Io e il clown

Charlot si trova nella stanza degli specchi. Tenta invano di fuggire al poliziotto che lo bracca e che dopo averlo afferrato gli chiede: ed ora, come si esce di qui? La rincorsa continua poi sotto il tendone di un circo: Chaplin eterno vagabondo diverte il pubblico e viene assunto. Senza saperlo – e magari senza volerlo – è’entrato a far parte di un circo.

Ogni volta, prima di scrivere, sono un po’ a disagio, intrappolato in quel labirinto dove molto spesso sono costretto a specchiarmi: ma questa volta sento di esserci finito da un pezzo. Prima che inizi questo nuovo incontro, in vista del mio ennesimo racconto; d’altronde sullo sfondo si staglia ancora il tendone del circo Orfei e per alcuni istanti non passano altri esseri umani. Sono circondato da cammelli, cavalli e struzzi, ma dopo uno sguardo di velato compiacimento, proseguo il mio cammino diretto verso il centro di questo minuscolo universo.

Devo incontrarmi infatti con il clown, con il Principe di questo piccolo regno: quando si presenta intravedo già un piccolo spiraglio di luce. Davide sta richiamando Ronnie e Gillian, due dei bulldog francesi che popolano quest’angolo di campo. Vicino al padrone c’è l’immancabile Bud, il boxer inglese che gioca a fare il capo con gli amici e colleghi a quattro zampe, mentre resta  – inutile dirlo – incondizionatamente fedele al suo padrone.

Anche il mondo del circo ha i suoi padroni e spesso non si fanno vedere. Ma nel labirinto dove mi sono cacciato voglio conoscere chi ride e fa ridere, che fa riflettere e poi commuove.

Neanche a dirlo mi torna in mente il poeta vagabondo Charlot, che attraverso lo schermo, senza parlare, parlava di questioni morali e sociali. Del mondo, dei suoi innumerevoli umori e problemi.

Anche Davide, il clown, mi parla di problemi. Lo fa a voce piuttosto bassa, ma non importa perché è abituato a parlare con gli occhi e con lo sguardo anche quando il suo viso non è infarinato. Al mattino si presenta senza maschere e quando il giorno non è ancora giunto al suo giro di boa, cura i suoi cani, indossa abiti sportivi ed è disposto a raccontare come tutto è cominciato:

A diciassette anni, con la prima esibizione ufficiale: da quel momento ogni volta che le luci si sono accese ha intrattenuto il suo pubblico e i suoi numeri per un po’ fanno bene all’umore. Catturano i mali del mondo e il pubblico applaude perché ne è consapevole.

Per un po’ gli altri sono grati e riconoscenti.

Reportage fotografico completo su http://www.giancarlobomba.it/photography/portfolio/racconti/tentencirco/ tutte le immagini sono protette da copyright

Succede anche in The Circus, il film con Chaplin. Dopo aver infiammato il pubblico però Charlot non riesce a trasformarsi nel clown perfetto.  Intanto Davide si guarda intorno continuamente e mi invita a fare altrettanto. Per alcuni giorni vivrà qui, in pochi metri quadrati di un campo aperto e più vasto. E’ uno spazio verde che dovrebbe essere poetico, ma non lo è. Potrebbe essere quantomeno accogliente; tuttavia, con l’arrivo della pioggia, il terreno diventerà melmoso e il fango tingerà l’erba facendole cambiare colore.

A dispetto di una legge che lo prevede, comuni ed enti locali non concedono aree pubbliche a coloro che si occupano di intrattenimento. Compagnie circensi – e non solo – devono quindi occupare aree private e pagare ai legittimi proprietari.

La roulotte di Davide è parcheggiata su un terreno pronto a tramutarsi in palude, ma per sua fortuna presto avrà la sua via di uscita, almeno per questa sera. Sarà di nuovo il clown, tornerà ad essere colui che incanta centinaia di esseri umani dando per un attimo l’idea di essere atterrato sul pianeta terra dove non è mai stato prima. Ma la trasformazione richiede tempo e la preparazione è metodica, nonostante il suo viso sia ormai segnato da qualche ruga, la maschera non conosce crepe. Infatti Davide è un po’ come Hans, il protagonista di un romanzo dello scrittore tedesco e premio nobel Heinrich Böll.

E’ il clown che fa collezione di attimi e che non piange per non rovinare il trucco perfetto. I suoi attimi parlano di una famiglia di circensi, di una madre acrobata e un fratello che faceva l’equilibrista.

 Dunque sei abituato a camminare su un filo molto stretto anche tu.

Vorrei dirglielo, ma a differenza di altre occasioni riscopro il pudore del silenzio. Il merito è dei lunghi silenzi di chi, come l’uomo al mio cospetto, ha vissuto una vita simile a quella di tantissimi altri. Ha sperimentato momenti piacevoli e non ha potuto evitare quegli istanti spiacevoli che non prevedono la maschera, la biacca sul viso, il viso ingessato.

Poi montano il tendone e si accendono le luci: il circo stesso gli concede una tregua. Questo mondo dove vive da sempre lo coccola e il pubblico, quando è caldo e riconoscente, lo abbraccia e ride.

Reportage fotografico completo su http://www.giancarlobomba.it/photography/portfolio/racconti/tentencirco/ tutte le immagini sono protette da copyright

Ridi pagliaccio, ma l’eco delle risate arriva un po’ smorzato alle orecchie del clown e l’aria musicale di Leoncavallo suggerisce sempre lo stesso dubbio:

Il clown è allegro o triste?

Ridi pagliaccio, si potrebbe ripetere, ma in fondo non conta. Perché il clown è diventato lo specchio perfetto e senza crepe per tutti, dove tu ed io possiamo guardarci. Il riflesso grottesco e implacabile del mondo che lo circonda e che lui, apparentemente sbarcato in una landa sconosciuta, conosce molto bene. Davide fa il suo numero ogni sera. Quando si chiude il sipario torna nella sua roulotte.

Lava via il trucco, riflette, e poi si guarda allo specchio. Il tempo passa anche per lui e il suo viso ne custodisce i segni. Ma si può curarli, magari con una risata: l’ennesima prova che attraverso uno specchio o no, una via di uscita molto spesso non manca.
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