In un mondo a testa in giù

“Chi salva una vita, salva il mondo intero”. Questo verso del Talmud mi è stato tramandato nell’età in cui era più giusto che io ascoltassi e prendessi nota di parole che resistono nei millenni. Avevo sedici anni, quella sera di maggio, quando vidi con tutta la mia famiglia – per la prima volta – Schindler’s List. Per chi ha visto il film, per chi conosce la storia, è superfluo aggiungere altro. A chi non la conoscesse consiglio vivamente di approfondire. Chi non fosse interessato, non sarà nemmeno interessato alle righe che seguono.

Benoit è un volontario da quasi due anni: negli ultimi ventiquattro mesi offre assistenza ai migranti che passano in Val di Susa. Nulla di eccezionale per una guida alpina, ma nei tempi che stiamo vivendo questo gesto è diventato atto controverso. Si potrebbe discutere, si potrebbero trovare mille ragioni per lodare o biasimare il suo operato: sarebbe uno sforzo inutile, perché c’è una data – quella del 10 marzo scorso – che segna un confine, ben più importante di quelli fisici che dividono – per storia, convenzioni o interessi – paesi da altri paesi.

Il confine di cui parlo è il confine tra mondo del buon senso e mondo dell’assurdo. Forse l’epoca in cui viviamo è davvero quella pronosticata dai vari Carroll, Beckett: siamo tutti protagonisti di un mondo dove si fanno discorsi senza senso, perché sempre di più si smarriscono il senso dell’etica e dell’umanità.

Benoit Ducos non ha salvato una vita, bensì due vite, nel momento in cui ha deciso di accompagnare con la sua auto una donna nigeriana in travaglio mentre tentava di varcare il confine francese, al Monginevro, 1900 metri di altitudine.

Per quell’atto ora rischia ben cinque anni di carcere: un paio di settimane fa si è recato in gendarmeria dove ha ricevuto una bella notifica degli atti che sottoscrivono inequivocabilmente che per la legge vigente è stato commesso un reato.

Molti si sono soffermati – ovviamente, giustamente, legittimamente – su quanto successo dopo. Ma dai racconti e dalle testimonianze, è emerso che la polizia francese avrebbe trattenuto per un’ora Benoit e Marcela, la donna nigeriana in stato di gravidanza avanzato.

Non curante del travaglio e delle sofferenze della donna, una poliziotta si sarebbe lanciata in un’osservazione degna di un libro di Kafka, di una tragicommedia alla Chaplin, asserendo che Benoit, in quanto uomo, non è in grado di stabilire lo stato d’urgenza della partoriente.

Quella frase del Talmud torna attuale. Siamo tornati ad un preciso momento storico, dove aiutare qualcuno costa caro. Certamente, esiste una democrazia dell’oggi che non definirebbe mai quella donna nigeriana come persona indesiderata e che non lapiderebbe mai un uomo a morte per il suo gesto. A parte queste due considerazioni, resta in piedi un ventaglio di infinite possibilità e innumerevoli risvolti che certamente inquietano.

La democrazia dell’oggi parla invece attraverso il silenzio: il caso di Benoit rischia di diventare un precedente comodo per la burocrazia e pericolosissimo per l’umanità intera. Un precedente paradossale, che rischia di insinuarsi nella coscienza di ognuno al punto da indicare la strada sbagliata.

Un nuovo verso, diametralmente opposto a quello contenuto nel libro sacro del Talmud:  Chi salva una vita, oggi, non salva nemmeno se stesso.

Per enfatizzare questo principio, la democrazia dell’oggi ha bisogno di tradurlo in cifre. Benoit rischia di pagare 30.000 euro per aver assecondato l’istinto più nobile dell’uomo che prevede l’aiuto, il prestare soccorso a chi soffre in un caso di soccorso, in modo totalmente disinteressato.

30.000 euro oggi è il prezzo da pagare, è il premio che spetta alla società che ha imboccato la strada del paradosso.

Ovviamente si tratta di momenti circoscritti, circostanze eccezionali. Chi sostiene che viviamo in un mondo civilizzato, oggi, non si stancherebbe di ribadirlo. Eppure il confine tra ciò che è verosimile e ciò che è assurdo è cosi esile da indurci a credere che non si può escludere nulla, che è meglio fare come nei tempi più bui dell’umanità: chiudersi in se stessi, farsi gli affari propri, rinunciare a tendere la mano perché quella mano potrebbe essere tagliata.

La moglie di Benoit si definisce indignata, ma io mi soffermerei sull’altro temine che Sophie Ducos ha scelto per descrivere il suo stato d’animo. Definendosi terrorizzata è andata oltre, scacciando via tutte le riserve possibili, proprio perché oggi si ha timore di dire che si ha paura.

Paura di agire e paura di provare pietà, parola che abbiamo persino timore e pudore di pronunciare. Forse perché il nostro  è un mondo dove sarebbe meglio vivere a testa in giù, come auspicherebbe Friot.  Un mondo dove per sopravvivere, si dovrebbe provare a camminare a testa in giù, come pronostica la sognatrice Alice di Carroll,

Nel mondo a testa in giù non si avrebbe paura di agire o dichiarare che in fondo non è una vergogna provare pietà per qualcuno. Pietà è una parola che la società di oggi esclude, eppure è una parola bellissima, perché richiama sinonimi, vocaboli che le sono vicini parenti, ai quali l’umanità non vorrebbe mai rinunciare. Una parola che ha ispirato i versi di Dante, Petrarca, Leopardi, dato di fatto che esclude ogni possibile contraddittorio.

L’ho ricercata nel dizionario e ho trovato questa definizione “sentimento di affettuoso dolore, di commossa e premurosa partecipazione, di solidarietà che si prova nei confronti di chi soffre.”

 
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