La scelta di Sophie. E di Jack.

Ho scelto di partire e vedere com’è Friedriktown, Ohio. La sensazione è che, da vicino o da lontano, quella cittadina del MidWest sia identica a tanti villaggi della provincia americana, tanto che il nome sembra il dettaglio più trascurabile. Del resto, dall’altra parte dell’Oceano l’omonimia è comune a tante città e cittadine. In una terra come quella non possono essere i nomi e i monumenti a fare la differenza: questo compito spetta alle strade e a chi le percorre.

A proposito di strade.  Dondola al vento il semaforo lungo la  Main street di Friedriktown ed è rosso, nel momento in cui la Triumph si arresta. In quel momento Luke Perry si toglie il casco e guarda la sua città, forse per l’ultima volta, prima che il semaforo torni verde e possa riprendere il cammino verso una meta sconosciuta.

Luke Perry è cresciuto da quelle parti, e scompare all’orizzonte mentre tutto il mondo si ricorda di lui chiamandolo però con un nome diverso. Nella sigla della serie Beverly Hills 90210, Luke si toglieva il casco a un minuto esatto dall’inizio della sigla e svelava il volto del tormentato, affascinante, sensibile Dylan Mc Kay.

Erano gli anni Novanta quando sullo schermo il ragazzo dalla fronte alta e simile a James Dean, si divideva tra Kelly la bionda e Brenda la bruna. Era il sogno delle ragazzine – e delle donne – ma a lui era riuscito il colpo sognato segretamente da tutti gli adolescenti di sesso maschile: essere scelto prima da un’amica e poi dall’altra, senza battere ciglio e senza fatica.

Vuoi per il surf e vuoi per le moto, a mio avviso Dylan è lontano dalla figura romantica idealizzata dalle mie coetanee dell’epoca.Ogni volta, torna in me l’immagine dell’uomo con la fronte alta che sì sussurra la citazione romantica del poeta maledetto prediletto, ma che un minuto dopo ha fretta di tornare in sella e sfrecciare lontano. Diretto verso una spiaggia dove ad attenderlo c’è soltanto l’oceano con onde da cavalcare.

Il 22 aprile 2019 di Dylan si sono perse ormai le tracce e da tempo. Ma quello che non si può negare è che Luke Perry ha staccato per l’ultima volta il biglietto di sola andata. Quello stesso giorno mi torna in mente, mentre ritrovo Jack Perry – il figlio nato nel 1997 – mentre salta da una roccia all’altra in mezzo al deserto a stelle e strisce. Neanche a dirlo, quello che evoca in modo troppo scontato Easy rider e i viaggi – neanche a dirlo – in moto. Jack Perry ha ventidue anni e salta come se stesse scappando. O magari rincorrendo, tentando di afferrare qualcosa o qualcuno.  “Magari suo padre Luke,” – verrebbe da dire – scomparso lo scorso mese di marzo a cinquantadue anni dopo un ictus.

Quello di Jack è un presente assolutamente fuori dal comune, mentre l’avvenire continua a restare misterioso, perché ancora tutto da scrivere e scoprire. Intanto, anche Jack è più noto per un nome diverso dal suo.

Il mondo del wrestling lo conosce come Jungle Boy, nome che risuona alle orecchie degli spettatori e appassionati ogni qualvolta sia chiamato a fare il proprio dovere sul ring. Jack è un wrestler professionista nel mondo di oggi, un lottatore che fa spettacolo, uno di quelli dagli inevitabili – e nel mondo di oggi – improbabili capelli mossi e lunghi, che toccano appena le spalle del suo fisico palestrato.

C’è nei ricordi – anche quelli belli – un aspetto sempre doloroso da affrontare e il rimpianto è dietro l’angolo. Il wrestling non è più quello degli anni Novanta e non lo sono i mezzi di comunicazione. Quando andavano in onda le prime serie di Beverly Hills 90210, il giovedì sera, una platea di teenager sempre più folta staccava telefoni e citofoni. E accadeva lo stesso per i ragazzini che amavano il wrestling: non esisteva praticamente il mondo intorno.

