I piccoli, grandi sogni di Mario

La destinazione è certa, questa volta. Nella mia mente sembra essere già tutto disposto come conviene: le parole non mancheranno, ne sono certo. E poi il pomeriggio è altrettanto promettente. Grazie al sole che non trafigge, ma ha comunque deciso di affacciarsi dopo due giorni di autentica tempesta.

Durante il viaggio sorge un piccolo problema: non appena mi addentro nel territorio dell’alto vastese le strade sono impervie e tortuose. Nulla di strano, me lo dicono tutti.

Poi sbucano fuori degli anziani che giocano a carte tra strade ciottolose: infondono serenità in questa piccola contrada pacifica, che fa parte di un mondo inesplorato oggi corrotto dal rumore della mia auto. Un suono sicuramente alieno, che contrasta con un paesaggio degno della tela di un pittore   impressionista.

L’idillio finisce presto: pochi metri dopo mi addentro nella vallata del Sinello e la speranza di arrivare subito alla meta muore subito.

Grazie a strade dissestate, dove a mancare sono addirittura pezzi di asfalto: non è colpa della natura, nemmeno della tempesta dei giorni passati, ma di chi è indifferente al destino di uomini, donne e bambini che abitano qui. Ad essere indifferenti sono coloro che lavorano e vivono nei palazzi. Questo lo sanno tutti.

Arrivo in cima e giungo alla fine di quest’avventura: dovrei dirlo, ma taccio, nel momento in cui parcheggio davanti alla casa di Mario.

La sua abitazione è un’ancora di salvezza e l’accoglienza che Mario e sua moglie Dina mi riservano è simile al porto sicuro che i marinai raggiungono dopo un viaggio nel mare in tempesta.

In casa c’è il calore, ci sono i profumi di antichi sapori e di ricordi della mia infanzia, ma poi scendo al piano inferiore.

Siamo sbarcati di nuovo in un pianeta sconosciuto, chiamato Regno della totale Autosufficienza. Mario ha tutto quello di cui ha bisogno: una taverna accogliente, un’officina resa efficiente anche grazie alla passione di suo figlio Lucio.

Ma oltre al bisogno, il padrone di casa è riuscito a cullare e concretizzare il suo sogno.

Quello di trasferire in casa sua, in un laboratorio costruito da lui metro dopo metro, le passioni inseguite da una vita.

Quelle che nel caso specifico hanno a che fare con la ceramica: con tutto ciò che può essere realizzato nel segno della tradizione, della creatività e dell’originalità.

I veri sogni non si spengono con la luce del sole e ad addormentarli non sono nemmeno trenta o quarant’anni di duro lavoro in una fabbrica – magari senza finestre – e distante chilometri: Golden lady, sebino sud…nomi di calzaturifici, di aziende e tempi che sembrano andati, ma che insegnano tanto.

Qui, in un piccolo paese, devi saper fare tutto” Mi trovo d’accordo con lui, pur invidiando un pizzico le sue capacità

Lo ripete di fronte alla porta del forno spalancata e agli stampi in gesso disposti sul tavolo.

Gli stessi stampi in gesso che realizza lui: quelli nei quali viene colata e poi svuotata l’argilla, prima della naturale essiccatura, che avviene secondo tempi che variano in base alle stagioni e alla temperatura.

L’essiccatura è la premessa alla prima messa in forno, nota anche come biscottatura

“La porta deve rimanere chiusa ermeticamente per tante ore”…

 

Mario prova a raccontarmi l’attesa che cresce, che levita proprio come il pane: un rito consolidato, come la sua esperienza nel campo, che però riemerge grazie all’ansia che cresce di fronte al responso. In altre parole, al forno che si apre.

Ma le improbabili connessioni tra arte della ceramica e arte pasticcera finiscono qui: una volta ultimata la cottura, bisogna rifinire, rivestire, quindi colorare gli oggetti in argilla.

La lavorazione sull’oggetto cotto, detto biscotto, differisce da quella degli oggetti smaltati:

Una volta dipinto l’oggetto viene immerso nella cristallina, rivestimento vetroso trasparente. Segue la cottura in forno ad una temperatura media che oscilla tra i 930 e i 950 gradi. L’alta temperatura permette alla cristallina di fondere e sprigionare finalmente il suo potere:

In altre parole, vivacizza i colori ed esalta le decorazioni sulla ceramica.

 

Mario mi indica i recipienti contenenti queste polveri, nonché il grosso contenitore riempito con smalto liquido: vengono da Castelli, la cittadina del teramano nota in tutto il mondo per la produzione di ceramiche.

“Le cristalline potrebbero rimanere in quei recipienti a lungo, se non addirittura in eterno” assicura con un pizzico di solennità che non guasta”.

Il tempo fugge e te ne accorgi anche qui, in un laboratorio di Guilmi, paesino di 400 anime noto per la sua fantastica ventricina.

Me ne rendo conto fissando la mattonella incastonata su una parete – risalente al 1400 di provenienza dalla citta’ di Deruta (Umbria) – o piuttosto quando noto il diploma conseguito nel lontano 1973. Quello che mi sembra un particolare, si rivela un ingrediente fondamentale.

Colui che impara davvero e ci mette l’anima, ci tiene a ricordare chi gli ha insegnato.

 

Il tempo fugge e crea ansie, ma è una regola estranea a questo laboratorio. Mario oggi sembra conoscere solo l’ansia di parlarmi dei suoi maestri, degli artigiani di Castelli che insegnavano nell’Istituto d’arte di Chieti di Via de Lollis dove ha conseguito la maturità.

Oggi sono qui e parlo con Mario soprattutto grazie alla lungimiranza di quei maestri, alla capacità di trasmettere la loro arte

“Il professor De Simone veniva da Castelli. E’ stato un maestro eccellente, un grande artigiano che mi ha insegnato ad usare il tornio. I miei insegnanti di laboratorio non erano laureati, non parlavano come dei luminari, ma erano capaci di intuire le capacità, fiutare il futuro. In sintesi, loro hanno predetto ciò che faccio oggi.”

Gli oggetti che ci circondano sono tanti. Variano le forme e i colori, ma parlano e restituiscono sempre la sincerità di cui oggi ho più bisogno. Tocco solo dopo aver chiesto il permesso, con una debita eccezione.

Non so resistere a questa sfera, al cui interno c’è una maschera di Diabolik

Ha quarantacinque anni, ma non li dimostra. Forse perché si è classificata al quarto posto in una mostra a Faenza, contro ogni previsione. Per il suo creatore ha un valore affettivo, per me simbolico: quello del punto di svolta, del ragazzino di paese che si è finalmente ambientato in città, quantomeno la città più grande della sua provincia, e sta per iniziare la sua vita.

 

Che oggi lo vede marito e padre presente, anche quando è qui, al piano di sotto, vicino al suo tavolo con i suoi oggetti e i suoi colori.

“Una volta mescolata e usata sulle ceramiche bianche la ramina diventa verde. Quest’altra polvere rosa magicamente diventa blu”….

Sembra alchimia pura, ma sono solo alcuni dei segreti che si possono svelare o capire. Altri resteranno per me misteriosi e ignoti. L’amore di Mario per il lavoro instancabile – cosi come la sua straordinaria abilità – resterà invece un’immagine fissa, evidente.

Vivace come merita, in tutte le sue forme e sfumature.

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