La domenica del piccolo rider

La domenica mattina al Roma Longboard Fest comincia presto per Karl. Quest’uomo alto e biondo, zaino in spalla e bambini al seguito, procede spedito verso la gradinata del Palatorrino qui all’Eur. Karl parla ai figli in un tedesco rapido ed indolore, a tratti morbido. Ci sono cinque teenager con il loro Longboard, capitanati da una sosia di Avril Lavigne più alta e meno pallida. Hanno tutti camicie a quadrettoni che si gonfiano leggermente quando Karl li dribbla e scompare dalla mia vista.

Risuona Fatboy Slim in questa domenica, come a tener lontane quelle domeniche del pallone di Rita Pavone. Come se si volesse ribadire che quello è un universo lontano, se non addirittura alieno. Never push alone – da queste parti campeggia questa scritta. Karl potrebbe tradurlo in tedesco proprio mentre spinge contemporaneamente su una tavola i due figli biondissimi.

Non spingerti mai da solo, perché in fondo uno sport crea amicizia. Te lo dicono quando sei piccolo e te lo ripetono in queste occasioni, nell’ambito di un evento organizzato dall’associazione sportiva “SnowPress Longskate Riders Roma” e giunto alla quinta edizione.

La competizione è uno stimolo, più della vittoria: eppure due vincitori restano – credo – sempre troppi.

Lo scenario è cambiato, la quinta edizione del festival romano non si svolge più presso il Piazzale dell’Industria. Questa volta mancano – e ci mancheranno – lo slide jam così come il downhill: in pratica non vedrò nessuna gara – pardon contest – di  free ride. Non c’è speranza di assistere a discese più impegnative su una tavola mediamente rigida, dove la velocità inizia a contare ed è fondamentale l’interasse più della lunghezza..

..Alla velocità ci penseranno dopo. Entrando, potrei sintetizzare così ciò che vedo, ossia due ragazzine che provano l’Indoboard,  tavola in deck progettata per aiutare i neofiti a trovare e tenere l’equilibrio.

Sì, le ragazzine vogliono diventare riders e sono a caccia del giusto balance. Nei loro occhi vivaci e tutto sommato ingenui persiste il riflesso dei tutorial su youtube, dove giovani ragazze di questo secolo e che vivono oltreoceano mostrano come eseguire i tricks al pari dei loro colleghi maschi.

Hanno la stessa età di Shirley Temple – di quando è andata in pensione ovviamente – disinvolte  tanto nel parlare, quanto nel muovere i piedi  su una tavola in legno d’acero o bamboo.

Never push alone è il comandamento che vige qui dentro, eppure volutamente il mio sguardo cattura chi invece tenta di spingersi oltre e ovviamente da solo. Ci sono un paio di ragazzi alle prese con piccoli flip. Afferrano e fanno roteare con una mano la tavola.

Una volta a terra, eseguono un landing che a volte riesce ed altre no. L’atterraggio è spesso indolore – grazie a ginocchiere e protezioni – ma il profano potrebbe pensare che maltrattano ciò che hanno sotto i piedi.

Invece no, la tavola per loro è oggetto di culto. In questo istante tanti loro coetanei sono sui campi da calcio di periferia: loro semplicemente si sono scelti un mondo meno affollato, dove parlano un linguaggio che ha bisogno di altre lettere nell’alfabeto e dove parole sconosciute ai più  attraversano trasversalmente le loro conversazioni tra una spinta ed un’altra.

L’intento degli organizzatori è promuovere una disciplina, magari la solita giornata domenicale dedicata ad uno sport ancora di nicchia. Tuttavia al  traguardo non si arriva mai in compagnia e questo R. lo sa benissimo.

R. è uno dei giovani riders che si contenderà la vittoria nella gara di dancing prevista nelle ore successive. Per vincere, R. deve ricreare l’effetto di una danza sulla tavola. Per questo trascorre le ore e i minuti che precedono la gara ad allenarsi.

R. è un piccolo, giovane rider che indossa un casco blu. Difficile ignorarlo, semplicemente perché lui si muove come nessun altro. C’è la tecnica, ma come sempre a spiccare è la naturalezza che non ha bisogno di mistificazioni o proclami per farsi notare. Chi è seduto sulle gradinate condivide questa mia sensazione: da subito il casco blu del piccolo rider smette di essere simile a tutti gli altri.

Agile e tenace, R. non molla la presa sulla sua long nemmeno quando dovrebbe riposarsi. Sa cosa è in grado di fare, e per questo ai suoi occhi conta soltanto ciò che non gli riesce. Il cross step – incrocio di passi sulla tavola – non è un problema mentre i tentativi di eseguire un tiger claw o un ghost ride non sono mai troppi.

Poco prima della gara, il piccolo rider con il casco blu cade. E’ il momento che precede l’inizio del contest e R. sente il bisogno di fermarsi. Si allontana e si chiude nel silenzio: tutti i tentativi di esorcizzare paure ed incertezze prima della prova finale gli sembrano vani. Io sugli spalti non ho scelta: devo capire se fermarsi per lui significherà arrendersi.

Resta impossibile prevedere ciò che accadrà tra un secondo. Vale la stessa regola per le cadute. Tuttavia, quando è possibile bisogna rialzarsi subito e il piccolo rider sembra esserselo dimenticato. E’ in piedi, ma ha tutta l’aria di chi è ancora seduto.

Questo è il momento in cui so che inizierò a tifare per lui e che il mio relativo interesse verso una gara di longboard in un piccolo spazio indoor si sta trasformando in tifo reale.

Qui, in un palazzetto dove spuntano vetri attraverso i quali si riflettono tetti di palazzi, il piccolo rider non mi ha deluso e si è rialzato. E’ lì in piedi già ai nastri di partenza.

Ha qualcosa da insegnare agli altri ogni volta che si posiziona e si lancia, ma non se ne cura perché lui ha più a cuore ciò che deve dimostrare a se stesso. Per lui non contano queste gradinate, le tavole sofisticate fabbricate ed esposte dagli abilissimi shaper – o artigiani – all’esterno.

Niente è come il giorno prima, vale quando perdi e vale quando vinci. Il ragazzo con il casco blu lo sa. Lui è il piccolo rider consapevole che è giunto il momento di osare in gara e fare il salto di qualità. Ci riesce.

Il piccolo rider ha vinto e si sfila finalmente il casco blu. Lo fissa un istante: è  una piccola e significativa nota di colore nella sua domenica particolare. Per tutto il resto, domani è un altro giorno.

Domani è lunedì, in altre parole il giorno ideale per ricominciare.

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