Ora tutti si attaccherebbero sui social per comunicare e condividere imprese e gesta di Dylan, così come degli eroi del ring. Il passato va rivissuto, sebbene la nostalgia possa convincerci a sottovalutare il presente. Il presente è diverso, ma va conosciuto e valorizzato quando è il caso. In questa storia, il presente ha un nome differente e ci presenta una storia il cui protagonista ha un volto nuovo.

L’importanza di chiamarsi Jack Perry assume per questo un sapore inedito: questo ragazzo che ha tutto l’aspetto del selvaggio è in realtà disposto a lasciarsi addomesticare a seconda dei propri gusti e delle proprie scelte. La sua ultima scelta ci dice che sarà presto sullo schermo, e magicamente, fortunatamente, proprio insieme al padre in una pellicola che non ha né un titolo casuale, né un regista trascurabile.

Nel suo ultimo film Once upon a time in Hollywood, il regista Quentin Tarantino si è affidato a Leonardo Di Caprio e Brad Pitt, oltre all’astro nascente Margot Robbie. Eppure, senza saperlo e senza prevederlo, ha fatto molto di più: ha unito padre e figlio sotto un unico riflettore che rimarrà acceso per sempre.

Jack sarà con Luke nella pellicola che sarà presentata a Cannes e lo fa sapere ai suoi follower direttamente su Instagram, dove c’è spazio anche per altre foto che mostrano altri ricci importanti, che contornano un volto fresco, comune alle ragazzine che sono appena diventate donne.

A 19 anni, sua sorella Sophie ha fatto però la scelta che non ti aspetti. Diversamente da tante ragazze della sua età, da tante figlie d’arte – vera o presunta – cresciute all’ombra delle palme californiane, Sophie non si cimenta in selfie – ammazza – sorrisi. Prima dell’arrivo della Primavera, che quest’anno è coincisa con la scomparsa del tutto inaspettata di suo padre, questa ragazza poco più maggiorenne si trovava da tempo in Malawi.

Lì, nel cuore dell’Africa nera, nello stato africano tra i più poveri e più dimenticati, ha trovato casa la figlia di Luke Perry.  Ed è per questo che nella scelta di Sophie, sembra non esserci posto per nessuna fuga o nessun risvolto psicologico contorto. Né un tentativo maldestro di farsi pubblicità sotto riflettori che poteva inseguire altrove: su strade comode, a bordo di auto costose, dietro le vetrine di negozi invitanti.

Diversamente da come accade nel film omonimo del 1982 – dove Meryl Streep è costretta da un nazista a dover compiere la scelta più dolorosa e inimmaginabile per una madre – Sophie è una ragazza libera che  vuole rivendicare in ogni singolo scatto, o post,  tutta la sua libertà. Sotto ogni immagine non c’è spazio per retorici sorrisi e per commenti melodrammatici. Sophie non vince quando abbraccia o coccola bambini di colore poveri e sorridenti. Le trionfa realmente nel momento in cui combatte il proprio dolore ostentando felicità, abbandonandosi ai bei ricordi, senza timore di risultare insensibile agli occhi di haters o malpensanti che ancora confondono Luke con Dylan.

La scelta di Sophie ha condotto la figlia di una celebrità lontana dalle passerelle, da Aspen, dalle Bahamas. Nella povera ex colonia britannica, dove Madonna ha dato vita al progetto Raising Malawi e aperto diverse scuole, Sophie si è concentrata sui suoi sforzi senza voler mai dare l’idea di essere eroina da imitare.

In Malawi, nell’Africa che non va dimenticata, ci sarà un’altra scuola e questa volta sarà intitolata e dedicata a Luke Perry. Non Dylan Mc Kay o Fred Anderson della più recente serie Riverdale, ma l’uomo vero che ha percorso una strada tutta sua.

Al punto da dimostrarlo mettendo al mondo figli, lasciando in eredità qualcosa che ci ricorda la sua vera identità. A tutti i nostalgici spetta il dovere di andare oltre e rispettare l’identità di chi è venuto dopo. In questo caso, coincide con i nomi e i volti di un ragazzo in attesa che si alzi il sipario, e di una ragazza in attesa che suoni la campanella di una scuola africana. Sophie e Jack ricordano a tutti noi che c’è una main street nella vita di ognuno. E che le strade che percorriamo – anche quando abbiamo stesso padre e stesso nome – sono sempre, miracolosamente, diverse.

 
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