma questa certezza ha valore soltanto per gli alpinisti esperti e per chi si limita a consultare le mappe o a sancire che soltanto i record fanno la storia. Anzi, perde consistenza di fronte ai rischi e alla vertigine di un’avventura che non ti aspetti, cui in tanti – definiti normodotati  – sono pronti a rinunciare senza battere ciglio.

In una delle foto che accompagnano idealmente e realmente un racconto come questo, Tom è di spalle davanti alla cima innevata della montagna più alta del continente africano.

Malgrado non abbia mai smesso di fissare il vuoto lasciato dalla sua gamba sinistra, Tom scrolla la chioma bionda, intenta questa volta a riflettere la luce di un cielo azzurro. Appoggia e bilancia perfettamente il peso del suo corpo di uomo adulto sulle stampelle che gli hanno permesso di fare tutto. Al suo cospetto c’è una montagna degna di essere guardata, capita, esplorata.

Dei Re e delle Regine spesso osserviamo soltanto la corona. Accade anche in natura, fuori dai palazzi: dopo i pendii e dopo le rocce, c’è soprattutto quella vetta innevata che va raggiunta. Ecco che si palesa un’altra notte, nella vita di Tom: è la notte che precede il giorno in cui l’avventura è pronta a trasformarsi in una vera impresa.  Tom è sotto il cielo dell’Africa orientale che per alcuni anni  nel diciannovesimo secolo è stata tedesca come lui. E’ un cielo che regala emozioni indescrivibili, perché è un firmamento che appare privo di confini, reali o solo lontanamente ipotizzabili.

La poesia non manca, i sogni ad occhi aperti neppure. In ogni caso, si tratta dell’ennesima notte fredda, vissuta ad altissima quota in un luogo lontano e a ridosso dell’Africa australe, dove il mondo dovrebbe essere popolato da persone che camminano a testa in giù. Nonostante la poesia, Tom sente ancora freddo e avverte la fatica di nove giorni di cammino, schiacciato dal peso dell’atmosfera rarefatta.

La notte che precede la possibile impresa è sempre una notte difficile. Destinata comunque a passare, come tutte le altre, buie e meno buie. E’ una notte che Tom trascorre in compagnia, circondato da guide africane che lo hanno ribattezzato “Mbzui Dume”. Lo swahili è infatti, insieme all’inglese, una delle due lingue parlate in Tanzania.

Difficile, incomprensibile, ma traducibile comunque. “Mbzui Dume” significa Capra Coraggiosa

L’indomani Capra coraggiosa è sul suo sentiero, intraprende gli ultimi chilometri e poi agguanta gli ultimi metri che lo separano dalla vetta. Capra coraggiosa indossa una bandana che cinge e tiene ferma la ribelle chioma rasta, le ciocche bionde che contornano occhi verdi e labbra ispessite dai piercing.  L’amico Klaus, il medico che in un giorno di tanti anni prima ha dovuto privarlo della sua gamba, è al suo fianco. Tuttavia Klaus, un tempo in piedi dinanzi a lui, è costretto ad arrendersi poco prima di raggiungere la vetta, a causa dell’età e di possibili conseguenze.

Tom sa che ha dalla sua la fortuna che manca a tanti altri, quelli con due braccia e con due gambe. A differenza loro, lui non è destinato a restare solo: le guide africane, dei perfetti estranei soltanto pochi giorni prima, ora sono diventate compagne fedeli, voci amiche pronte ad incitarlo in una lingua straniera diventata comprensibilissima all’improvviso.

Tutta questa straordinaria avventura può essere raccontata, come testimonia il film documentario presentato lo scorso ottobre a Milano, in occasione dell’European Outdoor film Festival. Narrabile come altre imprese che hanno come traguardo la stessa vetta e come protagonisti altri uomini.

Ne è un esempio Kyle Maynard, scalatore infaticabile, arrivato in cima malgrado sia privo di tutti e quattro gli arti, diventato nel frattempo campione di wrestling nonostante i primi 39 match persi l’uno dopo l’altro.

La cima non si raggiunge miracolosamente o fortunosamente, bisogna ribadirlo. Detto questo, arriva il momento di un’ulteriore precisazione, prima di tacere e mettere la parola fine: quello che Tom ha provato quando è arrivato sulla vetta non può essere svelato o capito.

Dopotutto è un segreto, e come tutti i segreti non va nemmeno sussurrato.

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