Islanda da brividi: il sogno vichingo

Nell’angolo più remoto dei giardini d’Islanda spuntano tre casette di legno. Secondo una leggenda locale, ospiterebbero gli Álfar, anche loro figli di Eva. Per punirla – li nel profondo Nord e lontano da giardini esotici – Dio li ha resi invisibili agli occhi e visibili soltanto ai cuori puri.

Per gli islandesi la loro vicinanza è di buon auspicio: saperlo potrebbe servire alla nazionale francese, che giocherà contro l’Islanda domenica sera. Inaspettatamente, mentre gli inglesi di Roy Hodgson hanno già fatto le valigie.

 Non è stato un referendum. L’Inghilterra ha lasciato l’Europeo e questa volta non si tratta di una scelta. Lo sa bene il commentatore superstar Guomundur Benediktsson, oggi sicuramente l’islandese più celebre dopo Bjork.

Gummi Ben – il diminutivo aiuta chi scrive e chi legge – è nato in una terra coperta dal 10% dai ghiacci, che ospita il giorno e la notte con altrettanta cortesia e discrezione. Eppure le sue telecronache in questo europeo francese sono più esplicite e sentite di quelle dei commentatori sudamericani che popolavano gli anni della mia infanzia.

La sua esultanza è diventata virale: durante gli ottavi di finale, subito dopo i gol di Sigurdsson e Sightrsson, ha continuato ad entusiasmarsi infierendo sull’incredulità degli inglesi, colpiti da una paralisi – più che dal proverbiale aplomb – subito dopo il fischio finale dell’arbitro Skomina.

Riservando all’Inghilterra del dopo Brexit, sconfitta per 2-1,  un incubo e una dedica senza mezzi termini.

Puoi lasciare l’Europa, va dove diavolo vuoi.

http://https://www.youtube.com/watch?v=jJv_BSBTXi0

 Non chiamatela fortuna. L’errore sarebbe inevitabile. Non esistono più squadre materasso, ma l’Islanda negli ultimi due anni ha voluto appropriarsi di uno status diverso: quello di squadra che non fa dormire sonni tranquilli.

L’onda vichinga travolge chiunque: è visibile sugli stadi di Francia, dove attualmente si trova l’8% della popolazione di una terra che conta poco più di trecentomila abitanti. L’entusiasmo è sempre lo stesso, ma se dovessimo tracciare una linea di demarcazione tra il calcio che fu e il calcio che è, dovremmo citare una data, che a noi non dice nulla.

Il 13 ottobre 2014 la nazionale islandese batte l’Olanda 2-0 e inizia a sognare.

Un anno dopo, ad Amsterdam, arriva la conferma. L’Islanda batte gli oranje a casa loro, nella patria del compianto Johan Cruijff e di una squadra dal passato altrettanto compianto, l’Ajax.

Coloro che hanno insegnato il calcio soccombono dinanzi a chi ha dimostrato di studiare ed imparare la lezione ogni volta.

Laddove negli ultimi anni sono stati fatti investimenti intelligenti e mirati, su impianti e giocatori che oggi militano in campionati stranieri.

http://https://www.youtube.com/watch?v=paGxNROVcww

Non è un film, ma un sogno. Una nazione di pescatori, indipendente dalla Danimarca soltanto dal 1944, offre un calcio giocato di tutto rispetto –  reale, al riparo da fronzoli o inganni –  malgrado manchino nomi importanti.

Merito dei due allenatori: Heimir Hallgrímsson fa il dentista di professione e affianca sulla panchina lo svedese Lagerback. Merito di chi si è fatto le ossa all’estero, come Birkir Bjarnason – ex del Pescara e attualmente nel Basilea – il numero nove Kolbein SigƄorsson ora nel Nantes e soprattutto Sigurðsson, attualmente in Premier League.

Ma tra i ventitré convocati c’è anche lui, Hannes Halldórsson, il portiere. Gioca in Norvegia, ma a fine carriera tornerà a fare il regista di video musicali, lavoro che ha dovuto lasciare anche in vista della storica partecipazione del suo paese alla prima competizione ufficiale in campo internazionale.

Uniti si vince. Spunta un dito, è quello di un’intera nazione che tifa compatta, probabilmente ignara che in altri paesi il calcio oggi si vive tra dubbi, bilanci e polemiche. Quel dito punta il cielo, ma anche il telecomando: il 99% degli islandesi ha assistito agli ottavi di finale giocati lunedì a Nizza.

Con questa percentuale da Anschluss o da elezioni generali in Corea del Nord, l’Islanda ha sostenuto i propri colori.

Nella notte chiara della capitale Reykjavik, cosi come nei piccoli villaggi sparsi del paese meno popolato d’Europa, lo stesso che fa battere i denti  nove mesi all’anno e che quest’estate dà i brividi.

Anche i Vichinghi sanno sognare: dopotutto sono stati tra i primi – ma forse nessuno ci riuscì prima di loro – a salpare verso l’America. Ogni volta che restano in piedi, li in un qualsiasi stadio francese, gli islandesi cantano a squarciagola il loro inno nazionale, il Lofsöngur, un vero canto di preghiera.

Dopotutto ti sorprendono e si fanno amare, anche grazie a un altro canto che spunta fuori dal nulla e che ti regalano alla fine del match della vita.

Tutti sotto la guida di capitan Gunnarson danno vita a qualcosa che non c’entra nulla con la Haka, la danza Maori resa celebre dagli All blacks, eppure la ricorda per passione e indicibile amore.

https://www.youtube.com/watch?v=_I9Yiuck3mw

A prescindere dal risultato, l’Islanda ha conquistato l’Europa senza invaderla, convincendola, per nulla intimorita. Simile a storie di folletti che si beffano di coloro che non credono nella loro esistenza

A proposito, quando si chiede ad un islandese se crede agli elfi, la risposta sorge spontanea.

Perché no?
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