Io leggo. Due volte a settimana

Elio Toso entra nella vita delle persone diversamente da tanti altri. Il protagonista di Due volte a settimana, il primo romanzo di Ernesto Valerio edito da Presentarsi e giunto rapidamente alla terza ristampa, è infatti un uomo che ha abbandonato il suo vecchio lavoro nella grande distribuzione per salvare dall’incuria e da morte certa, oggetti appartenuti agli altri. Elio Toso è colui che l’autore, coetaneo del sottoscritto, definisce giustamente junker.

Tradotto con assoluta freddezza, junker è colui che fa una stima del valore di cose che gli altri hanno posseduto. Nelle mani di traduttori improvvisati, questo termine diventa sinonimo – ingiustamente – di rigattiere o robivecchi.

Entrambe le interpretazioni sono da evitare;  a dimostrarlo è Elio, quarantaduenne consapevole, che chiarisce immediatamente di non volersi arricchire con il lavoro che ha scelto.

Elio è figlio di quell’ Angelo Toso  presentato a piccole dosi e a piccoli passi, che permette all’autore di conquistare un obiettivo non sempre raggiunto: riconsegnarci l’umanità in poche pagine attraverso la figura dignitosa di un uomo che ha un’identità granitica.

Eppure non banalizzata, non accerchiata dagli stereotipi: Angelo è uomo ordinato che però tiene in leggero subbuglio la sua libreria. Perché anche lui sa che una biblioteca ordinata è impensabile, se non addirittura irreale.

Angelo Toso è l’ uomo che si lascia aperto uno spiraglio, nonostante le sue abitudini. Suo figlio Elio, invece, ha perso le sue abitudini per strada.

Oltre ad essere il figlio di Angelo – commercialista – e di Anna Carla – insegnante, lo junker quarantaduenne ha per padre e madre tempi e luoghi incerti. Elio appartiene ad una società e ad un paesaggio costellati di strade interrotte, di luci a neon che in tanti respingono, rumori che nessuno accetterà mai.

Elio ha vissuto nel Nord Est d’Italia una volta ricco, ma quei numeri per lui non sono più veri.

I numeri l’hanno condannato ad un’esistenza non voluta da nessuno, che in Due Volte a Settimana non suona però come lo slogan di un saggio nichilista.

Elio è pur sempre figlio di Angelo Toso e non può vivere questa consapevolezza come una condanna, bensì come una premessa che leggiamo nel Prologo, con il Conero sullo sfondo.

La sensazione – crescente – al ritmo di anafore prestate alla narrativa, è che Elio sia chiamato a rivalutare – invece che valutare – le cose possedute da altri. Elio ha una missione: deve dar vita, di nuovo, a ciò che il suo possessore non è più in grado di rianimare.

Elio è figlio di Angelo: la sua onestà è palpabile, la sua discrezione è godibile. Elio Toso è l’io narrante di questa storia, ma al posto di segreti inconfessabili riporta testimonianze di persone incontrate negli anni e spesso per lavoro.

Le soffitte e le cantine non sono luoghi misteriosi, ma intimi, perché questo non è un thriller e non è nemmeno un romanzo fantasy.

Quando i cartoni impilati nelle soffitte e nelle cantine si aprono, realisticamente si spalanca un mondo nuovo fatto di dubbi, problemi, risate comuni, dove le persone si confrontano con un linguaggio onesto che sin da subito riduce le distanze.

Quelli che incontra Elio sono individui che raccontano ciò che racconterebbe lo sconosciuto che ci incuriosisce, se soltanto evitassimo di cercare nelle tasche lo smartphone ogni volta che siamo soli.

Due Volte a settimana parte da una premessa comoda, suggerendoci che è ancora facile prendere confidenza con gli oggetti. Ma Due Volte a settimana successivamente sembra scardinare tutto ciò.

Lo fa con uno stile che è già dell’autore, invitandoci elegantemente – e caldamente – ad una riflessione:

Chi di noi si sentirebbe a proprio agio, se valutando gli oggetti posseduti da altri, potesse scorgere quel marchio invisibile che va oltre il logo dell’azienda che li ha prodotti?

Già, aggiorniamo le nostre logiche di marketing: l’oggetto diventa tuo/ nostro, perché desiderato, acquistato e vissuto.

Scatta un paragone scontato, ma che a questo punto non può essere taciuto: l’oggetto posseduto e’ come il libro pubblicato che non appartiene più a chi lo ha scritto.

L’autore se lo ricorda suggendoci parole di Julian Barnes, citando De Lillo, Irving e Bukowski in modo del tutto personale, perché sono voci ascoltate in diversi momenti della vita, ma che apparterranno sempre al suo presente.

Due Volte a settimana è il terreno comune dove uomini diventati straordinari – nonché oggetti o brand diventati leggendari – venuti al mondo in assoluto silenzio, si confrontano con Stefania, Renato, Filippo, Serena e altri. In altre parole, uomini e donne di questo libro che diventando famigliari, suggeriscono al lettore che senza Elio Toso sarebbero rimasti ingiustamente nell’ombra.

Li conosciamo attraverso una miriade di appuntamenti che si trasformano pian piano in incontri che s’intrecciano in un climax non solo stilistico: ciascun incontro introduce un altro, fino al momento culminante.

Perché è il confronto immancabile che popola le nostre vite, ad aprire e chiudere Due volte a settimana. Un romanzo d’esordio che è venuto fortunatamente alla luce per ricordarci che – in fondo – in nessuna scatola potremo mai ricacciare tutto ciò che abbiamo vissuto.

Del resto, e lo sappiamo molto bene, ogni spazio si riduce miseramente al confronto di coloro che abbiamo realmente amato.
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